Lucio Battisti

 

Un ritratto di Lucio Battisti (1943-1998), per molti il più grande in assoluto della musica leggera italiana, riferimento imprescindibile per ogni generazione di artisti.

Le sue canzoni, reinterpretate da illustri colleghi di ieri e di oggi, continuano a regalare sempre le stesse “emozioni”. 

 

Lucio Battisti nacque il 5 marzo del 1943 a Poggio Bustone, in provincia di Rieti, secondo figlio di Alfiero e Dea Battisti. Il loro primogenito, anch’egli di nome Lucio, morì nel 1942 a soli 2 anni di età. L’atto di nascita del cantautore non esiste perché durante la Seconda guerra mondiale un bombardamento colpì il palazzo comunale, distruggendo anche i registri dello stato civile. La sorella Albarita nacque nel 1946 e morì nel 2003, a causa di un tumore.

Il giovane Battisti muove i primi passi nel mondo della musica imparando a suonare la chitarra da autodidatta. Si trasferisce con i genitori a Roma nel 1947, e dopo il diploma in elettrotecnica nel 1962 e un periodo di gavetta a Napoli con I Mattatori e successivamente con I Satiri, si trasferisce a Milano, dove si unisce a I Campioni, il gruppo che accompagna Tony Dallara, capitanato da Roby Matano. Battisti vivrà tutto il resto della sua vita a Milano, per trasferirsi infine, negli ultimi anni, in una villa a Molteno, in Brianza.

È proprio Matano - che ha più volte rivendicato una sorta di “primogenitura” nella scoperta del talento di Battisti - a spronarlo a scrivere canzoni. Ne nacquero alcuni pezzi, come «Se rimani con me», i cui testi erano stati scritti da Matano (ma depositati a nome di Battisti perché l’amico non era iscritto alla S.I.A.E.), che rimasero per lo più o sconosciuti o addirittura mai pubblicati. Tuttavia, alcuni di questi pezzi furono successivamente rimaneggiati da Battisti sulla base di nuovi testi di Mogol, come «Non chiederò la carità», che diverrà «Mi ritorni in mente».

Il 14 febbraio del 1965 Battisti riesce ad avere un appuntamento con Franco Crepax: durante il provino viene notato da Christine Leroux, una discografica di origine francese arrivata a Milano negli anni ’60, contitolare delle edizioni El & Chris. Cacciatrice di talenti per la casa discografica Ricordi, fu lei una delle prime a credere nel talento di Battisti, e fu lei a procurargli il “fatale” appuntamento con il paroliere Giulio Rapetti, in arte Mogol.

Riguardo a questo primo incontro con Battisti, Mogol ha raccontato di non essere rimasto particolarmente impressionato dalle canzoni che Battisti gli aveva proposto, ma di aver comunque deciso di collaborare con lui per la sua umiltà nel riconoscere i propri limiti e la voglia di fare e di migliorarsi.

Nel 1966, fu lo stesso Mogol a insistere con Battisti, scettico egli stesso circa le proprie doti vocali, perché cantasse in prima persona le sue canzoni, anziché limitarsi ad affidarle ad altri artisti. Mogol dovette superare non poche resistenze presso la Ricordi, la loro casa discografica, ma alla fine l’ebbe vinta.

Battisti esordì quindi come solista con il 45 giri che includeva «Per una lira» e «Dolce di giorno», con modesti risultati di vendite, tanto che oggi il disco gode di grande considerazione nel circuito collezionistico. Le due canzoni vennero poi portate al successo rispettivamente da i Ribelli capitanati da Demetrio Stratos e da i Dik Dik. Nel circuito degli “addetti ai lavori”, «Per una lira» si fece notare come brano fortemente innovativo nel testo e nella scrittura musicale.

Nel 1967 Mogol e Battisti sono gli autori di «29 settembre», interpretata dall’Equipe 84, un clamoroso successo che arriva al primo posto della hit parade grazie alla trasmissione radiofonica Bandiera gialla. Sempre in quell’anno scrivono un altro grande successo per l’ex Camaleonti Riki Maiocchi, la celebre «Uno in più», considerata una canzone-manifesto della cosiddetta linea verde con cui Mogol intendeva perseguire un rinnovamento della tradizione musicale italiana, lavorando con giovani cantanti e autori quali Battisti. Sempre nel 1967 suona la chitarra ne «La ballata di Pickwick», sigla iniziale e finale, mai pubblicata su disco, dello sceneggiato di Ugo Gregoretti Il Circolo Pickwick; la canzone è cantata da Gigi Proietti, che in seguito ricorderà il suo unico incontro con Battisti.

Nel 1968 produce «Luisa Rossi», il suo secondo singolo da interprete; un blando Rhythm and Blues che non riscuoterà grande successo (sul lato B è incisa «Era», una delicata canzone dalle atmosfere quasi medievali).

