Adolf Hitler

 

 

 

Il ritratto di Adolf Hitler (1889-1945): un genio militare, uno stratega istintivo e brillante, trascinatore di uomini e di folle. “Seguo con sicurezza sonnambolica la via indicatami dalla Provvidenza” - disse - “perché tutto dipende dalla mia esistenza”. La sua vita è circondata da un alone di silenzio e di mistero. A Norimberga, gli uomini una volta a lui più vicini non hanno saputo dire chi era stato veramente, perché Hitler aveva voluto, e saputo, tenere nascoste le proprie radici.   

 

 

Adolf Hitler nasce il 20 aprile 1889 a Braunau sull’Inn, in Austria, e muore suicida il 30 aprile 1945 a Berlino, nel bunker della Nuova Cancelleria insieme a Eva Braun, all’indomani delle nozze celebrate in extremis.

Ma chi è Adolf Hitler, il grande assente di Norimberga, il cui nome ricorre 71.213 volte nei quarantadue volumi degli Atti del processo? L’uomo che per il feldmaresciallo Blomberg  rappresenta “un fenomeno”, ma che secondo von Stauffenberg è “l’Anticristo”?

Hitler è un leader politico di raro acume, trascinatore di uomini e di folle: un capo però privo di ogni ritegno e di ogni principio morale, che vive diffidando di tutto e di tutti. Un uomo senza amici, che nutre soltanto la rabbia contro le élite tradizionali. Dirà nell’agosto del 1939 tracciando il ritratto di se stesso: “Date le qualità politiche di cui dispongo, tutto in realtà dipende da me, dalla mia esistenza. Nessuno godrà mai più come me della fiducia dell’intero popolo tedesco. Nel futuro, probabilmente, non ci sarà più un uomo con un’autorità maggiore della mia. La mia esistenza è quindi un fattore di grande importanza”. 

 

L’ascesa

 

All’inizio degli anni Trenta la Germania è in profonda crisi politica ed economica: ne approfitta Adolf Hitler. Il suo partito nazista nelle elezioni del luglio 1932 conquista il 37,4 per cento dei voti, e nel novembre dello stesso anno il 31,1 per cento. Non riuscendo a formare un altro governo, il 30 gennaio 1933 il presidente della Repubblica, il generale Paul von Hindenburg nomina Hitler cancelliere. Ha inizio il Terzo Reich: in breve tempo il Fuhrer instaura la dittatura eliminando tutti gli oppositori. Il 1° settembre 1939 le truppe tedesche attraversano il confine con la Polonia, ma soltanto dopo l’invasione Hitler dichiara guerra a Varsavia. L’eroica resistenza della cavalleria polacca viene travolta dai panzer tedeschi. È l’inizio della Seconda guerra mondiale e dei suoi orrori: una guerra totale che dal 1939 al 1945 conta cinquanta milioni di vittime. 

 

Stalingrado

 

Il 22 giugno 1941 avviene la svolta decisiva della Seconda guerra mondiale: nonostante il patto con Stalin, il Fuhrer ordina l’invasione dell’Unione Sovietica: ma l’avanzata delle sue truppe e di quelle italiane si ferma nel gigantesco assedio di Stalingrado (luglio 1942-febbraio 1943), dove si combatte con accanimento senza pari, strada per strada. I tedeschi impiegano, con gravi perdite, una quantità enorme di uomini e di mezzi. Alla fine del novembre 1942 i sovietici lanciano una controffensiva con largo uso di carri che costringe il nemico a ripiegare: è la prima grande sconfitta subita dai nazisti nel corso della guerra. Hilter ordina la resistenza a oltranza: le armate tedesche guidate dal maresciallo von Paulus capitolano il 2 febbraio 1943 e in marzo vengono rigettate al di là del Don. Hitler dichiara quattro giorni di lutto nazionale: le ambizioni imperiali del nazismo vengono stroncate dall’Armata rossa il cui prestigio, insieme a quello di Stalin, diventa immenso. Nella sconfitta è inevitabilmente coinvolta la Armata italiana in Russia (ARMIR) forte di 220.000 uomini, male armati, massacrati e fatti prigionieri.     

