L'EDITORIALE


[Scenari

   

La più stringente attualità, marcata a fuoco dall'emergenza sanitaria globale provocata dalla pervicace diffusione del Covid-19, grava sulla nostra società rappresentando una pesante angoscia circa le prospettive economiche, contraddicendo fortemente le speranze nutrite nel corso degli ultimi - difficili - anni: una complessa periodizzazione che reca il proprio dies a quo nel fatidico 2008, annus horribilis in tal senso.   

Si sviluppa dappertutto il timore che il modello liberal-democratico plasmato e rafforzato dall’integrazione europea non possieda più gli antidoti indispensabili al superamento della crisi. L’evoluzione delle tecnologie e il comportamento delle imprese sembrano tendere a una contrazione sempre più irreversibile del lavoro, e c’è da temere una marginalizzazione crescente e strutturale dell’occupazione in ampi settori delle industrie e dei servizi. A questo si aggiunge l’esaurimento delle risorse del welfare state e la riduzione conseguente dell’elasticità degli ammortizzatori sociali e degli incentivi pubblici all’economia.

Il pessimismo/realismo, di agostiniana memoria, che scaturisce da un simile quadro d'insieme induce pertanto a prefigurare un futuro di grande incertezza; la disoccupazione infatti, soprattutto se strutturale e permanente, è una delle malattie più gravi della società moderna, poiché corrode il telaio dei comportamenti civili incidendo sulla stabilità democratica.

La grande sfida del Terzo millennio appare dunque quella di fare degli Stati una vera comunità capace di un governo che ne regoli pacificamente gli interessi, rispettando i loro fondamenti e rafforzando l’idea di un “governo mondiale” per un Pianeta Terra trasformatosi  irrimediabilmente in “villaggio globale”. 

La ormai pressoché totale globalizzazione dell’economia, gli effetti ambientali dello sviluppo produttivo, le ripercussioni sociali e politiche dell’esplosione demografica e la maggiore pericolosità delle guerre nell’era nucleare creano così una nuova quanto necessaria coscienza dell’interdipendenza, che si esprime attraverso un semplice assioma: quello che avviene entro i confini di uno Stato può minacciare direttamente anche la vita degli altri Stati. Principio da cui deriva la - crescente - messa in discussione della legittimità e della sovranità assoluta di ciascun membro della comunità mondiale.

Si impone quindi una seria ed articolata riflessione a livello istituzionale e culturale; riflessione - che auspichiamo - ispirata da linee guida destinate a formulare una chiara e netta visione di lungo periodo attraverso parole chiave quali condivisione, inclusione oltreché una efficace lotta alle disparità, in evidente e drammatico aumento esponenziale.

Un pericoloso gap, quest'ultimo, che mette specifici ambiti geo-politici a rischio di decrescita e conseguente emarginazione, danneggiando i relativi equilibri socio-economici, equilibri in taluni casi  già fin troppo instabili.

Ai governi, centrali e locali, l'ardua sentenza. A tutti noi, la forza, la determinazione, la tenacia e soprattutto la fiducia nell'avvenire. Nell'anno - e nel mondo - che verrà. 

 

 

[Alessandro Quinti]


[Un mondo migliore] 

 

Un 2020 di salute e lavoro: un augurio scontato? Credo di no.

 

Eh sì, cari lettori, è proprio questo l’augurio che rivolgo a tutti voi, cittadini romani e non. L’unico augurio che avverto forte e chiaro dentro di me, e nelle corde di tutti coloro che faticano quotidianamente senza tuttavia raggiungere quella serenità di condizione umana che sta - o meglio dovrebbe stare - alla base di una sana convivenza civile e, per chi lo crede, religiosa. Sono tempi di magra, ce lo sentiamo ripetere da almeno dieci anni, bisogna avere pazienza, portare spesso le scarpe strette e ispirarsi a quel buon vecchio boom economico che tanti anni fa ha regalato al Paese prosperità e sviluppo. Ma no, sognare ad occhi aperti non può più bastare a nessuno. La cronaca ce lo insegna. Le proteste di piazza montano ad ogni piè sospinto, la fame e la sete di giustizia sociale aumentano in misura esponenziale, e nulla, neanche il Natale della buona tavola e dei colorati mercatini, è sufficiente a sedare la spasmodica attesa di un reale cambiamento di passo. Roma, la Capitale, rappresenta, per sua natura e vocazione, il crogiuolo, la cartina di tornasole, il gioco del 9, o come altro dir si voglia, di tutto ciò. La sintesi perfetta del bene e del male, del passato da dimenticare e del futuro da immaginare. È da qui che muove la politica centrale: quella del lavoro - che non c’è - quella della sanità - da riformare - quella dell’ambiente - da tutelare - quella della scuola - da implementare -. Ed è qui che pulsa l’ “Eterna” calda vena storica e artistica che “dovrebbe” alimentare un florido mercato, non solamente turistico, della cultura lato sensu. Ed è pertanto questa la città/luogo che deve dimostrare all’Italia intera la volontà vera di fare di ogni suo abitante un cittadino migliore e consapevole. Un 2020 luminoso per tutti. 

 

[Alessandro Quinti]


Cari lettori, la squadra di Indipendente-mens non va in vacanza, perché sta ancora lavorando per voi. Eh già, infatti a settembre prenderà il via una nuova iniziativa editoriale. Questa volta però si tratta di un nuovo sito, di una nuova veste grafica e di nuovi collaboratori che, sotto la guida del nostro Direttore Editoriale, vi offriranno un originale mix di informazione e cultura targato “Caput mundi”.

È una sfida a cui pensavamo da molto tempo, ma che gli impegni intercorsi hanno procrastinato di alcuni mesi.

Speriamo di avervi incuriosito abbastanza:  al momento non possiamo anticiparvi altro.

I motori si stanno scaldando, ma, come capirete, abbiamo bisogno di un “pieno di carburante” per partire con la marcia giusta.

A presto dunque. Augurandovi una luminosa Estate. 

 

La Redazione       

LEGGI QUI LA PRESENTAZIONE


28/5/2018 

 

“I Tempi”: un nuovo progetto editoriale.

 

Cari lettori, è nata “I Tempi”, una nuova rubrica on-line di attualità, arte, cultura e spettacolo. Una nuova impegnativa ma entusiasmante avventura editoriale da me ideata e scritta. Scaturita da una costola del web Magazine Indipendente-mens, “I Tempi” sposterà il proprio campo di azione focalizzando l’attenzione sulla più stringente attualità, senza trascurare però, come mi è caro - chi mi segue lo sa bene - gli aspetti legati alla storia del Paese, dell’arte e della cultura in genere. Sarà una sorta di diario di viaggio, quasi un taccuino italiano, che vi condurrà per mano, come un buon amico, alla scoperta delle nostre origini, nell’ottica del motto da noi di Indipendente-mens condiviso pienamente: “conoscere il passato per capire il presente”.

E allora a presto gentili lettori. “Tempus fugit”! Seguitemi in tanti anche in questo nuovo percorso che sto tracciando per voi. 

 

[Alessandro Quinti]


Editoriale speciale 

 

Un ritratto della personalita' di Cavour: il vero "politico di successo". 

 

Camillo Benso conte di Cavour (Torino, 10 agosto 1810 - Torino, 6 giugno 1861): lo statista, l’uomo abile e spregiudicato che ci ha dato una Patria. Una storia umana e politica, la sua, "tutt'affatto superata", che si snoda attraverso le tappe fondamentali di un’Italia finalmente unita. Un esempio utile a molti, in particolar modo in questi giorni caratterizzati dall'incertezza e dalla estrema volatilità politica, economica, sociale e mediatica.  

 

“Io non sono un Ministro qualunque!”. Così Cavour risponde orgogliosamente a Vittorio Emanuele II che lo critica per la disinvoltura con cui ha ceduto Nizza e Savoia alla Francia. Se la frase non è vera è comunque verosimile e certamente in sintonia con il carattere dell’uomo.

Ma chi è realmente Cavour? Un genio della politica animato da un grande ideale, il protagonista del Risorgimento, l’artefice dell’Unità d’Italia secondo i ricordi scolastici? Oppure, più semplicemente, un uomo privo di scrupoli e di un piano organico che confida nel suo “genio dell’intrigo spinto fino all’eroismo”, come sostengono molti europei suoi contemporanei?

Probabilmente l’uno e l’altro. L’uomo con le sue grandezze e le sue miserie, con le sue geniali intuizioni e le sue piccole meschinerie, con le sue astuzie e la sua grandiosa, stupefacente abilità. La misura dell’opera compiuta da Cavour è data dal fatto stesso che egli muore a soli cinquant’anniNella vita del conte Camillo Benso di Cavour, la realizzazione più notevole è pertanto l’aver presieduto all’unificazione dell’Italia.

Il 17 marzo 1861, appena qualche settimana prima della sua morte, viene infatti ufficialmente proclamata l’esistenza di un nuovo regno unitario, dopo molti secoli in cui la penisola italiana è divisa in numerosi Stati separati. Raccogliere insieme queste repubbliche, ducati e regni indipendenti è qualcosa che pochissimi prima del 1850 ritengono possibile.