Nello stesso anno Battisti incide «Prigioniero del mondo», una canzone scritta dall’eccellente musicista Carlo Donida con testo di Mogol, che doveva essere originariamente interpretata da Gianni Morandi, e che Battisti porta con scarso successo alla manifestazione Un disco per l’estate nel 1968. Di questo brano esiste anche un raro videoclip girato su pellicola in bianco e nero, che è anche il primo filmato assoluto nel quale si vede il cantante, girato sulle montagne del Veneto e proposto in televisione su Raidue nel settembre 2004 in una trasmissione commemorativa a sei anni dalla scomparsa. Sul retro «Balla Linda», una canzone melodica ma già “sperimentale” per i canoni musicali dell’epoca, in cui Battisti rifiuta la convenzione delle rime baciate per i testi, d’accordo con Mogol.

Con «Balla Linda» partecipa al Cantagiro, dove si classifica al quarto posto, entrando per la prima volta, con una canzone da lui interpretata, in hit parade; la canzone, in una versione in inglese intitolata «Bella Linda», otterrà, eseguita dai Grassroots, un notevole successo negli Stati Uniti d’America, piazzandosi al numero 28 della classifica di Billboard.

Nel 1969 Battisti debutta come cantante al Festival di Sanremo con la bella canzone «Un'avventura», dopo due “bocciature” come autore (nel 1967 con «Non prego per me» eseguita da Mino Reitano e dagli Hollies, e nel 1968 con «La farfalla impazzita»). In questa canzone Battisti riesce a conciliare la melodia italiana con le atmosfere e i suoni del Rhythm and blues, in particolare con una caratteristica e vigorosa sezione fiati; non a caso l’interprete straniero che gli viene affiancato è Wilson Pickett, un “mostro sacro” di quel genere musicale.

Il brano entra in finale e si piazza a metà classifica, ma sarà solo l’inizio di un anno veramente straordinario. Dopo aver attirato l’attenzione anche con «Non è Francesca» - delicata canzone sul lato B di «Un'avventura» dotata di una lunga e interessante “coda” strumentale - Battisti pubblicherà il brano «Acqua azzurra, acqua chiara» con il quale spopolerà nel Festivalbar ottenendo il primo premio, dopo aver ottenuto un terzo posto al Cantagiro.

Sigla di chiusura della finale del Festivalbar è un’altra canzone scritta insieme a Mogol: «Questo folle sentimento», canzone dall’atmosfera vagamente psichedelica e giudicata ardita per gli schemi musicali tradizionali, affidata alla Formula Tre, il gruppo fondato dal chitarrista Alberto Radius insieme a Tony Cicco e Gabriele Lorenzi.

Nello stesso periodo, una vecchia canzone scritta da Mogol e Battisti, «Il paradiso della vita» - già affidata in Italia alla Ragazza 77 (pseudonimo di Ambra Borelli) con nessun successo - verrà ripresa dal gruppo inglese degli Amen Corner, con il titolo «(If Paradise Is) Half as Nice», raggiungendo il primo posto delle classifiche di vendita britanniche. La canzone sarà quindi ripresa nel nostro paese da Patty Pravo con il titolo «Il paradiso». Alla cantante veneziana, oramai diventata una diva a tutti gli effetti, Battisti regalerà poi «Per te», interpretata dalla Pravo in ogni show in cui veniva presentata. Nell’album Di vero in fondo, del 1971, Patty Pravo offre a Battisti un’intensa interpretazione di «Emozioni».

Verso la fine del 1969, a coronamento di un anno gratificante, Lucio Battisti pubblica il brano «Mi ritorni in mente», felice sintesi musicale tra atmosfere blues ed un’orchestrazione che la critica definirà addirittura “pucciniana”. Sempre alla fine dell'anno esce il suo primo album, intitolato semplicemente Lucio Battisti, nel quale sono raccolti i singoli di maggior successo incisi fino a quel momento dallo stesso Battisti e da altri cantanti e gruppi (reinterpretati da lui). Il retro della copertina dell’album reca le fotografie di Mogol, di Maurizio Vandelli, leader degli Equipe 84, e dei componenti del gruppo Dik Dik, come ringraziamento per aver contribuito al suo successo.

Dello stesso anno è un altro avvenimento, fondamentale per la vita privata di Battisti: l’incontro con Grazia Letizia Veronese. Veronese, nata a Limbiate nel 1943, era attiva verso la fine degli anni Sessanta come segretaria del clan di Adriano Celentano. La Veronese fu compagna di vita di Battisti dal 1969 fino alla morte, gli diede il figlio Luca e perfezionò con Battisti l’unione nel 1976 con il matrimonio civile. Con lo pseudonimo di “Velezia”, è stata autrice dei testi dell’album di Battisti E già, del 1982.

Gli anni Settanta, in particolar modo nella prima metà, sono gli anni in cui Lucio Battisti arriva al culmine della popolarità e successo. I suoi album sono costantemente ai primi posti nelle classifiche di vendita degli anni 1971, 1972, 1973, 1975, 1976, 1977, 1978 e 1980. Nel 1973, caso raro nella storia discografica italiana, riesce a conquistare il primo ed il secondo posto in classifica (con Il mio canto libero ed Il nostro caro angelo), distanziando opere di respiro e successo internazionali come The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd (3°) e Don't Shoot Me I'm Only the Piano Player di Elton John (4°).

