I Patti Lateranensi

 

 

Roma, 11 febbraio 1929: “La Santa Sede e l'Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con l'addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti”.

Con questa premessa si aprono i “Patti dei Lateranensi” che, dopo sessant'anni di gelo tra le due sponde del Tevere, danno una soluzione alla cosiddetta “questione romana”, aprendone un'altra altrettanto annosa. 

 

 

Conclusa l'impresa unitaria, nella primavera del 1861 Cavour apre ufficialmente la "questione romana", proclamando Roma capitale del Regno, quando la stessa si trova ancora sotto la giurisdizione papale. Dieci anni dopo, riconquistata la città, il governo Lanza trova la soluzione nella Legge delle Guarentigie (maggio 1871).

Con essa il Pontefice, all'epoca Pio IX, diventa suddito dello Stato Italiano, conservando tuttavia una serie di privilegi rispetto agli altri cittadini. Il Papa non accetta la soluzione unilaterale e in segno di protesta sia lui che i suoi successori non varcano mai la soglia delle mura vaticane.

I rapporti vengono ristabiliti quasi sessant'anni dopo, in piena epoca fascista. Dopo i vani tentativi di conciliazione nel corso dei pontificati di Leone XIII e Pio X, i primi segnali distensivi si hanno con Benedetto XV che alimenta la partecipazione dei cattolici alla vita politica italiana, sostenendo nel 1919 la formazione del Partito Popolare Italiano (dalle cui ceneri nascerà nel 1942 la Democrazia Cristiana). Sul versante opposto Giolitti apre a una nuova stagione di rapporti, attraverso la politica delle «due parallele» e rimarcando l'autonomia di Stato e Chiesa nei rispettivi ambiti.

L'avvento della dittatura fascista mette in allarme la Santa Sede preoccupata di perdere la propria secolare autonomia. Di qui, nell'estate del 1926, si avviano delle trattative condotte per l'Italia dal consigliere di Stato Domenico Barone e per la Chiesa dall'avvocato Francesco Pacelli. Nelle ultime fasi, agli stessi subentrano rispettivamente il capo del governo Benito Mussolini e il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Gasparri.

A questi ultimi spetta di formare l'accordo dell'11 febbraio, nella Sala dei Papi del palazzo di San Giovanni in Laterano. Il trattato (ratificato con la legge 810 del 27 maggio 1929) riconosce innanzitutto la personalità giuridica internazionale dello Stato della Città del Vaticano, mentre quest'ultimo riconosce il Regno d'Italia e Roma quale sua capitale.

Tra i punti salienti, vengono regolati gli effetti civili del matrimonio religioso e stanziati circa un miliardo di lire, a titolo di risarcimento per i danni subiti con la perdita del potere temporale del Papa. I punti più controversi, che rispetto alle Guarentigie segnano un regresso nella tutela della libertà religiosa, riguardano l'indicazione del cattolicesimo quale religione di Stato e l'obbligatorietà dell'insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole medie ed elementari.

Pur tra il dissenso delle correnti laiche dell'Assemblea Costituente, i Patti vengono assorbiti all'interno della Costituzione del 1948, nello specifico con l'articolo 7. Tuttavia viene avvertita a più riprese l'esigenza di modificare l'accordo, nei punti ritenuti palesemente incompatibili con i principi della Costituzione repubblicana.

Istanze raccolte più tardi nel nuovo Concordato del 18 febbraio 1984, sottoscritto dal presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal segretario di Stato Agostino Casaroli. Con esso da un lato si eliminano i punti più controversi (il riconoscimento di "religione di stato" e l'insegnamento obbligatorio cambiato in facoltativo); dall'altro si fanno importanti concessioni alla Chiesa, tra cui il finanziamento attraverso il meccanismo dell'otto per mille e il diritto ad istituire scuole di ogni ordine e grado.