Il principale interesse della biografia di Cavour consiste quindi nel decisivo contributo reso alla storia politica ed economica del suo tempo. Cavour è infatti un vero e proprio virtuoso delle molte arti che insieme formano un "politico di successo".

Più di qualunque altro, è lui a sviluppare il sistema parlamentare in Italia, tenendo a battesimo le tradizioni fondamentali che da allora in poi hanno retto il comportamento politico prima a Torino e poi a Roma.

Durante i suoi ultimi anni è costretto a respingere l’assalto di nemici interni sia sulla destra che sulla sinistra. Non solo, ma sopravvive a numerosi tentativi del re Vittorio Emanuele di trovare un Presidente del Consiglio più docile e obbediente.

Alla sua destra stanno quei conservatori che vogliono mantenere l’Italia divisa; alla sua sinistra sono Garibaldi e Mazzini, la cui visione di una nazione unita è molto più radicale e idealistica di quella cavouriana. Per riuscire nell’impresa contro questi avversari Cavour deve seguire un sentiero arduo, e talvolta tortuoso, appoggiandosi alternativamente sulla destra e sulla sinistra, così da neutralizzarle entrambe, realizzando infine quell’operazione supremamente difficile e quasi paradossale che è una “rivoluzione conservatrice”.

L’abilità di Cavour tuttavia si può valutare tracciandone non soltanto i successi ma anche le difficoltà, le incertezze, gli sbagli, nonché ciò che lui stesso chiama “la parte meno bella dell’opera”. La capacità di porre rimedio agli errori e di sfruttare a proprio vantaggio condizioni avverse, rappresenta dunque un ingrediente essenziale della sua suprema arte di statista.

Meditate gente, meditate!        

[Alessandro Quinti]

20/5/2018


23/4/2018 

 

Aprile 1945: memorie della Resistenza. 

 

All’indomani della caduta di Mussolini, alle 19,30 dell’ 8 settembre 1943 Badoglio comunica che l’armistizio con gli eserciti alleati è stato firmato. Meno di otto ore dopo, all’alba del 9 settembre, la famiglia reale e Badoglio lasciano Roma diretti a Pescara e poi a Brindisi. Tutti i partiti antifascisti si uniscono nel Comitato di Liberazione Nazionale che chiama gli italiani “alla lotta e alla resistenza”. La lunga battaglia dell’antifascismo, cominciata nel 1922, è vinta sul piano politico, ma non sul quello militare. Nasce così la resistenza armata che, preparata da venti anni di carcere, di esilio e di oppressione, rappresenta l’ultimo atto vittorioso dell’opposizione al fascismo, e si salda con l’insurrezione degli altri Paesi europei contro la tirannia.

La Resistenza è un grande movimento politico, ma anche una spontanea insurrezione popolare, che si raccoglie intorno agli antifascisti divenuti comandanti militari. Per quasi due anni, le bande partigiane collegate fra loro, nascoste nelle città o sulle montagne, affrontano le divisioni naziste o la superstite milizia “repubblichina”, mentre nel Sud, un nuovo esercito si affianca agli Alleati. L’armata partigiana si dimostra mobilissima, ma anche profondamente legata ai paesi e alle regioni in cui combatte. Ha come meta la vittoria militare, ma anche il riscatto morale ed il rinnovamento sociale. Accanto alle innumerevoli azioni di lotta quell’esercito traccia talvolta nelle zone liberate i primi lineamenti di uno stato democratico.

La Resistenza percorre l’Italia occupata come un grande sussulto dal Sud al Nord, fra battaglie, colpi di mano, salvataggi. Si muove da Napoli che si libera da sola durante le quattro giornate, all’Appennino tosco-emiliano, dai Castelli romani all’Abruzzo, dalla Liguria al Piemonte, dalla Lombardia al Veneto. È un grande esercito al di qua e al di là dei confini, che paga un prezzo di sangue altissimo: 46.000 partigiani morti, 21.000 feriti, 30.000 italiani morti nella Resistenza europea, 33.000 soldati morti nei “Lager” tedeschi, 8.000 deportati politici uccisi nei campi di stermino, 10.000 soldati caduti combattendo accanto agli Alleati nella campagna d’Italia. È il costo della libertà.

L’Italia della Resistenza allinea le pagine di storia più dolorose e più gloriose insieme: villaggi e città liberate, dure battaglie in montagna, la strage di Boves e quella di Marzabotto, le Ardeatine e la battaglia di Firenze, la repubblica dell’Ossola e la liberazione delle grandi città industriali al Nord. Per due lunghi inverni, la nuova Italia è sulla montagna, nel fronte clandestino e nell’esercito di liberazione che combatte affianco degli Alleati: fino al 25 aprile 1945, alla Liberazione, alla pace. È la fine di una lotta cominciata molto tempo prima, e che ha visto cadere tra gli altri, in una linea storica senza fratture, Matteotti e Amendola, Gobetti e Gramsci, De Bosis e i Rosselli, Duccio Galimberti e Bruno Buozzi, Don Morosini e i fratelli Cervi. Ed è da questa lotta che nascono la Repubblica e la Costituzione. 

 

[Alessandro Quinti]


15/4/2018 

Le svolte della politica italiana: le elezioni del 1953.

 

Non è esagerato indicare nel 7 giugno 1953 una data fondamentale nella storia della repubblica italiana, e questo non tanto per il consistente successo realizzato da socialisti e comunisti, quanto per l’effetto che l’esito delle elezioni venne immediatamente a determinare. Tutto un equilibrio politico-parlamentare sapientemente costruito dopo la rottura del tripartito e poi sanzionato dalla vittoria democristiana del 1948 entrava irreparabilmente in crisi, finiva praticamente un’epoca, l’epoca del centrismo di “ferro”, del dominio degasperiano, del quadripartito organico cementato dalla paura del comunismo. Cominciava un lungo periodo di transizione, contrassegnato da frequenti crisi di governo, da un impetuoso e caotico sviluppo industriale, da una nuova dirigenza democristiana subentrata ai vecchi quadri del notabilato degasperiano, incapace per molto tempo di dare una risposta politica chiara in tema di alleanze, di scelte economiche, di leggi sociali alle domande di una società tumultuosamente in espansione, e che perciò oscillò tra caute e subito rientrate aperture a sinistra e governi con deboli maggioranze parlamentari, spesso monocolori appoggiati dalla destra liberale e monarchica, o addirittura dai missini.

Dovranno passare altri sette anni, si dovranno verificare fondamentali avvenimenti di carattere internazionale, occorreranno altre elezioni e poi una massiccia lotta popolare contro un pericoloso tentativo reazionario sostenuto dai fascisti e dalla destra economica, perché la DC, dopo l’ennesimo cambiamento dei quadri dirigenti, arrivi ad elaborare una strategia altrettanto organica di quella centrista, imboccando la strada dell’accordo con il partito socialista che darà vita al centro-sinistra degli anni ’60.

Ma la lontana premessa di questo nuovo corso sta proprio nel 1953, in quell’anno in cui l’elettorato italiano, opponendosi al disegno di un governo centrista di legislatura che si voleva imporre con un meccanismo elettorale antidemocratico - la cosiddetta “legge truffa” -, frustrando le velleità autoritarie della DC e dei suoi alleati, costrinse questi e quella a cercare nuove strade per governare, provocò crisi e contrasti all’interno del partito cattolico e del partito socialdemocratico, insomma segnò un momento di svolta nella politica italiana. 

 

[Alessandro Quinti]


"La famiglia" (1986), di Ettore Scola
"La famiglia" (1986), di Ettore Scola

14/4/2018 

 

"Affari di famiglia": un viaggio tra cultura e società. 

 

Nata alla metà del Novecento, la “storiografia della famiglia” ha conosciuto un vero e proprio boom negli ultimi decenni. Lo sviluppo del lavoro femminile extradomestico, la diffusione dei divorzi, la polemica contro l’autoritarismo e l’emergere dei movimenti femministi giustificano tanto interesse. Inoltre i “grandi numeri” e i processi di lungo periodo ricostruiti dalla demografia storica hanno origine in quella sorta di “microcosmo” che è la famiglia.

Sono, in buona misura, il risultato di una serie di comportamenti, di decisioni, di avvenimenti - le scelte matrimoniali, i desideri procreativi, l’andare e venire degli emigranti, gli eventi della morte - che quotidianamente hanno luogo “sotto uno stesso tetto”, fra le mura di un’abitazione familiare. Lo studio della famiglia, per le complicazioni stesse del tema, ha pertanto allargato fortemente i confini della demografia storica, mettendola a stretto contatto con le discipline economiche e sociologiche, e con quelle  antropologiche e culturali.

Oltre ad essere un aggregato di popolazione, la famiglia è infatti il luogo dove i singoli individui vengono strutturati psicologicamente e socializzati, e dove ruoli e identità trovano il loro primitivo “teatro” e si differenziano a seconda del sesso, dell’età, dei gradi di parentela. Al suo interno si svolgono importanti funzioni economiche - dalla produzione di risorse all’organizzazione dei consumi -, e si decidono i modi attraverso i quali la ricchezza viene trasferita da una generazione all’altra.