Nel 1970 Battisti vince per la seconda volta consecutiva il Festivalbar con la canzone «Fiori rosa fiori di pesco», in cui la sua tensione interpretativa raggiunge alti livelli. Nello stesso anno inizia la sua proficua collaborazione artistica con Mina, per la quale scrive la canzone «Insieme», che nonostante l’iniziale scetticismo della cantante diverrà il singolo più venduto dell’anno. «Insieme» si contende il primato con il 45 giri di uno dei capolavori in assoluto di Battisti, la delicata «Emozioni», divenuta una vera e propria canzone-manifesto del modo di fare musica di Battisti, e che darà il nome al suo secondo album (Emozioni).

Il suo look è inconfondibile, apparentemente trasandato e al tempo stesso originale: lunghi capelli ricci, giacchette beat, abiti poco costosi con una certa predilezione per le camicie indiane. Lucio si mostra così anche nelle non frequenti apparizioni televisive, scandalizzando taluni “benpensanti” ma suscitando un moto di identificazione nei giovani. Ben presto, nonostante le critiche di alcuni critici tradizionalisti che ne biasimano soprattutto il modo di cantare, Lucio Battisti diventerà una figura popolare e apprezzata anche presso un pubblico non strettamente giovanile.

Il modo di cantare di “sentimenti” da parte di Battisti, grazie ai testi di Mogol, è rivoluzionario rispetto alla tradizione, spesso melensa e scontata: la vita di coppia viene analizzata in ogni sua sfaccettatura, soffermandosi sulle fragilità sia maschili sia femminili con un lirismo che talora ricorda da vicino il romanticismo letterario; il tutto scandito da Battisti con una voce sempre capace di seguire col canto gli alti e bassi emozionali dei testi, quasi all’unisono con gli stessi. In un’epoca in cui il cantare d’amore e di sentimenti appariva destinato al declino a favore del diretto impegno politico di cantanti e cantautori, Battisti va in controtendenza, conquistando a queste tematiche un pubblico che saprà riscoprire, tra le righe dei testi delle sue canzoni, una quotidianità della vita di coppia trascurata dalla canzone d’amore tradizionale.

In quest’anno, matura la decisione di non effettuare più esibizioni pubbliche, rifiutandosi di partecipare al Festival di Sanremo ed a Canzonissima, manifestazioni da lui ritenute non adatte a un discorso artistico di qualità, tanto è vero che non vi porterà più sue canzoni neanche come autore (anche se perdurano i dubbi sulla paternità delle canzoni «La spada nel cuore» e «La folle corsa»).

Quanto ai concerti, dopo un breve tour con la Formula Tre che pure ebbe notevole successo, deciderà di non farne più, manifestando l’intenzione di ritagliarsi uno spazio per la propria vita privata e per la propria ricerca artistica, che a suo dire sarebbe stato sacrificato altrimenti al correre “tra un aereo e l’altro”. Non si lascerà più fotografare - se non dal fotografo della Numero Uno Cesare Monti e quasi esclusivamente per le copertine dei dischi - e svilupperà sempre più una sinergia artistica e umana con Mogol, che da allora fino al 1980 non scriverà più testi per altri interpreti.

I due amici prenderanno casa nello stesso luogo, a Dosso di Coroldo, nella quiete della campagna brianzola, coltiveranno le tematiche ecologiche e intraprenderanno un famoso viaggio a cavallo da Milano a Roma. Si impegneranno inoltre nel segno della solidarietà con i concerti annuali che Battisti, accompagnato da Mogol e senza alcuna pubblicità, soleva dedicare solamente ai giovani ammalati dell’Istituto dei Tumori di Milano.

Nel 1971, timorosi che le scelte aziendali della Ricordi limitassero la loro creatività, Battisti e Mogol (che coinvolgerà nell’avventura anche il padre, Mariano Rapetti, alto dirigente della casa discografica) attueranno una vera e propria scissione passando alla nuova etichetta, al vero fondata da Mogol già nel 1969, dallo spirito altamente innovativo, la Numero Uno. In quest’avventura trascineranno, oltre ai fedeli amici della Formula Tre e della Premiata Forneria Marconi, gli autori più giovani e promettenti della Ricordi, quali Mario Lavezzi ed Oscar Prudente, nonché nomi già affermati della musica italiana come Tony Renis e Bruno Lauzi. La separazione dalla Ricordi non sarà economicamente indolore, poiché la casa discografica pretenderà, come buonuscita, oltre a una certa somma di denaro, la pubblicazione di un certo numero di singoli e LP di Battisti.

