Damiano Damiani: il cinema come impegno civile. 

 

Regista apprezzato soprattutto per l’impronta politico-civile dei suoi film - su tutti ricordiamo “Il giorno della civetta” - Damiano Damiani (1922-2013) per la Tv ha diretto gli “storici” sceneggiati La piovra (1984) e Il treno di Lenin (1988). Capolavori che il pubblico non ha mai dimenticato. Ricostruiamo quindi la carriera di questo grande maestro del cinema italiano “impegnato”. Un genere di cui vi è sempre più bisogno, con qualunque realtà ci si debba confrontare.   

 

Fine regista e sceneggiatore, nonché attore e scenografo, Damiano Damiani nasce a Pasiano di Pordenone il 23 luglio del 1922.

Dopo aver studiato pittura a Brera, nel 1946 si trasferisce a Roma dove diventa sceneggiatore a Cinecittà per le opere di Fernardo Cerchio e Viktor Tourjansky. Si inserisce quindi tra i grandi registi del cinema italiano che hanno affrontato i temi sociali, politici e civili (assieme a Francesco Rosi ed Elio Petri), senza usare i filtri intermedi che danno visioni ovattate o oniriche.

Esordisce alla regia con il documentario La banda d'Affori (1947); poi un blocco immenso della sua produzione e una ripresa all'età di 39 anni con Il rossetto (1961), storia di un omicidio ispirato alla cronaca vera, che si avvale della recitazione del regista Pietro Germi. Prosegue firmando altre due pellicole: Il sicario (1961) e L'isola di Arturo (1962) che entreranno a far parte di una trilogia degli anni Sessanta. La sua filmografia proseguirà con La rimpatriata (1963) con Walter Chiari, Francisco Rabal, Riccardo Garrone e Gastone Moschin, pellicola vincitrice del premio Fipresci.

Imboccata la strada del cinema di denuncia, Damiani si specializza in pellicole che trattano di criminalità mafiosa. Portando alla luce titoli come il western Quien sabe? (1967), con Klaus Kinski, Il giorno della civetta (1968), da un romanzo di Sciascia con Claudia Cardinale e Franco Nero (che saranno i suoi attori feticcio), i polizieschi Confessioni di un commissario di Polizia al Procuratore della Repubblica (1971) e Perché si uccide un magistrato (1974), i drammatici L'istruttoria è chiusa: dimentichi - tante sbarre (1972) e Io ho paura (1977). Dirigendo grandi attori come Gian Maria Volonté, Martin Balsam e Giuliano Gemma. E sarà lui stesso un attore, diretto da Florestano Vancini in Il delitto Matteotti (1973).

Avrà anche alcune piccole parentesi nell'horror, culminanti con Amityville Possession (1982), ma senza dubbio le sue opere migliori rimangono Pizza Connection (1985) e L'inchiesta (1987). Il primo (vincitore dell'Orso d'Argento al Festival di Berlino), con Michele Placido, Simona Cavallari e Adriana Russo, narra la storia di un palermitano, killer della mafia a New York, che deve tornare in Sicilia per eliminare un magistrato. Il secondo è un notevole film religioso con Harvey Keitel nei panni di un Pilato sottoposto ad un'indagine da parte di un funzionario dell'Imperatore dopo la scomparsa del cadavere di Gesù Cristo.

Intelligente e anticonformista, Damiani prosegue la sua carriera come se dovesse mettersi al pari con gli altri registi (dato il suo ritardo nell'esordio) con Il sole buio (1989) e L'angelo con la pistola (1992). Ma importantissima, per non dire storica, è stata la sua regia televisiva per gli sceneggiati La piovra (1984) e Il treno di Lenin (1988). Non mancano, ovviamente i grandi insuccessi, che trovano un loro rappresentante in Alex l'Ariete (2000), pellicola con l'ex campione mondiale di sci Alberto Tomba e la conduttrice Michelle Hunziker.

Infine mette in scena il grottesco, scegliendo l'internazionale Carmen Maura e la più nascosta Agnese Nano in Assassini dei giorni di festa (2002).

Damiano Damiani si spegne nella sua abitazione di Roma il 7 marzo del 2013, all'età di 90 anni, a causa di un'insufficienza respiratoria. 

 

16/2/2018