La famiglia è dunque un “fenomeno storico” e, come tale, assai difforme nel tempo e nello spazio: ogni tentativo di riassumere la sua complessa realtà in un modello unico appare quindi frutto di utopie etnocentriche. 

 

[Alessandro Quinti]


4/4/2018

 

Il più grande mistero della Storia: l’origine del Cristianesimo. 

 

Il Cristianesimo prende origine da Gesù Cristo, personaggio storico nato, vissuto e morto nell’antica Palestina situata all’incontro di tre continenti e civiltà, l’Asia, l’Africa e l’Europa. Dal tempo della sua esistenza si contano i secoli dell’età moderna.

Gesù Cristo nasce a Betlemme dalla stirpe d’Israele. Secondo le testimonianze storiche, sua madre, una vergine di nome Maria, lo concepisce miracolosamente. Egli trascorre la più lunga parte della sua esistenza nel silenzio e nel lavoro quotidiano, nel piccolo villaggio di Nazaret. Ha circa 30 anni quando inizia con autorità tra i suoi conterranei una predicazione pubblica, portando a tutti ed a ciascuno questo annuncio decisivo: “Dio vi chiama a convertirvi, a credere in lui e ad entrare nel suo Regno”. In Gesù, Dio si rivolge agli uomini per invitarli ad entrare in comunione con lui, e ricevere da lui la felicità alla quale aspirano.

Ma quale enigma si nasconde dietro il nome di Gesù? Quali ipotesi attendibili è possibile fare su di lui? È stato davvero predetto dalle millenarie Scritture degli ebrei?

Ed ancora: Gesù è esistito veramente? O non è piuttosto un mito che la fede ha travestito da storia? Come ha scritto lo scienziato e filosofo francese Blaise Pascal (1623-1662): “O Dio esiste o Dio non esiste. Per quale di queste due ipotesi volete scommettere?”. “Per nessuna delle due, la risposta giusta è non scommettere affatto”, gli replicano. “Vi sbagliate”, continua Pascal. “Puntare è necessario, non è affatto facoltativo”.

Il problema Gesù dunque: a lui sono stati dedicati decine di migliaia di volumi.

Alla Biblioteca Nazionale di Parigi, specchio della cultura occidentale, la sua voce è la seconda per numero di schede: la prima, significativamente è Dieu.

Da molti secoli il dibattito su Gesù è la riserva di caccia, gelosamente sorvegliata, di chierici e di laici accademici. Sono gli specialisti che hanno prodotto e producono quelle migliaia di volumi, confutandosi a vicenda scatenando così una interminabile disputa tra dotti.

A proposito di Gesù tutte le ipotesi sono state fatte, tutte le obiezioni sono state confutate, ribadite, riconfutate all’infinito. Ogni parola del Nuovo Testamento è stata passata al vaglio mille volte: tra i testi di ogni tempo e paese questo è infatti di gran lunga il più studiato. Gesù: è senza dubbio lui il personaggio più interessante della Storia! 

 

[Alessandro Quinti]



2/4/2018

 

"Habemus Papam": in ricordo di Giovanni Paolo II.

 

Quando, nel pomeriggio del 16 ottobre 1978, i fedeli raccolti in piazza san Pietro sentono il nome del nuovo Papa, in molti si interrogano su chi sia quest'uomo “chiamato da un Paese lontano” a raccogliere l'eredità di Albino Luciani, deceduto dopo appena un mese di Pontificato. 

Il nuovo Papa è un uomo dall'aspetto energico, ancora giovane, che pronuncia il suo primo saluto ai romani in un italiano stentato: “se sbaglio mi corrigerete”. Una frase che entra subito nel cuore dei fedeli, che rende immediata e istintiva la simpatia umana nei suoi confronti. 

Chi sia Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II, 264esimo successore di Pietro, i cattolici di tutto il mondo hanno modo di impararlo presto. E l'iniziale simpatia si tramuta rapidamente in un sentimento più forte, in un affetto profondo che non abbandona mai il Papa durante il suo lungo pontificato. Un affetto che porta potenti e umili a condividere le ansie per la sua malattia, a raccogliersi attorno a lui, ormai vecchio e piegato, nella speranza di trasmettergli nuova energia, a piangerlo come si piange un amico, una persona "di famiglia".

Nato a Wadowice, in Polonia, il 18 maggio del 1920, Papa Wojtyla conosce la ferocia nazista e la dittatura comunista. Lotta contro entrambe e la Storia gli dà ragione. Anche se la sua elezione avviene in un momento nel quale la divisione del mondo in "blocchi" sembra irreversibile, una realtà immutabile. E la scelta dei cardinali riuniti in Conclave viene interpretata da alcuni come una inutile e avventata sfida ad un equilibrio mondiale basato sulla contrapposizione Est-Ovest.

Primo Papa non italiano dopo 455 anni e primo slavo in assoluto, Karol Wojtyla ama affermare che ''nei disegni della Provvidenza non esistono mere coincidenze''. E forte di questa convinzione, imposta la propria missione seguendo una sola "logica", quella della fede e delle proprie idee.

La sua è una "rivoluzione" che tocca anche la stessa Chiesa e che si estende al mondo intero, a convinzioni e separazioni secolari. È il Papa che confessa pubblicamente e periodicamente i fedeli come un comune parroco. Il Papa che infila la ''fiteuah'', chiedendo perdono per la responsabilità dei cristiani nell'antisemitismo, tra le pietre millenarie del Muro del Pianto come un semplice ebreo. È il primo Papa a varcare la soglia di una sinagoga dal tempo degli apostoli, a Roma nel 1986. Il primo ad entrare in una moschea, a Damasco nel 2001, e a varcare la soglia di una chiesa luterana nel 1987. È Il Papa che va in vacanza e che scia in Cadore, il Papa che fa costruire una piscina a Castelgandolfo. 

L'elenco dei suoi primati è ancora lungo, a partire dalla durata del Pontificato, il secondo nella storia della Chiesa.

È definito il Papa viaggiatore: i suoi pellegrinaggi lo portano in terre lontane, dove mai un Pontefice è arrivato. Ha compiuto 30 volte il giro del mondo, coprendo una distanza pari a tre volte quella che separa la Terra dalla Luna. Quando viene eletto sono 108 i paesi che intrattengono relazioni diplomatiche con il Vaticano. A fine 2004 il numero sale a 175. Cifre significative che però diventano meno importanti davanti al vero "miracolo" di Giovanni Paolo II: quello di saper parlare ai giovani, di riportarli a dialogare con una Chiesa spesso percepita come lontana.

Muore in Vaticano il 2 aprile del 2005 e i funerali vengono celebrati l'8 aprile davanti a milioni di pellegrini confluiti a Roma da ogni parte del mondo. Si formano code chilometriche di persone che attendono anche 12 ore per vedere il feretro del pontefice. Il pianeta sembra fermarsi e le televisioni modificano i loro palinsesti per trasmettere quasi unicamente celebrazioni liturgiche, dirette da San Pietro e speciali sul Papa. Beatificato dal suo successore Benedetto XVI, il 27 aprile del 2014 viene proclamato Santo da Papa Francesco

 

 [Alessandro Quinti]


1/4/2018  

 

Rappresentanti e rappresentati: una pagina di "storia elettorale" da rileggere.

 

La Resistenza italiana fu essenzialmente “una proposta politica”? O non piuttosto un movimento a carattere nazional-popolare nell’ambito del quale si mossero le forze più valide e più vive del Paese secondo una prospettiva unitaria? - che non prevedeva l’egemonizzazione del fenomeno resistenziale da parte di questa o quella parte politica -. Domanda delle cento pistole!

Quel che è certo è che le elezioni del 2 giugno 1946, nel momento in cui sanzionavano attraverso il referendum la scomparsa del regime monarchico in Italia, portarono alla ribalta una intera classe dirigente, nel cui seno coesistevano le due componenti del movimento di liberazione. Il filone politico antifascista di antica e gloriosa tradizione, che in Italia, ma assai più attivamente in esilio aveva conservato viva la fiaccola della battaglia interrotta nel 1926; l’altro, non meno importante, era costituito da coloro che erano venuti alla vita politica subito dopo il 25 aprile sulla scorta delle esperienze compiute tra il 1935 e il 1940, dei convincimenti fermi che la dolorosa vicenda della guerra aveva maturato nel loro animo ed infine del patrimonio morale e civile accumulato nel corso della lotta contro l’occupante.

Questo discorso passa più o meno attraverso tutte le forze politiche, travalica la componente ideologica per approdare alla dimensione “generazionistica” ed è giusto che sia così, nella misura in cui le forze politiche del dopoguerra seppero raccogliere nelle loro file uomini rappresentativi, stabilendo in tal modo una perfetta aderenza con la realtà del Paese. 

Ed oggi?  Le attuali forze politiche sono ancora in grado di farlo?