Spesso sotto l’egida di un Battisti autore e produttore, la Numero Uno terrá a battesimo moltissimi nuovi talenti quali Mia Martini, Adriano Pappalardo, Edoardo Bennato, Eugenio Finardi e Gianna Nannini (per un certo tempo componente del gruppo Flora Fauna & Cemento capitanato da Mario Lavezzi). Vero e proprio manifesto della nuova casa discografica sarà il programma televisivo “Tutti insieme”, andato in onda su Rai Due, in occasione del quale Battisti dà prova della sua perizia anche con la batteria.

Nel maggio dello stesso anno esce un altro dei suoi capolavori, «Pensieri e Parole, per cinque settimane al primo posto della classifica dei singoli più venduti; nel brano a due voci in contrappunto Battisti fa ricorso a una soluzione inedita per l’epoca e canta, sovraincidendole, entrambe le linee melodiche.

La Ricordi cerca di sfruttare al massimo il materiale di Lucio Battisti che ha diritto di pubblicare, e nel luglio 1971 pubblica finalmente il disco Amore e non amore, registrato l’anno precedente. Si tratta di un’opera ardita, composta per metà di brani di atmosfera decisamente rock e per l’altra metà di strumentali dal raffinatissimo arrangiamento, per la realizzazione della quale Battisti si è avvalso di musicisti di prim’ordine come Dario Baldan Bembo, tastierista e pianista, futuro autore dei più grandi successi di Mia Martini, e Franz Di Cioccio, batterista e leader della Premiata Forneria Marconi. Battisti, in precedenza, aveva protestato per i ritardi nella pubblicazione del disco, ritenuto forse troppo “avanzato” dalla casa discografica. Ma credeva fortemente nella portata innovativa di questo suo album: durante una intervista radiofonica a cui prese parte con Mogol, il conduttore, parlando di questo album e paragonandolo con il successivo, disse testualmente: “A mio modesto parere, non è che sia riuscito benissimo...”. Battisti non la mandò a dire, replicando: “Beh, è molto modesto il tuo parere!”.

Contemporaneamente viene pubblicato il 45 giri «Dio mio no», con sul retro la riproposizione di «Era»; il singolo, articolato su un solo accordo, verrà censurato dalla RAI per i supposti significati erotici. Battisti in TV poteva limitarsi solo ad accennarne l’introduzione strumentale alla chitarra.

Ancora la Ricordi pubblica il 45 giri «Le tre verità», con un lato A inedito ma un lato B ancora una volta già pubblicato, «Supermarket», un singolare rock and roll già incluso nell’album Amore e non amore. La canzone «Le tre verità» non otterrà grande successo di vendite, ma sarà notata dalla critica per gli echi internazionali, in particolare dei Led Zeppelin, e l’incredibile versatilità vocale di cui Battisti dà prova, nell’interpretare i tre personaggi della vicenda cantata.

Intanto la coppia Mogol-Battisti domina le classifiche in veste di “coppia d’autore” grazie ad un trio di successi come «Amor mio», cantata da Mina, «Amore caro amore bello», eseguita da Bruno Lauzi (in entrambi questi brani, Battisti suona personalmente la chitarra acustica col suo stile inconfondibile), ed «Eppur mi son scordato di te», successo dei Formula Tre.

A quest’ultima canzone è legato un aneddoto significativo del valore artistico di Lucio Battisti: dovendosi recare a Roma negli studi Rai per eseguirla nella trasmissione Teatro 10, ed essendosi dimenticato di portare con sé una chitarra, ne acquistò all’ultimo momento una da pochi soldi alla stazione Termini; con quel piccolo strumento, accompagnando l’esecuzione di «Eppur mi son scordato di te», fece vere e proprie meraviglie, mandando in visibilio il pubblico).

Verso la fine del 1971, la Ricordi compie una nuova operazione commerciale pubblicando Lucio Battisti Vol. 4, dove sono rimasterizzati i suoi brani più celebri, salvo l’inserimento di «Pensieri e parole». L’album non riscuote molto successo, oscurato dalla dirompente esplosione di vendite del 45 giri che Battisti fa uscire a novembre, «La canzone del sole», sul cui retro è incisa «Anche per te». Il brano imprime un marchio indelebile nella storia della musica italiana e diventa icona dell’immagine stessa del duo Battisti-Mogol. Emblematico per la solarità e per la semplicità della realizzazione musicale, pur senza scadere nel banale, diverrà la canzone “d’assaggio” per eccellenza per chiunque si appresterà a imparare a suonare la chitarra.

Evidentemente turbata dal successo de «La canzone del sole», la Ricordi nel marzo del 1972 compie un ultimo tentativo commerciale pubblicando il 45 giri «Elena no», un ritmato pezzo rock con una sezione centrale più lenta e blues: le scarse vendite del disco (poche migliaia di copie) segnano definitivamente la resa della casa discografica di fronte alla concorrenza della Numero Uno.

