Antonio Di Pietro
Antonio Di Pietro

Lo scoppio di Tangentopoli 

 

Alle ore 17 di lunedì 17 febbraio 1992, davanti al Pio Albergo Trivulzio (ente pubblico milanese che ospita una casa di riposo per anziani), un’autocivetta dei carabinieri attende il momento giusto per far scattare l’operazione. Dentro la vettura c’è anche il giovane sostituto procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro, che sta indagando su un giro di tangenti nella sanità meneghina.

 

Milano, 17 febbraio 1992. Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, viene arrestato in flagranza mentre riceve una modesta tangente di 7 milioni di lire. È l’inizio di quel ciclone chiamato “Tangentopoli” che in un paio d’anni ha spazzato via la cosiddetta Prima Repubblica e con essa un’intera classe politica. I giudici del pool “Mani pulite” di Milano - tra cui si distingue Antonio Di Pietro che appare immediatamente all’opinione pubblica l’uomo-simbolo della lotta alla corruzione - hanno messo sotto accusa una serie impressionante di leaders politici e di imprenditori: dal segretario del PSI Bettino Craxi al segretario della DC Arnaldo Forlani. Emerge un gigantesco sistema di finanziamenti illeciti e di tangenti che per decenni ha “mantenuto” la maggior parte dei partiti italiani.

Come ha scritto l’autorevole giurista e magistrato Guido Neppi Modona: “Le indagini della giustizia penale negli anni 1992-1994 hanno portato alla luce un diffusissimo sistema di corruzione, nel quale sono rimasti coinvolti quasi 200 parlamentari dei partiti di governo - e marginalmente anche delle forze di opposizione -, i segretari dei partiti di maggioranza, numerosi ministri e direttori generali dei ministeri, la maggior parte degli enti pubblici territoriali e dell’amministrazione locale, i principali gruppi imprenditoriali e finanziari. In ciascun settore le varie inchieste giudiziarie hanno accertato l’esistenza di un copione unico, fatto di reati che spaziano dalla concussione alla corruzione, dal finanziamento illecito dei partiti alla ricettazione, dal falso in bilancio alla frode fiscale”.

Il crollo del vecchio sistema dei partiti - sanzionato dal “terremoto politico” provocato dai risultati delle elezioni del 5-6 aprile 1992[1] - coincide dunque con l’avvio delle inchieste “Mani pulite” e con la ripresa delle indagini contro la criminalità mafiosa e le collusioni tra mafia e politica. Ricordiamo qualche numero. Alla fine del 1993, nella sola sede giudiziaria della procura della repubblica di Milano più di 1000 sono le persone sottoposte ad indagine, 500 gli ordini di custodia cautelare emessi, oltre 200 le richieste di rinvio a giudizio: un’autentica “rivoluzione” condotta con gli strumenti legali del processo penale.

“La magistratura - ha scritto ancora il prof. Neppi Modona - si è trovata improvvisamente circondata e sostenuta da un consenso sociale senza precedenti nella storia italiana; ha ricevuto una sorta di “investitura popolare” a fare pulizia di un sistema di governo corrotto, inefficiente e in certi casi colluso con il potere mafioso”.

Le ragioni di questa straordinaria stagione giudiziaria sono quindi al tempo stesso processuali ed extraprocessuali - politiche e di costume -.

Il cambiamento della situazione politica e della mentalità della coscienza collettiva nei confronti del malcostume affaristico, ha consentito ai giudici di utilizzare tutti gli strumenti processuali al massimo delle loro potenzialità. La magistratura è stata perciò “accreditata” del ruolo politico, assolutamente inedito nella storia giudiziaria italiana, di avere partecipato alla crisi irreversibile di un intero sistema che ha “mal-governato” il Belpaese per quasi cinquant’anni. Questo elemento di eccezionale novità e forza del potere giudiziario si è pertanto delineato e sviluppato nel dialogo diretto tra magistratura e società; le dichiarazioni televisive, le interviste, le conferenze stampa dei pubblici ministeri più impegnati nelle inchieste hanno così assunto un peso e una credibilità di gran lunga superiore agli interventi di qualsiasi uomo politico.

Sul piano strettamente processuale vanno sottolineati i più agili e forti poteri investigativi assegnati al pubblico ministero dal nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore il 24 ottobre 1989: al pm viene infatti riconosciuta: “la facoltà di svolgere investigazioni libere, informali e segrete, cioè senza obbligo di informare la persona sospettata e di invitarla a nominare un difensore, fino a quando i sospetti non si siano trasformati in precisi elementi di accusa”. Inoltre, l’atteggiamento collaborativo degli imputati con la giustizia - fenomeno che inizialmente ha disorientato gli inquirenti - è risultato determinante alla crescita esponenziale del volume delle indagini.

Da notare, infine, che in tutte le procure impegnate nella guerra contro il “sistema delle tangenti”, a partire da quella di Milano, le inchieste del pool “Mani pulite” hanno compiuto un iter privo di ostacoli, riuscendo ad evitare il pericolo numero uno: ovvero le sabbie mobili dei “conflitti di competenza” tra i vari uffici interessati nei procedimenti. Nel merito, sono stati gli stessi magistrati a percepire che l’opinione pubblica non avrebbe più potuto tollerare il cosiddetto “balletto di responsabilità” inscenato puntualmente per bloccare o ritardare le indagini in corso. A tal fine, alcune modifiche apportate all’ordinamento giudiziario, contestuali all’entrata in vigore del nuovo codice, hanno legittimato l’istituzione di gruppi di magistrati coordinati tra loro per seguire a tempo pieno le indagini più complesse. Una strategia già sperimentata di fatto ai tempi dei processi contro il terrorismo e, successivamente, a Palermo durante le prime grandi inchieste sulla mafia istruite dai giudici Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.   



[1] Le elezioni politiche del 5-6 aprile 1992 vedono una rilevante affermazione dei movimenti che esprimono la protesta contro il “regime dei partiti”: in primis la Lega Nord di Umberto Bossi, considerata la vincitrice della tornata elettorale, in secundis la Rete di Leoluca Orlando, movimento che fa della lotta alla mafia la sua bandiera elettorale. In questo nuovo quadro politico le dimissioni del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, rassegnate il 25 aprile ’92 direttamente ai cittadini con un messaggio televisivo senza nessuna mediazione istituzionale - il suo successore sarà Oscar Luigi Scalfaro -, rappresentano la prima conseguenza delle elezioni.