Ma soprattutto, nel corso dei prossimi delicati mesi sapranno raccogliere - realmente e concretamente - le sempre più urgenti istanze di un popolo di elettori più che mai incerto e confuso sul significato stesso del proprio ruolo di rappresentati?

Ce lo auguriamo caldamente, per il bene ed il futuro dell’Italia e degli italiani.

 

[Alessandro Quinti]


15/3/2018 

 

Limiti e orizzonti della democrazia italiana:

la "lezione" di Aldo Moro. 

 

È destino degli uomini politici che hanno condizionato una “stagione politica” restare a lungo sospesi, per così dire, in un limbo tra politica e storia. Quello che è accaduto per Camillo Benso di Cavour o per Alcide De Gasperi accade anche per Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916 - Roma, 9 maggio 1978).

Nel loro nome e richiamandosi alla loro esperienza si è continuato - e nel caso di Moro si continua - a fare politica. L’interpretazione del loro operato è arma di confronto e di lotta politica e toglie spazio ad una più distaccata visione storica. Ciò contribuisce a spiegare la radicale divaricazione di giudizi ancora perdurante sull’opera di Moro. 

 

In Moro è centrale l’idea, espressa sempre con lucido realismo, di una debolezza o fragilità della democrazia italiana che rende impossibile le dinamiche caratteristiche delle democrazie più mature, fondate sui meccanismi dell’alternanza fra forze politiche diverse alla guida dello Stato, e obbliga invece ad evitare contrapposizioni nette realizzando aggregazioni politiche articolate e complesse. Moro avverte l’esistenza nel Paese di identità ideali, di motivi di appartenenza forti e radicati, di forze politiche che sono portatrici, tutte, di significative e valide esigenze ma non ancora integrate in una visione comune sulla democrazia. La peculiarità e il radicamento della presenza cattolica, la forza e la decisa caratterizzazione ideologica dei partiti del movimento operaio, la continuità e il valore delle tradizioni laiche sono, nella sua visione, elementi che - pur in una chiara distinzione - devono cooperare per l’edificazione della democrazia italiana.

Moro inoltre registra e denuncia spesso i pericoli di una “passionalità” e di una irrazionalità latenti nel Paese che, coniugandosi alla fragilità delle strutture dello Stato, possono travolgere la democrazia italiana. L’aggregazione delle forze politiche nelle coalizioni di governo ha nella sua visione un obiettivo che va oltre la formazione delle maggioranze parlamentari e di governo, ma investe i fondamenti stessi della democrazia. La Democrazia Cristiana ha in questo processo un ruolo centrale e preminente in ragione dei valori etici cui si richiama e dei consensi che raccoglie. Ma tutti i partiti sono soggetti attivi di questo processo. Moro indica infatti nel partito il “punto di passaggio obbligato dalla società allo Stato”, l’elemento che “riconduce costantemente lo Stato alla fonte del potere, lo tiene in allarme, lo pone in crisi, lo spinge a controllare in ogni istante la sua giustizia e la sua umanità”. “La dialettica cittadino-Stato - aggiunge Moro - è ineliminabile. Ma essa si realizza attraverso la mediazione dei partiti, senza la quale la distanza appare incolmabile e risulta impossibile l’equilibrio della libertà individuale e dell’autorità sociale”. Ma i partiti “non sono solo il momento di sintesi fra società e Stato bensì anche - conclude Moro - tra la realtà del presente, con la quale in larga misura si cimentano i governi, e le prospettive di sviluppo, quel salto di qualità che si coglie irresistibile nella coscienza degli uomini e dei popoli”.

Pertanto il limite della democrazia italiana - l’impossibilità che essa si muova secondo la logica del ricambio e dell’alternanza, il fatto che essa sia fondata sul sistema proporzionale ed esiga sempre perciò la ricerca di coalizioni - diventa per Moro occasione e talento da valorizzare per il consolidamento della democrazia e per una più ricca espressione dei valori della Costituzione. 

 

Una lezione, la sua, da non dimenticare, con tutti i distinguo e le attualizzazioni storico-politiche e di ingegneria costituzionale del caso.

[Alessandro Quinti]


10/3/2018 

 

L’Italia: un sistema infrastrutturale in bilico. 

 

Allora, cari lettori, dove eravamo rimasti?

Ah già, le elezioni! All’indomani della delicata tornata elettorale del 4 marzo dunque, lo scenario che si presenta davanti ai nostri occhi è quello di un quadro dipinto a tinte fosche. Eh sì, perché l’impasse è la ricetta del giorno: una ricetta che in troppi però vogliono cucinare. Mentre sarebbe d’uopo una sana dieta dimagrante preventiva per la maggior parte di coloro che bussano alle porte di Palazzo Chigi. Ma sugli sviluppi di tutto questo, chiaramente, solo il tempo ci darà la risposta definitiva; quella da accendere! Intanto i problemi, quelli veri - come solitamente accade - non aspettano.

Il freddo, la neve, la pioggia, il vento (Burian!), e poi ancora il maltempo che - salvo brevi miglioramenti - tende di nuovo al peggio (Burian bis!), sono tutti elementi che non hanno fatto altro che mettere in evidenza una priorità assoluta nel nostro Paese: ovvero l'insufficiente manutenzione delle principali infrastrutture che la attraversano; dalle strade ai ponti, dalle ferrovie alle innumerevoli vie urbane. Infrastrutture che necessitano urgentemente di un piano di manutenzione ordinaria e straordinaria, unitamente ad una messa in sicurezza che garantisca una completa e regolare mobilità per la cittadinanza.

Un problema, questo, sollevato ripetutamente dagli organismi competenti, precipitato ormai a cascata sulla vita di ognuno di noi: dal centro alle periferie, dalla campagna alle città.

Gli esempi di strade e trasporti letteralmente in tilt sono infatti sulle prime pagine dei giornali da tempo, con le immancabili tragedie correlate. Anche il territorio del III Municipio di Roma, com’è noto ai suoi residenti, ha vissuto, come il resto della Capitale, eventi traumatici per quel che riguarda le - tuttora - difficili condizioni delle strade e delle tante alberature pericolosamente crollate in vari ambiti. Non c’è più tempo. La politica deve decidere rapidamente anche in tal senso. Ne va, a questo punto, della credibilità di un’intera classe dirigente, oltreché dell’efficienza e della serenità del nostro vivere quotidiano, già in perenne, e spesso crescente, affanno!

Aspettando fiduciosi le scelte dell'uomo del monte…un caro saluto.   

 

[Alessandro Quinti]


27/2/2018 

   

Allarme “alberi cadenti” nelle scuole - chiuse -: i Presidi ci salveranno! 

 

Questa è fanta - amministrazione! Mi riferisco alla notizia circa la questione degli alberi pericolanti causa neve (!) all’interno delle scuole romane - ancora chiuse, non si sa per quanto, elezioni comprese? - che dovrebbero essere “monitorati” dai relativi Presidi di Istituto. Va bene la partecipazione, e pure la “strategia partecipativa”, ma una roba del genere non si era mai sentita! Da quanto si legge, infatti, le proteste dei dirigenti scolastici sono "fioccate" come la neve di ieri, e il dietrofront appare dietro l’angolo, ma la questione è un’altra.

La Capitale, ce ne siamo occupati anche noi in questi giorni - sebbene le alberature non siano propriamente il nostro ambito di azione - detiene da sempre il primato di questa pericolosa criticità. È una questione delicata e seria, che va sì monitorata, ma poi affrontata e messa in sicurezza in tempi rapidi e certi da tecnici specialisti del “ramo” - in senso lato! -. Ne va, neanche a dirlo, dell’incolumità dei cittadini, residenti e non, e nello specifico dei nostri ragazzi all’interno dei plessi scolastici. Potremmo inserirla tranquillamente tra le priorità; come tante altre, è chiaro, ma pur sempre una priorità nell’Agenda dell’amministrazione capitolina. In termini di consenso, molto di moda in questi giorni, potremmo perfino arrivare a dire che “chi pota bene vince”. Lo so, è una semplificazione grossolana, ma d’altronde come si dice, “in un mondo di ciechi l’orbo regna”. E a volte, scusate l’ardire, sembra proprio che in questa città si navighi a vista! 

 

[Alessandro Quinti] 


Neve al Parco regionale urbano di Aguzzano - IV Municipio -.
Neve al Parco regionale urbano di Aguzzano - IV Municipio -.

26/2/2018 

 

È arrivata la neve a Roma: e ovunque crollano gli alberi! 

 

Allora era vero! Questa volta le previsioni sono state precise e puntuali. Da stanotte la neve ha cominciato a "fioccare bene" sulla nostra straordinaria città. Stupore e meraviglia assicurati ma, come sempre, disagi e criticità in agguato. Tante le foto da conservare - ne stiamo inserendo "delle belle" per voi nella categoria DAI QUARTIERI - ma quasi altrettanti gli alberi, purtroppo, caduti nei vari quadranti della Capitale. È stato messo a dura prova il lavoro dei Vigili del Fuoco e degli operatori del Servizio Giardini, attivati dalle tante segnalazioni ricevute. La conta è difficile a farsi, la cronaca se n’è occupata molto; noi ci limiteremo a ricordare l’evento più rilevante sul territorio del III Municipio, ovvero quella che è stata definita “l’ecatombe di Via Val Padana”. Innumerevoli le alberature crollate nel noto Viale del Terzo - per chi non è pratico della zona, nei giardini al centro della carreggiata vi sono dei favolosi pini marittimi - anche sulle auto in sosta, causando notevoli danni e ammaccature, senza parlare del caos provocato alla circolazione.