In un anno straordinario per produzione discografica e successo di vendite riscosso (forse l’anno in cui Battisti raggiunge l’apice della popolarità), Battisti pubblica nuovamente un album di inediti, Umanamente uomo: il sogno. L’LP, insieme al singolo «I giardini di marzo» (sul retro «Comunque bella»), otterrà un enorme successo, dimostrando definitivamente la piena maturità artistica di Battisti, capace di articolarsi sul discorso complessivo di un album e non più solamente su singoli destinati a LP antologici. Tra i brani, oltre a quelli del singolo, la maliziosa «Innocenti evasioni», la divertente «Il leone e la gallina», il suggestivo strumentale «Umanamente uomo», l’ipnotica «Sognando e risognando» (poi interpretata anche dalla Formula Tre) e poi un altro brano che diventò un evergreen: «...E penso a te». Quest’ultima canzone, inizialmente posta sul retro di un 45 giri di Bruno Lauzi (che aveva sul lato A «Mary oh Mary») e passata inosservata, ripresa da Battisti ottenne un grande successo, tanto da essere riproposta negli anni in innumerevoli cover, tra cui anche una versione in inglese di Tanita Tikaram col titolo «And I think of you».

Nel gennaio del 1973 il 33 giri Il mio canto libero (pubblicato nel novembre 1972) arriva in testa alle classifiche e vi rimane per undici settimane: è considerato uno dei vertici della sua carriera e contiene tra le altre canzoni la celebre «Io vorrei...non vorrei...ma se vuoi», incisa in inglese da Mick Ronson, il chitarrista di David Bowie, su testo scritto dallo stesso Bowie col titolo «Music is lethal».

Appare evidente ormai come i dischi di Lucio Battisti siano frutto di un lavoro lungo e meticoloso dove nulla è lasciato al caso, nemmeno le copertine, per anni realizzate dallo stesso fotografo, Cesare Montalbetti, in arte Caesar Monti, fratello del leader de i Dik Dik Pietruccio Montalbetti e grande amico di Battisti.

Battisti cura ogni aspetto degli arrangiamenti, senza delegare niente, suonando personalmente la chitarra acustica, talora le tastiere, e persino il basso e la batteria.

Nel novembre dello stesso anno esce il nuovo album del cantante: Il nostro caro angelo. Caratterizzato da parallelismi e simmetrie con Il mio canto libero, tanto che alcuni lo interpretano come un seguito od un ideale complemento, è un album dalle sonorità e dagli arrangiamenti più rock ed essenziali: prevalgono chitarre elettriche e acustiche, basso e batteria, con un uso dell’elettronica importante in alcuni brani ma mai eccessivo; si riduce invece il peso di archi e fiati, punto fermo dei lavori realizzati negli anni precedenti. Nascono voci riguardo al titolo dell’album: la più verosimile è quella per cui Il nostro caro angelo sottintenderebbe “il nostro caro figlio”, in onore della nascita del primogenito Luca. In realtà, secondo le dichiarazioni dello stesso Mogol, «Il nostro caro angelo», la canzone che dà il titolo all’album, ha un significato critico nei confronti della Chiesa cattolica.

Ancor più del precedente, si tratta di un disco ricco di canzoni che sembrano voler commentare in modo marcato diversi aspetti della società contemporanea: dall’avversione per la pubblicità e il consumismo di «Ma è un canto brasileiro» al tema dell’omosessualità affrontato in «Ma io gli ho detto no», al rifiuto delle convenzioni palesato in «La collina dei ciliegi» e in «Le allettanti promesse». L’album riscuote un successo notevole e risulta il secondo più venduto del 1973. Nello stesso anno, inoltre, Battisti ha avuto la sua unica esperienza col cinema, scrivendo la colonna sonora del film di Ermanno Olmi La circostanza.

Alla fine del 1974, ispirato da un viaggio in Sudamerica con Mogol, Battisti pubblica Anima latina: probabilmente il suo disco più ambizioso, complesso e sfaccettato, originale tentativo di fusione delle sonorità latine con alcune delle modalità espressive tipiche del progressive (brani lunghi, dall’orchestrazione e strumentazione estremamente composita e stratificata; ampio uso di sintetizzatori). È un disco che, come dirà lo stesso Battisti, è votato alla valorizzazione del ritmo, reso a tratti ossessivo nelle sezioni per fiati, cori e percussioni; i testi si fanno sempre più criptici, quasi esoterici, in controtendenza col tradizionale modo di scrivere di Mogol ispirato alla quotidianità, e il canto di Battisti è soffuso, talora quasi impercettibile.

Tra i brani che ottengono maggior riscontro, la stessa «Anima latina», con un testo che Mogol ritenne essere il più bello da lui mai scritto; «Due mondi», una frenetica ballata in crescendo a metà strada tra il genere salsa e la tradizione sudamericana, in cui duetta con la brava cantante monzese Mara Cubeddu; «Anonimo», una canzone che parla delicatamente dell’iniziazione di un fanciullo ai rapporti sessuali e che reca in coda una singolare citazione de «I giardini di marzo»; e «Macchina del tempo», giustapposizione di piú linee melodiche che formano il brano musicalmente piú complesso dell’album, incentrato sulle estreme conseguenze dell’alienazione per sofferenza amorosa. Nonostante l’osticità della proposta (nessuna canzone è davvero rimasta nella memoria collettiva), il disco ottiene vendite eccezionali, rimanendo in classifica per 65 settimane (a tutt’oggi il record per un disco di Battisti).