 

La resistenza al dittatore

 

In Germania, di fronte al graduale fallimento dei piani di Hitler, cresce la resistenza al nazismo. È il 20 luglio 1944: il colonnello Klaus von Stauffenberg, capo di un gruppo di congiurati della Wehrmarcht, fa esplodere una bomba all’interno della Wolfsschanze, il quartier generale del Fuhrer. Scampato alla morte, Hitler procede ad una spietata repressione messa in atto dalle S.S.[1] comandate da Heinrich Himmler: ha così inizio la fase estrema del terrore interno contro gli oppositori politici. Roland Freisler, dal 1942 presidente del Volksgerichtshofs, la Corte popolare di giustizia, pronuncia le sentenze di morte nei confronti dei cospiratori del 20 luglio ’44 con freddezza, senza alcuna pietà. L’effetto principale del fallimento della congiura dunque è quello di consentire al partito nazista e alle S.S. di instaurare nel paese un terrore poliziesco ancora più spaventoso. Nel frattempo viene intensificata la cosiddetta “guerra totale”, con uno sforzo supremo rappresentato dall’azione forsennata del ministro della Propaganda Goebbels. Al popolo tedesco viene assicurato che le armi segrete sono ancora in grado di capovolgere le sorti della guerra, ma ormai le sconfitte si susseguono incessantemente, interrotte soltanto da deboli sussulti di resistenza senza prospettive. Tra la fine del 1944 e la primavera del 1945 i tedeschi consumano infatti fino in fondo la loro tragedia nazionale.

 

Il declino

 

Il 28 aprile 1945 Mussolini e la sua amante Claretta Petacci vengono fucilati e quindi esposti come orribili trofei a piazzale Loreto, a Milano. Tutta l’Italia festeggia la fine della guerra e la caduta del fascismo. Lo stesso tragico destino tocca a Hitler. Il 30 aprile 1945, chiuso nel bunker della Nuova Cancelleria in una Berlino ormai invasa dai sovietici, poche ore prima della sua fine, il capo del Nazismo pronuncia queste parole: ”Lei sceglie di morire con me, come mia moglie, questo è il suo desiderio”. Lei è Eva Braun, l’amante del Fuher, divenuta sua moglie soltanto un giorno prima. Fra le 15 e le 15.30 di quel lunedì 30 aprile ’45 Hitler ingerisce una capsula di cianuro e si spara con una pistola Walther 7,65 mentre Eva, accanto a lui, si toglie la vita avvelenandosi. Ubbidendo alle ultime volontà del Fuher gli aiutanti-SS bruciano i loro cadaveri per impedire che i corpi vengano esposti in pubblico. È questo il drammatico epilogo della lunga storia d’amore tra Adolf ed Eva. Pochi giorni dopo, il 7 maggio 1945, i tedeschi firmano la resa: in Europa la guerra finisce con un terribile bilancio di morte e distruzione.

 


[1]

L’esaltazione ideologica del nazismo, il suo richiamo a torbide esperienze pseudo-culturali (miti medievali, purezze dell’età barbarica), la sua violenza razzistica e soprattutto il suo ossessivo anticomunismo, creano in Germania un elevato potenziale di aggressività e di spirito distruttivo. I risultati sono evidenti: la Germania è immediatamente “occupata” da formazioni paramilitari di tipo nuovo, le S.S.(Schutz-Staffeln, reparti di difesa) comandate da Heinrich Himmler, che il 30 giugno 1934, nella “notte dei lunghi coltelli”, dopo avere eliminato le S.A.(Sturm-Abteilungen, sezioni d’assalto) con a capo Ernst Rohm, si rivolgono contro i reali o possibili avversari del regime, mentre il governo scioglie tutti i partiti politici. La Germania cade immediatamente nella spirale degli omicidi legali, dei rastrellamenti, degli imprigionamenti. Il popolo tedesco sperimenta dunque su se stesso la brutalità, gli eccidi, i Lager che l’esercito tedesco, la Gestapo (Geheime Staats-polizei, la polizia segreta di Stato) e le S.S. avrebbero poi esportato in tutta Europa nel corso della Seconda guerra mondiale.