È una scena - quella degli alberi caduti tout-court - che si ripete continuamente. Solo pochi giorni fa avevamo segnalato la caduta di un grosso pino secolare in Viale Tirreno, che aveva coinvolto sei autovetture, come i nostri lettori sicuramente ricorderanno.

Insomma, siamo sempre lì: prevenzione, prevenzione, prevenzione. Un disco rotto che non tutti vogliono ascoltare, ma che rappresenta l’unica strategia da adottare per evitare spiacevoli episodi e conseguente - ma questa volta inevitabile - malcontento generale. In aria di elezioni, non ci sembra poco. Sarà un vecchio consiglio, come quello di non fumare, di adottare una dieta varia e di fare un po’ di movimento, ma sono proprio queste le cose che ci migliorano ed allungano la vita. Fisicamente e politicamente parlando! Perché si sa, prevenire è assai meglio che curare!   

 

 [Alessandro Quinti]


25/2/2018 

 

E dopo il “sabato caldo”…arriva Burian! 

 

Mentre è in via di evaporazione il “caldo sabato romano” - certo non per le temperature ma piuttosto per le manifestazioni e sit-in che ieri, sabato appunto, hanno invaso e attraversato pacificamente Roma, riecheggiando però per taluni aspetti la genesi degli opposti estremismi in Italia - il Paese, così come la sua Capitale, si sta preparando alla gelida calata di Burian, il vento siberiano ormai alle porte del nostro Stivale - secondo le previsioni (!) dovrebbe cominciare a farsi sentire nelle prossime ore -. Dunque tutto è pronto e allertato, Protezione Civile in testa, con tanto di scuole chiuse per la giornata di domani - lunedì -. Nevicherà a Roma? Questa è la grande domanda! Sotto sotto ce lo auguriamo tutti, ricordando il 2012, e ben prima il 1985, per non andare ancora più indietro nel tempo. Eh si, ci vorrebbe proprio una bella nevicata per coprire tutte le aberrazioni scaturite dalla, a nostro avviso, pessima campagna elettorale che volge per fortuna al termine (-7 giorni al fatidico voto! Poi, forse, il diluvio!). Un manto di neve come un velo pietoso! O meglio come un bagno d’umiltà: quello che storicamente si è rifiutata di fare la cosiddetta classe dirigente, politica nella fattispecie, italiana. Eh già, perché una cosa è certa: urge una catarsi, una purificazione degli animi e delle Istituzioni!

Intanto, in quest’ultima (?) domenica ecologica, accontentiamoci di sognare i “romantici” fiocchi di neve sui tetti della Città Eterna, senza pensare, almeno per una volta, agli immancabili disagi che provocherebbero, sperando invece in una "candida" sfida a  suon di pallate di neve! Perché da noi si usa così! 

 

   [Alessandro Quinti]


23/2/2018 

 

Cronache dal Terzo. Dopo la sfiducia il commissariamento: intanto gli alberi cadono! 

 

Rien ne va plus! Les jeux sont faits! Il III Municipio di Roma, sfiduciato, com’è noto, dalle opposizioni il 22 febbraio, è dunque in attesa - si tratterebbe di pochi giorni - del commissariamento da parte della giunta capitolina che - a quanto si apprende dagli organi di stampa - secondo regolamento ne diverrà ufficialmente reggente nominando un delegato per l’ordinaria amministrazione, molto probabilmente nella persona del Presidente uscente. Infine, per completare il - difficile - quadro, per quanto riguarda le elezioni da indire per il rinnovo dell’intero consiglio municipale, evidentemente decaduto - così come quello del Municipio VIII decaduto ad aprile scorso - pare si debba considerare come data utile, a questo punto per entrambi i Municipi privi di "guida", quella della prossima tornata elettorale amministrativa: cioè il 3 giugno. 

Fin qui tutto chiaro, si fa per dire. Ma poi, nella realtà delle cose e soprattutto nella gestione, seppur ordinaria, del territorio cosa dobbiamo aspettarci? I problemi non aspettano però, come gli alberi pericolosamente caduti in questo periodo in varie zone della Capitale. L’ultimo in ordine cronologico stanotte, un grosso pino secolare, abbattutosi rovinosamente su molte automobili in sosta, proprio nel III Municipio, in Viale Tirreno, fortunatamente senza causare danni alle persone. Un esempio, quest’ultimo, che la dice lunga sulla mancanza di prevenzione in tanti ambiti. Certo, perché solo prevenendo attraverso un oculato monitoraggio del territorio si possono evitare eventi spiacevoli - per usare un eufemismo - come quello di oggi. Invece, ad occuparsi di questi aspetti sono perlopiù i validissimi Comitati di Quartiere che tendono spesso a sostituirsi alle Istituzioni stesse, in quanto ad attivismo e perentorietà, rappresentando senza dubbio un punto di riferimento per i residenti delle varie zone. Mentre dovrebbero - anche e non solo chiaramente - fungere da pungolo, da stimolo, a far bene e meglio, per l’amministrazione centrale e periferica.

Un appunto, il nostro, che - lo ripetiamo ancora una volta - non ci occupiamo specificatamente e continuativamente di questi argomenti, ma che data l’eccezionalità della fattispecie ci sentiamo indotti a farlo, non foss’altro che per contribuire a tenere i riflettori accesi su una complessa congiuntura politico-amministrativa che, in un modo o nell’altro finisce per interessare la vita di tutti noi, ognuno nelle proprie specificità.

Sperando nel meglio…un cordiale saluto.   

 

[Alessandro Quinti]

 

(22/2/2018) La lunga crisi di Piazza Sempione/2. Era già tutto previsto.


22/2/2018 

  

La lunga crisi di Piazza Sempione/2. Era già tutto previsto. 

 

È andata proprio così, cari lettori. Il Terzo Municipio di Roma - sulle cui vicende come ricorderete avevo scritto pochi giorni fa, in attesa di “un epilogo” - è dunque crollato a colpi di sfiducia, ed ora vive un interregno di commissariamento, affidato alla Presidente uscente, in attesa di nuove elezioni con data da destinarsi.

È stata una bagarre all’insegna dell’homo homini lupus, quasi uno sfogatoio annunciato da parte delle opposizioni e del pubblico presente, con scene non del tutto ortodosse, ma si sa, la politica è fatta anche di questo. Sono i frangenti in cui è la famosa pancia dell’elettorato a parlare; un elettorato troppo stufo e nauseato dai soliti giochi di potere, dalle spesso latenti incompetenze ed inesperienze amministrative che affiorano nei momenti più importanti, là dove si riconosce il campione.

C’è un po’ di tutto nel calderone. Un minestrone annacquato che ha indubbiamente fatto perdere tempo ed opportunità ad un territorio importante e bisognoso di cambiamenti significativi come è quello del III Municipio della Capitale.

Come ho già avuto modo di scrivere, non è il nostro precipuo ambito di azione, ma è del tutto lecito registrare e prendere atto di una situazione divenuta nel tempo insostenibile, che non poteva che portare alla debacle verificatasi ieri pomeriggio nell’aula consiliare di Piazza Sempione. Da dove necessariamente partono indirizzi e decisioni rilevanti ai fini delle politiche culturali del territorio stesso, e quelle invece sì che ci interessano, e molto anche.      

Ho letto tanti articoli su quanto è avvenuto; da molte settimane ormai se n’è occupata pressoché tutta la stampa romana, locale e non. Su tutti, citerei i vecchi amici de laquartaonline, che sono su piazza da 30 anni, e rappresentano sicuramente la memoria storica di questo variegato e interessante territorio, ricco di potenzialità inespresse.

Che dire. Era già tutto previsto, appunto, ma ora cosa succederà? Con le elezioni politiche e regionali del 4 marzo alle porte il puzzle è davvero difficile da comporsi, agli occhi del profano. L’auspicio altresì è quello che, ora che il gioco si fa duro, che scendano in campo i migliori, cioè coloro i quali con una reale esperienza alle spalle sul territorio e nella politica capitolina “vera”, siano in grado di garantire alla cittadinanza una buona e sana amministrazione, dai programmi e contenuti innovativi, di un certo spessore, ma soprattutto concreti e realizzabili in tempi non biblici. I venditori di fumo sono davvero passati di moda. Che venga avanti il merito, alleato della competenza e dell’onestà intellettuale. Merce rara, lo so, un po’ in disuso, appannaggio di pochi, ma proprio per questo arma vincente e convincente. Noi siamo qui, e questa volta pretendiamo il meglio!  Sicuri che il Terzo risorgerà presto dalle proprie ceneri, come l'araba fenice.