Segue un anno, il 1975, in cui non viene pubblicato nessun disco nuovo. Complici forse anche talune clausole degli accordi tra la Numero Uno e la RCA Italiana, la multinazionale del disco che concederà aiuto finanziario alla giovane casa discografica, imponendo certi “obblighi di produttività”, la creatività di Battisti e Mogol conoscerà un evidente affievolimento.

Nel 1976 il nuovo album, ]Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera, viene accolto molto calorosamente. Fortunato in termini di vendite (e in un certo senso rivincita “popolare” sull’album precedente), viene inciso ad Anzano del Parco (vicino a Como) e tra i musicisti figura l’allora giovane chitarrista Ivan Graziani, che si affermerà poi come cantautore.

La canzone trainante del disco (da cui segue anche un 45 giri) è «Ancora tu». Il disco ha un successo talmente grande che viene pubblicato anche oltralpe: la canzone è incisa dallo stesso Battisti in inglese (col titolo «Baby it's you») in un 45 giri poco fortunato, ma il maggior successo lo otterrà nella versione spagnola col titolo «De nuevo tu». In quell’anno il duo Mogol-Battisti offre a Patty Pravo «Io ti venderei», azzeccatissima per il personaggio ma soprattutto per far entrare il brano nelle grazie delle femministe, allora in rivolta per le piazze italiane. Sull’onda del successo la canzone viene incisa anche da Battisti.

Il 1976 si conclude con due notizie choc: Battisti si sposa con la sua compagna e, coincidente con questo annuncio, viene dichiarato il suo definitivo ritiro dalla scena pubblica italiana. L’ultima tournée è con i Formula Tre, al termine della quale il cantante annuncia in un’intervista: “Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare con il pubblico solo per mezzo del suo lavoro”.

Un nuovo successo viene composto nel 1977, Io tu noi tutti: otto brani preparati in Italia ma definiti e registrati negli studi RCA di Los Angeles. Spicca il singolo «Amarsi un po'» sul cui retro è inciso il pezzo più celebre dell’album, «Sì, viaggiare».

In quelle stesse sessioni di registrazione nasce anche un album in lingua inglese, Images, che contiene pezzi di Io tu noi tutti e di album precedenti e che verrà pubblicato anche in Italia su etichetta RCA. Il pubblico oltreoceano accoglie l’album con indifferenza: la RCA statunitense si era impegnata a promuovere l’album, ma in realtà vi si dedica pochissimo. Altri verosimili motivi dell’insuccesso sono la stentata pronuncia inglese di Battisti e la difficoltà di rendere il significato dei testi di Mogol in quella lingua.

Il 1978 segna la riscoperta della vena creativa della coppia Mogol-Battisti e allo stesso tempo l’inizio del suo inesorabile declino, che porterà due anni dopo allo scioglimento di un sodalizio artistico e anche umano che era parso inossidabile.

Viene registrato il nuovo album Una donna per amico, stavolta in Inghilterra, con la produzione di Geoff Westley, già collaboratore dei Bee Gees, che imprimerà alle sonorità del disco una svolta definitivamente anglosassone ed “internazionale”. Contrariamente alle sue passate abitudini, Battisti ormai sceglie di affidarsi per la realizzazione degli arrangiamenti a produttori esterni, di cui si limita a valutare il lavoro “a cose fatte”.

Una donna per amico, in un’epoca di profonda crisi per la musica italiana da cui sembravano salvarsi solo i cantautori, è il più venduto in assoluto tra i dischi firmati Mogol-Battisti (oltre un milione di copie), e ne è estratto un singolo che rimane in testa alle classifiche per quattordici settimane: l’omonima «Una donna per amico» sul cui retro è inciso «Nessun dolore» (riportata ad un certo successo negli anni novanta nella versione di Giorgia). Fra gli altri notevoli brani dell’album «Prendila così», «Aver paura d'innamorarsi troppo» e «Perché no».

Gli anni Ottanta si aprono con uno scenario abbastanza drammatico per la carriera del cantante: il suo indissolubile legame con il suo fidato paroliere Mogol comincia a vacillare. Battisti, che in questo periodo preferisce vivere nella sua Roma, ormai spedisce i provini delle sue canzoni a Mogol per posta, e questi con lo stesso mezzo gli consegna i testi. Gli effetti si sentono: verrà a mancare la carica “emozionale” propria dei lavori che i due realizzavano un tempo a stretto contatto di gomito, quasi costituendo, come qualche critico ha affermato, “un unico cantautore”, e i testi paiono rispondere più ad esigenze metriche che ad una reale traduzione “in parole” delle impressioni ed emozioni delle melodie battistiane. I dischi, pur curatissimi negli arrangiamenti, assumeranno un sapore di “costruito”, e pur conquistando i gusti del pubblico più attento alle tendenze internazionali (in particolare alla discomusic ed al funky, generi allora imperanti), faranno storcere il naso agli appassionati del Battisti di «Mi ritorni in mente» e «La canzone del sole», fresco e immediato.