 

[Alessandro Quinti]

 

(15/2/2018) La lunga crisi di Piazza Sempione: una storia di ordinaria politica - italiana -. 


La sede del III Municipio in Piazza Sempione, 15 - Roma
La sede del III Municipio in Piazza Sempione, 15 - Roma

15/2/2018 

 

La lunga crisi di Piazza Sempione: una storia di ordinaria politica - italiana -. 

 

Ormai lo sapete tutti, no? Mi rivolgo evidentemente ai cittadini romani.

L’attuale amministrazione pentastellata del Terzo Municipio di Roma è in aria di definitiva sfiducia. Dopo settimane e mesi di fuochi incrociati, tra pochi giorni infatti i giochi si faranno - forse irrimediabilmente - aprendo un’altro squarcio nella già complessa gestione 5 stelle della Capitale.

Ma non è questo che ci interessa approfondire: altri lo sanno fare e lo faranno molto meglio di noi, e poi non è questo il nostro mestiere. Quello che ci teniamo a segnalare - e a sottolineare - è la situazione generale in cui “vivacchiamo” - e piuttosto male - da troppi anni in questa benedetta Città Eterna.

I veri problemi sono da sempre sotto gli occhi di tutti. E questa volta - dopo l’indimenticabile interruzione forzata della precedente giunta capitolina di centro-sinistra a circa metà legislatura - sembrava che ci fosse almeno un reale impegno amministrativo, oltreché politico, per ri-trovare finalmente il nascosto bandolo della matassa. Ed ora, a un anno e mezzo dai nastri di partenza, ci risiamo; chi continuerà dunque il lavoro intrapreso? - seppur incompleto e opinabile, come tutti i mandati del resto -. Dovrà essere tirato in ballo addirittura il Prefetto per eventuali elezioni da farsi nell’ambito delle prossime amministrative di giugno? Una vicenda dai contorni senza dubbio sui generis. Ma tant'è. 

Intanto imperversano nella sale convegni del territorio i vari candidati alle sempre più vicine politiche - e per noi abitanti del Lazio, come per la Lombardia, anche regionali - del 4 marzo. Uno spiegamento di energie, programmi, e promesse d’altri tempi. Sembra di essere tornati al 18 aprile del 1948. Cose d’un tempo, appunto: un tempo andato in una direzione che la Storia poi ci ha raccontato. E per analogia, dovremo probabilmente attendere anche questa volta che la Storia riesca ad interpretare i movimenti, ma soprattutto gli smottamenti, di questa difficile e stanca contemporaneità politica e sociale.

Nel frattempo permangono però gli intramontabili problemini “evergreen” che complicano la quotidianità di tutti noi: dalla sanità ai trasporti, dalla scuola ai rifiuti, dall'ambiente alla sicurezza, dal lavoro al commercio, dalla mobilità al decoro urbano etc. etc., completate voi la lista a piacere.

Per cui, tornando alla crisi politica e istituzionale del Terzo - che ricordiamo essere il Municipio più grande del Paese per estensione territoriale e densità abitativa, equivalente alla 13° città d'Italia -, parafrasando il grande cantautore Riccardo Cocciante, potremmo concludere nel dire, “ed ora avanti il prossimo, qualcuno - forse - gli lascerà il posto suo...”.

Cionondimeno rivolgiamo i  migliori auguri di buon lavoro alla prossima amministrazione municipale, qualunque essa sarà, se sarà, a prescindere dal colore - o dai colori - della giacca che indosserà. Perché fuor di retorica, ciò che conta veramente - oggi più che mai - sono le persone, non le fazioni, e i tanti problemi da risolvere in virtù di quel mai tramontato valore/obiettivo che è il bene comune .

 

[Alessandro Quinti]        


11/2/2018  

  

I “gloriosi” del 1915-18 “caduti”…nell’erba alta! 

 

Sulla via Nomentana, all’interno di Villa Paganini - di fronte alla splendida Villa Torlonia - il monumento ai “gloriosi caduti dei quartieri Nomentano e Salario” versa in condizioni di totale incuria. Lo avevo già segnalato su laquartaonline nell’agosto del 2016. 

 

Se vi troverete a percorrere la via Nomentana, non vi sarà difficile notare che nella prestigiosa cornice del piccolo parco pubblico di Villa Paganini - sistemato da Raffaele de Vico negli anni Trenta - esattamente di fronte all’ingresso principale della storica Villa Torlonia vi è il monumento ai caduti nella Prima guerra mondiale del quartiere Nomentano e Salario, collocato nel 1938: un’opera di Arnaldo Zocchi (1862-1940).

Ma lo stato attuale del sito rappresenta una “bella gara” tra due caratteristiche molto presenti nella manutenzione “tout court" della Capitale: incuria e abbandono.

Le immagini infatti si commentano da sole. Cui prodest?

E pensare che l’Italia sta celebrando il centenario della Grande Guerra![1]     

 

[Alessandro Quinti]

 


 

[1] Il 28 luglio del 1914, un mese dopo l’assassinio a Sarajevo dell'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia Chotek per mano del rivoluzionario bosniaco Gavrilo Princip, l'Austria dichiara guerra alla Serbia. È l’inizio della Grande Guerra. Quella che appare come una crisi isolata, si trasforma in poco tempo nel più grande e drammatico conflitto della Storia, noto come Prima guerra mondiale. Vari fattori concorrono a far precipitare gli eventi: la forte ostilità tra Francia e Germania; la frenetica corsa agli armamenti tra il 1908 e il 1913; la rivalità tra le potenze colonialiste. Sul campo si danno battaglia i grandi imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero Ottomano e Bulgaria) e le potenze alleate (Francia, Regno Unito, Impero Russo, Serbia). Con queste ultime si allea a guerra in corso l'Italia, dopo un aspro dibattito interno tra interventisti e neutralisti che spaccherà in due l’opinione pubblica. L'entrata in guerra avviene con il patto di Londra del 26 aprile 1915; un mese dopo iniziano i primi scontri sul versante alpino tra l'esercito italiano, guidato dal generale Luigi Cadorna, e quello tedesco. Due anni più tardi, l'ingresso degli Stati Uniti fa definitivamente pendere le sorti del conflitto a favore delle potenze alleate. La guerra termina l'11 novembre del 1918 con un bollettino spaventoso: oltre 9 milioni di vittime militari, circa 7 milioni di vittime civili provocate sia dagli scontri, sia dalle gravi carestie e malattie che ne derivarono. Accanto alle morti e alle mutilazioni provocate dai nuovi armamenti ultramoderni - compaiono per la prima volta carri armati, lanciafiamme, mitragliatrici e gas tossici - vanno ricordati veri e propri crimini di guerra commessi nei confronti degli ebrei, degli armeni e del popolo belga.


9/2/2018  

 

“Febbre da cavallo”: storia di un “cult movie”.

 

“Che mandrakata!” Ve lo ricordate tutti, vero? Romani e non...io penso proprio di si!

Nella scorsa stagione, a 40 anni dall’uscita nelle sale cinematografiche italiane di “Febbre da cavallo”, il teatro Sistina di Roma ha ospitato la trasposizione teatrale del film che ha segnato un’intera generazione arricchendo il vocabolario popolare di espressioni e modi dire che ancora oggi suonano nelle orecchie di tutti, con le stesse inflessioni dei fortunati e talentuosi protagonisti di allora.

Una ‘galoppata’ sul palcoscenico del tempio della commedia musicale italiana con l’adattamento teatrale di Enrico Vanzina, la Supervisione Artistica di Enrico Brignano e le musiche di scena affidate al maestro Fabio Frizzi, co-autore della memorabile sigla.

Sul palco sono saliti attori del calibro di Andrea Perroni, Patrizio Cigliano, Sara Zanier, Tiziano Caputo e del grande Maurizio Mattioli. Un successo assicurato, prima di cominciare! 

 

Il film con Gigi Proietti, Enrico Montesano e Catherine Spaak era uscito al cinema il 17 maggio 1976, accolto con freddezza da critica e pubblico. Diretta da Steno, la pellicola fu poi rivalutata tanto da diventare un “cult” della commedia all'italiana grazie alle battute e alle gag dei due protagonisti Mandrake ed Er Pomata. Nel 2002 Carlo Vanzina  firmò il sequel "Febbre da cavallo - La mandrakata".

Gigi Proietti ed Enrico Montesano sono i primi artefici del successo di "Febbre da cavallo", grazie a due personaggi macchiette come Bruno Fioretti, alias Mandrake (Proietti) e Armando Pellicci, Er Pomata (Montesano). Il primo è un modello squattrinato, il secondo un disoccupato truffaldino, che insieme a Felice (Francesco De Rosa), guardamacchine abusivo, hanno un vizietto: le scommesse ippiche. I tre hanno però anche la capacità di puntare sempre sui cavalli sbagliati, anche quando non si fidano della dritta di Gabriella, la fidanzata di Mandrake (Catherine Spaak), che suggerisce di puntare sulla vittoria di Soldatino, King e D'Artagnan.

Il quarantennale dell'uscita è stato celebrato con una versione restaurata del film - in dvd e per la prima volta in Blu Ray - a testimonianza del successo di massa ottenuto dalla intramontabile commedia.

 

[Alessandro Quinti]


8/2/2018  

 

Parco Talenti: miraggio o realtà? 

 

Quale destino per Parco Talenti, i 40 ettari di verde pubblico attesi con ansia dalla cittadinanza del III Municipio di Roma, trasformatisi nel tempo in una “eterna area cantiere"? Nonostante l’impegno profuso dalle Istituzioni municipali - da quanto si legge sulla stampa  locale - l’iter si prospetta ancora lungo. 

È dal lontano 2001 - anno della firma della Convenzione - che il III Municipio (allora IV) della Capitale attende la realizzazione di questo Parco, previsto in compensazione delle cubature edificatorie del Rione Rinascimento. Ma a tutt’oggi quest’area destinata a verde pubblico, tra nastri e transenne, appare sostanzialmente un cantiere in corso d’opera.

Doveva essere un parco attrezzato dotato di spazi innovativi, di cui i residenti avrebbero bisogno “come il pane”, considerando l’aumento esponenziale del traffico locale e delle relative emissioni inquinanti, nonostante si faccia un gran parlare di "mobilità sostenibile” - argomento al quale andrebbe dedicato un capitolo a parte -.

Invece la realtà è sempre stata sotto gli occhi di tutti, e ad evidenziarla ci hanno pensato - come spesso avviene nel nostro "Bel Paese" - associazioni e comitati dotati di “buona volontà”, che attraverso numerose campagne social e mediatiche hanno rilanciato più volte la problematica, sottolineando ripetutamente la necessità di giungere in tempi rapidi alla completa realizzazione - e conseguente consegna - di questa preziosa area del III Municipio capitolino.

D’altronde, si sa, la speranza è - quasi - sempre l’ultima a morire!  

 

[Alessandro Quinti] 


7/2/2018 

 

Emergenza rifiuti a Roma: un "vecchio" nodo da sciogliere. 

 

Come ben sanno i cittadini romani, prosegue “a singhiozzo” l’emergenza rifiuti sull’intero territorio della Capitale: annoso problema che continua a riempire le prime pagine dei giornali. Turisti e residenti si trovano molto spesso costretti a fare lo slalom tra l’immondizia con il naso turato, alla ricerca di una pattumiera vuota in cui conferire i loro sacchetti. E il rischio sanitario è evidentemente sempre dietro l’angolo. Anche il III Municipio appare ancora - specialmente in determinati ambiti - in piena sofferenza.

Che fare dunque? 

 

Cassonetti stracolmi, buste della spazzatura nel bel mezzo dei marciapiedi, bottiglie, sacchi neri e cartoni che circondano le pattumiere, discariche a cielo aperto e topi in aumento. Intorno, vista la raccolta a rilento, un odore nauseabondo che rende l’aria irrespirabile costringendo i pedoni, oltre allo slalom, anche a turarsi il naso.

È questa, in estrema sintesi, la situazione in cui versano più o meno ciclicamente i vari quartieri della Capitale, dalla periferia al centro.

Una criticità ripetutamente denunciata dai residenti che proprio non ci stanno a vedere le loro zone ridotte in questo modo.

Da parte sua, l’amministrazione capitolina, indubbiamente impegnata a 360 gradi per far fronte alle innumerevoli priorità ed urgenze - in primis sicuramente quella sui rifiuti - di questa - per certi aspetti - ingestibile metropoli che è Roma, ha tante volte dichiarato con forza e determinazione che la città supererà definitivamente l’impasse, sia burocratica che pratica. Ma sono molti i nodi ancora da sciogliere: tempistiche e modalità comprese.

Nel frattempo, la cittadinanza - calendario alla mano - non può che sperare nella competenza e nella lungimiranza dei suoi amministratori. 

 

[Alessandro Quinti]


6/2/2018 

 

La rinascita delle ciclabili: una scommessa per la città di Roma. 

 

È ufficiale. Gli 11 chilometri della pista ciclabile Ponte Milvio - Castel Giubileo, che da novembre scorso erano stai interdetti ai pedoni e ai ciclisti per gli interventi di ripristino e messa in sicurezza, stanno per essere finalmente restituiti ai romani.    

Quella che è sempre stata una delle ciclabili più amate dai cittadini - dai grandi ai più piccoli - versava infatti ormai da troppo tempo in uno stato di difficile praticabilità.

Il fondo stradale era fortemente - e a volte pericolosamente - danneggiato, la vegetazione dai bordi si era “trasferita” al centro della carreggiata, e non era raro imbattersi - nell’ambito di un percorso già accidentato - in vere e proprie discariche a cielo aperto.

Tutto ciò, però, non impediva ai ciclisti più coraggiosi di “avventurarsi” ostinatamente lungo il tracciato, spinti dall’irrefrenabile e sacrosanto desiderio di pedalare all’aria aperta nella propria città.

Ora che la ciclabile di Roma Nord - da quanto leggiamo sui quotidiani - è quasi pronta a tornare pienamente percorribile, in un contesto di decoro e sicurezza, è dunque altrettanto sacrosanto l’augurio che anche gli altri spazi della Capitale dedicati alle due ruote ritornino ad essere facilmente fruibili da parte di tutti i cittadini “muniti” di bicicletta - una categoria in sensibile aumento - eliminando "concretamente" le criticità che nel corso degli anni li hanno - spesso - trasformati in “percorsi ad ostacoli”.     

 

 [Alessandro Quinti]


5/2/2018 

 

Marketing e politica: comunico dunque sono. 

 

Nel  marzo del 1994, come tutti ricorderete, in Italia si svolsero le prime elezioni politiche con il metodo maggioritario. A vincere clamorosamente fu lui, “l’uomo nuovo”, il “re della Tv” Silvio Berlusconi, che in pochi mesi fondò dal nulla un partito politico: Forza Italia.

La produzione di quello che è stato definito il “fenomeno Forza Italia” fu da molti considerata come una splendida operazione di marketing. Una sicura novità connotativa di questo partito rispetto a quelli già esistenti è consistita infatti nell’introduzione e nell’uso di tecniche avanzate di marketing politico.

Sondaggi e ricerche di mercato permisero di confezionare un programma politico veramente su misura dell’elettorato, elaborando un linguaggio il più vicino possibile a quello usato dalla gente durante le interviste, in modo tale da raggiungerla con un messaggio veramente chiaro e, soprattutto, dal contenuto corrispondente a ciò che la gente vuole sentirsi dire.

Da allora, pertanto, il marketing politico si è rivelato uno strumento essenziale per realizzare un valido programma elettorale e comunicarlo poi nel modo più efficace, consentendo così ai partiti di recuperare pienamente il ruolo di recettori e canalizzatori della domanda politica.  

 

[Alessandro Quinti]


1/2/2018  

 

Tra passato e presente: A.A.A. Centro-sinistra cercasi disperatamente. 

 

La formazione in Italia del primo governo organico di centro-sinistra venne considerato un “evento storico”. Sembrava finalmente realizzarsi quell’alleanza tra cattolici e comunisti il cui mancato raggiungimento quarant’anni prima aveva aperto la strada al fascismo. E il “boom economico” dei primi anni Sessanta faceva apparire vicina, cento anni dopo, la soluzione dei problemi irrisolti fin dall’Unità, come il divario tra Nord e Sud. Viceversa, già con il primo governo Moro sembrò iniziare il declino del centro-sinistra.

La responsabilità per le riforme mancate e più in generale per il fallimento del centro-sinistra è stata di volta in volta attribuita al moderatismo doroteo, al “politicismo” moroteo o al massimalismo socialista. Tuttavia, la svolta dei primi anni Sessanta ha certamente costituito un passaggio importante nella storia del primo cinquantennio repubblicano.

Questa alleanza di governo soffrì probabilmente dei molti anni intercorsi tra la sua progettazione e la sua realizzazione.

Fu pensata e progettata già a partire dal 1953, ma venne compiutamente realizzata dieci anni più tardi, quando molte cose erano cambiate sia in Italia che nel mondo.

All’indomani delle elezioni del 7 giugno 1953, dopo il fallimento del centrismo istituzionalizzato e in un contesto internazionale di forte tensione, la situazione politica italiana appariva bloccata fra l’angoscioso problema di fermare il comunismo e il preoccupante rischio di uno scivolamento a destra in senso autoritario.

Da allora divenne sempre più centrale nella politica italiana la questione dell’allargamento dell’area democratica e la definitiva acquisizione ad essa del Partito socialista.

Verso questo obiettivo si delineò un lungo percorso, in cui emersero problemi come il passaggio a metodi compiutamente democratici di lotta al comunismo e la ricerca di una politica estera italiana più dinamica, soprattutto verso i paesi del Terzo Mondo.

Sia pure faticosamente, questi problemi trovarono una soluzione. Gradualmente i socialisti aderirono in modo pieno alle istituzioni della democrazia e accettarono la collocazione  occidentale dell’Italia.