Nel febbraio del 1980 esce Una giornata uggiosa, l’ultimo disco del cantante in collaborazione con Mogol, siglato sempre con la Numero Uno. Il disco, vendutissimo come il precedente, soffre forse della sopraffazione sulle melodie battistiane degli arrangiamenti curati dal produttore inglese Geoff Westley, secondo gusti musicali puramente d’oltremanica che concedono meno del solito a quella felice sintesi tra sonorità internazionali e “nostrane” che era sempre stato tra i punti di forza di Battisti. I testi di Mogol, in Una giornata uggiosa, poco hanno dell’immediatezza che li aveva resi così efficaci e popolari, apparendo difficilmente comprensibili.

Il singolo omonimo, ultimo pezzo in assoluto in cui Battisti suona personalmente la chitarra acustica, non raggiunge il primo posto delle classifiche (cosa rara per Battisti), tuttavia l’album va incontro ai favori del pubblico grazie a canzoni interessanti quali «Orgoglio e dignità», «Una vita viva», «Il monolocale» (in cui affronta il problema della casa) e, soprattutto, «Con il nastro rosa». Quest’ultima canzone, lato B del singolo, arrangiata più sobriamente e cantata da Battisti, diverrà l’ultimo grande evergreen di Battisti, con numerosissime cover e molto successo anche in discoteca nella versione dance.

Di questo album è sicuramente da ricordare anche «Amore mio di provincia» perché è l’ultimo brano cantato da Battisti alla televisione svizzera TSI, in playback ripreso in camicia stile hawaiano con lo sfondo di palme esotiche. Meritano certamente un cenno i non pochi videoclip a colori di Battisti, dei quali il più noto è sicuramente quello per «Sì, viaggiare», in una scenografia di una sala d’aspetto di una stazione ferroviaria. L’ultimo ritrovamento avvenne nel 2004, negli archivi della televisione tedesca: un filmato di «Il mio canto libero» («Unser freies Lied») nel quale Battisti si cimenta con il tedesco.

Dopo la registrazione di Una giornata uggiosa, Lucio Battisti scioglie per sempre il proprio sodalizio artistico con Mogol, per cause mai chiarite; si parlò di banali liti di condominio (i due abitavano nello stesso complesso residenziale, a Dosso di Coroldo, in Brianza), così come di dissensi sulla ripartizione dei cospicui diritti d’autore (si stima che Battisti, ancora negli anni Novanta, percepisse tra i 4 e i 5 miliardi di lire l’anno anche senza pubblicare dischi). Sicuramente fu determinante la divergenza artistica tra i due, tra un Mogol ancorato a un universo poetico dai ben saldi punti fermi ed un Battisti perennemente impegnato a innovare, a sperimentare, e a superare sé stesso.

Mentre Mogol inizierà una collaborazione con Riccardo Cocciante, per il quale continuerà a scrivere testi simili a quelli che scriveva per Battisti secondo il suo consueto stile alato e “sognatore”, Battisti nel 1982 pubblicherà l’album E già. Si tratta di un lavoro che lascia interdetto il suo pubblico, fortemente sperimentale e composto di melodie brevi, all’apparenza perfino affrettate, su arrangiamenti completamente elettronici, con largo uso di sintetizzatori e l’assenza totale di archi e chitarre.

I testi di E già sono scritti dalla moglie di Battisti, Grazia Letizia Veronesi, sotto lo pseudonimo Velezia; tuttavia, i numerosi spunti autobiografici presenti nei testi fanno ritenere da parte della critica che autore o almeno coautore dei medesimi sia lo stesso Battisti. Indubbiamente il disco appare come “fatto in casa”, tanto che la copertina è decorata da disegni del figlio Luca.

Da rilevare, nella canzone «Mistero», un verso tranciante, “io mi ero lasciato entusiasmare da quel tipo intellettuale appariscente che in fondo in fondo non valeva niente” in cui alcuni individuano un riferimento, neppure troppo velato, a Mogol; effettivamente la tensione tra i due perdurerà per alcuni anni, tanto che Mogol, nel 1990, affermò di non ascoltare più da anni i dischi di Battisti. Altre voci invece parlano di una crisi che in realtà non c'è mai stata, e di una riappacificazione che, pur non cancellando alcune profonde divergenze artistiche, è avvenuta sin da subito.

Il disco, pur conquistando il primo posto in classifica, non ebbe il riscontro di vendita dei precedenti, complici l’assoluta mancanza di promozione (alla quale Battisti era strenuamente contrario) e le caratteristiche eccessivamente avanzate per il mercato musicale italiano, fatte di sonorità elettroniche a cui molti musicisti inglesi facevano già ampiamente ricorso.

Nel 1986, dopo ben quattro anni di silenzio, assicuratasi la collaborazione di Pasquale Panella, poeta che aveva già un’esperienza di paroliere (i due avevano già collaborato per il disco di Adriano Pappalardo Oh! Era ora, uscito nel settembre 1983, dove Panella si firmava con lo pseudonimo di Vanera e Battisti aveva curato gli arrangiamenti e suonato le chitarre e i sintetizzatori, e anche il basso nella canzone eponima), Battisti torna sul mercato discografico con l’album «Don Giovanni», per il quale impone la singolare scelta di non farlo uscire in versione CD (darà l’autorizzazione solamente otto anni dopo).

Il disco, quanto alla parte musicale, avrà un effetto rassicurante per il tradizionale pubblico battistiano, proponendo melodie più classiche e complete, con arrangiamenti che stavolta coniugavano le sonorità più avanzate con quelle tradizionali, non senza richiami jazz. Davvero misteriosi appaiono invece i testi di Panella, apparentemente privi di senso compiuto, densi di doppi sensi e di giochi di parole, che sembrano raccontare storie ai limiti del “Teatro dell’assurdo” di Beckett. L’abbinamento dei testi di Panella alle melodie battistiane susciterà un effetto surreale, che incuriosirà il pubblico e stupirà la critica. «Don Giovanni» ottiene grande successo di vendite (è il terzo album più venduto dell’anno), e la canzone «Le cose che pensano» si inserisce fra i classici di Battisti.

A partire da quest’anno Battisti pubblicherà con regolarità un disco ogni due anni. Nel 1988 esce l’album L'apparenza, più complesso del precedente, dato che i testi di Panella rimangono surreali e impalpabili, e le melodie si fanno spesso impervie, contenenti numerosissimi temi musicali (emblematica è la canzone «A portata di mano» che, secondo alcuni critici, è una sorta di “mini album” contenente in sé quattro diverse canzoni), ardue da memorizzare. Anche se il giudizio della critica sarà per lo più positivo, le conseguenze si faranno sentire in termini di vendite: L'apparenza, pur raggiungendo anch’esso il primo posto in classifica, vende molto meno di Don Giovanni e incomparabilmente meno rispetto al periodo d’oro di Battisti con Mogol.

La produzione di Lucio Battisti non muterà indirizzo nei successivi lavori: il cantautore proseguirà infatti sulla strada della costruzione di melodie assai complesse, inasprendo il carattere elettronico degli arrangiamenti (spesso molto vicini alla techno music) e continuando ad avvalersi dei surreali testi di Panella, sulla base dei quali compone le musiche. Il risultato sarà il dividersi della critica e il disorientamento del pubblico e degli “addetti ai lavori”.

Nel 1990 Battisti cambia etichetta, abbandonando la Numero Uno, fondata insieme a Mogol, a favore della CBS per la quale registra La sposa occidentale. Questo è il primo disco dal lontano 1972 con il quale non riesce a raggiungere il primo posto in classifica, a conferma del fatto che la sua difficile ricerca musicale, con risultati forse troppo avanzati, non viene compresa dalla maggior parte del suo pubblico; tutto ciò nonostante l’album non sia privo di brani gradevoli quali «I ritorni», «Potrebbe essere sera» e la title track «La sposa occidentale». Battisti, con apparente presunzione, ma a ragion veduta, si limitava a commentare con gli amici che ogni innovazione musicale da lui introdotta nei suoi dischi veniva poi puntualmente recepita da tutta la musica italiana anni dopo.

Il 1992 è l’anno dell’album intitolato Cosa succederà alla ragazza, stavolta sotto l’etichetta della Sony/Columbia. Battisti persevera sulla strada intrapresa e in particolare in questo disco, quello di minor successo in assoluto, fa ricorso a ritmiche ed arrangiamenti dal suono piuttosto “duro”, ormai totalmente orientati verso la techno music.

Nel 1994 esce il suo ultimo album, intitolato Hegel. Quest’album non è mai uscito come LP, ma al momento della confezione del cofanetto dedicato all’artista, sarà edita una versione in vinile dall’alto valore collezionistico. Anche questo disco è deludente sul piano del successo commerciale, e la critica, nonostante rimanga colpita dai richiami filosofici dei testi di Panella (oltre ad Hegel, vi è un’evocativa canzone dedicata alla città tedesca di Tubinga), biasima il ripetersi dell'eccessivo ricorso a sonorità computerizzate e il modo di cantare ormai “freddo” di Battisti.

Negli anni trascorsi dall’uscita di questo disco al fatale 1998, si parlerà con insistenza di un riavvicinamento artistico tra Battisti e Mogol, ma tali voci non troveranno mai conferma e, comunque, non si concretizzeranno.

Dopo una lunga malattia, forse motivo del suo progressivo allontanamento dalla vita pubblica, Lucio Battisti muore nell’ospedale San Paolo di Milano il 9 settembre del 1998 all’età di 55 anni; ai funerali, celebratisi a Molteno, dove è sepolto, furono ammesse appena 20 persone, tra le quali Mogol, a riconferma della ricomposizione almeno umana del sodalizio. La sua tomba, molto semplice, rimane una costante meta di pellegrinaggi.