Ma gli anni fra il ’53 e il ’63 furono anche anni di intense trasformazioni per la società italiana.

La Dc di Fanfani si pose in modo prioritario il problema dello “sfondamento a sinistra”, attraverso la realizzazione di una politica economico-sociale in grado di sconfiggere la miseria e di eliminare quelle che sembravano le cause principali della forza comunista.

L’economia italiana conobbe uno sviluppo eccezionalmente intenso - tra il ’59 e il ’63 si realizzò il cosiddetto “miracolo economico” - incentrato su fenomeni come l’esportazione e l’aumento dei consumi privati.

Tra i fenomeni sociali collegati a questa intensa trasformazione, ci fu soprattutto una vasta migrazione da Sud a Nord che mutò profondamente il volto delle grandi città italiane.

A questi sviluppi però non corrispose l’atteso risultato politico. 

 

E' dunque inevitabile il rimando alla incerta situazione politica e sociale dei nostri giorni. Uno scenario in cui quel che resta del centro-sinistra - big compresi - come un moderno "Diogene", è alla disperata quanto necessaria ricerca di una nuova e "luminosa" linfa vitale per affrontare le insidiose sfide del futuro. Potremmo infatti definire quella che - nostro malgrado - ci troviamo a vivere, una difficile attualità “sospesa” - caratterizzata da continui stop and go, passi in avanti e passi indietro, riforme e contro-riforme -, legata a filo doppio all'ennesima famigerata campagna elettorale, ormai in pieno corso, che traghetterà, in un modo o nell'altro, il Paese fino alla prossima primavera. Una stagione che vogliamo comunque immaginare carica di belle speranze!

Auguri Italia!   

 

[Alessandro Quinti]


12/12/2017 

 

Aspettando il "Natale...in casa Cupiello".

 

Il 25 dicembre del 1931, al Teatro Kursaal di Napoli, Eduardo De Filippo porta in scena per la prima volta “Natale in casa Cupiello” (due atti, poi ampliati in tre nella versione del 1943), legato in parte alla tradizione farsesca dell’antica Commedia dell’Arte. Ma l’atmosfera, a mezzo tra il tragico e il comico, e i temi (la solitudine, la volontà dell’individuo di reagire all’indifferenza e al male, la sconfitta dell’uomo buono), indicano la vocazione umoristica di Eduardo e, nel contempo, anticipano l’amara riflessione sulla vita delle sue opere più mature. 

 

Con il Natale che sta per bussare alla porta di tutti noi, gentili lettori, assume quindi un significato del tutto particolare rileggere insieme i momenti salienti della trama di questa straordinaria e “tradizionale”rappresentazione teatrale.

Con i miei più sinceri  auguri. 

 

[Alessandro Quinti]   

 

 

Natale in casa Cupiello 

 

Il modesto tipografo Luca Cupiello, detto Lucariello, vive con la moglie Concetta, il figlio Tommasino, detto Nennillo, e un fratello, Pasquale. La famiglia non è serena: il figlio è scapestrato, vive di espedienti e deruba lo zio; la figlia Ninuccia non va d’accordo con il marito Nicolino e pensa di fuggire con l’amante Vittorio; la moglie cerca di nascondere al marito le grane familiari. Luca, che patisce silenziosamente la situazione, si rifugia nell’allestimento del Presepe, fiducioso che la bontà del Bambinello Gesù possa calarsi come per miracolo nell’indifferenza degli uomini e scacciare il male. Ma il Presepe è criticato dalla famiglia, disdegnato da Tommasino e infine rotto da Ninuccia in una crisi d’ira. Durante il pranzo natalizio, messa all’improvviso a fuoco la situazione familiare e compreso che la realtà è più drammatica di quanto si era immaginato, Luca è colto da malore. Il crollo fisico e psicologico che ne segue lo condurranno alla morte, ma gli conquisteranno l’amore sincero dei figli; Nennillo più di tutti comprende il dramma del padre e cambia comportamento. Per qualche istante Luca ritrova la serenità vedendo la famiglia affettuosamente unita intorno a lui: nel delirio scambia Vittorio per Nicola (il genero invece è partito), quindi chiede a Ninuccia e a Vittorio di giurare che non si lasceranno mai più, e muore guardando il Presepe. Ma il “miracolo” si è avverato solo nella sua mente.  


15/11/2017 

 

La mobilità "in-sostenibile" in Italia: che fare?

 

I dati allarmanti rilevati nelle ultime stagioni - e le conseguenti misure adottate dalle varie amministrazioni comunali - segnalano che anche il III Municipio, come del resto tutta Roma Capitale e buona parte del Paese, soffre ormai ciclicamente della cosiddetta “emergenza smog”: una “patologia” urbana di cui si conoscono bene le cause, ma non ancora  il “vaccino”.  

Per guardare concretamente al futuro, si impone quindi una tanto necessaria quanto non più rinviabile riflessione in merito all’elaborazione di una nuova cultura della “mobilità sostenibile”.   

Ma cosa si intende, concretamente, con questo termine?

La mobilità sostenibile è un sistema di mobilità urbana in grado di conciliare il diritto alla mobilità con l'esigenza di ridurre l'inquinamento e le esternalità negative, quali le emissioni di gas serra, lo smog, l'inquinamento acustico, la congestione del traffico urbano e l'incidentalità. Queste esternalità hanno un costo sociale che grava su tutti e possono essere rimosse soltanto con una adeguata regolamentazione mediante intervento pubblico. 

Lo sviluppo industriale e il potenziamento dei trasporti, in una società dei consumi che richiede un approvvigionamento di beni sempre maggiore, fanno riflettere sulle conseguenze di questo grande spostamento di massa. Uno spostamento che non coinvolge soltanto le merci ma anche le persone con effetti negativi sull’inquinamento atmosferico e acustico, sulla salute dei cittadini - malattie respiratorie, problemi all’udito - e sulla loro sicurezza - traffico e incidentalità - tenendo conto che oltre il 92% degli spostamenti avviene su strada utilizzando auto, moto, autolinee e bus/tram/metro. Una situazione complessiva che, come già accennato,  ha un impatto notevole anche sui costi sociali.

Tali considerazioni hanno portato negli ultimi anni a ripensare al concetto di mobilità, per fare in modo che i mezzi di trasporto vengano utilizzati nel rispetto dell’ambiente e della persona umana. In questo senso diventa una necessità parlare di “mobilità sostenibile”: dal punto di vista ambientale per ridurre i cosiddetti gas serra in linea con i principi del protocollo di Kyoto sottoscritto da 180 paesi nel mondo; sociale per migliorare la salute, i comportamenti, la sicurezza e l’occupazione dello spazio pubblico; economica per intervenire sui costi ed avere un effetto positivo sul sistema economico complessivo.

L’Italia è tra i Paesi europei che possiedono più automobili, quindi occorre ragionare su una diversa cultura della mobilità.

Un aiuto ci viene dall’Europa, che ha fornito alcune indicazioni per orientare le politiche nel settore dei trasporti. Ha inoltre definito alcuni obiettivi vincolanti: una riduzione delle emissioni tra il 2012 e il 2020 di almeno il 13%; una produzione di energia da fonti rinnovabili nel 2020 almeno pari al 10% del consumo finale di energia nel settore trasporto; livelli di emissione delle auto e dei veicoli commerciali con interventi sui pneumatici e sui climatizzatori.

In Italia la “mobilità sostenibile” è stata introdotta con il Decreto Interministeriale Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane del 27/03/1998.

La normativa tuttavia stenta a raggiungere i risultati sperati. I problemi relativi alla mobilità sono infatti spesso demandati alle amministrazioni locali, senza un vero e proprio piano di intervento a livello nazionale e sovranazionale. Le nostre città, di conseguenza, sono ogni giorno sempre più intasate: paradossalmente le strade aumentano e il traffico cresce. 

Il trasporto su gomma - sia di persone che di merci - rappresenta una delle maggiori cause della crescita gas serra in Italia, e per invertire la tendenza occorre quindi investire sulla mobilità sostenibile nelle città e promuovere lo spostamento delle merci su ferrovia. Invece, a tutt’oggi, oltre il 70% dei fondi destinati al trasporto vengono utilizzati per strade ed autostrade, premiando in tal modo proprio la forma più inquinante di mobilità.

L’Italia inoltre è il Paese con il più alto rapporto macchine-abitanti nel mondo: 61 automobili ogni 100 abitanti. Rapporto che sale a 71 vetture ogni 100 abitanti nella Capitale. Un primato certo non invidiabile. L'esperienza ci insegna peraltro che non serve a nulla costruire nuove strade o ingrandire quelle esistenti. Per ridurre il traffico dobbiamo usare il meno possibile l'auto, e farci salire più persone: questa è la filosofia della mobilità sostenibile. E, appena possibile, alimentarle con combustibili poco inquinanti - metano e gpl -.

Esistono poi esperienze ancora troppo poco collaudate - ma in continua crescita - come il car-pooling, una modalità di trasporto che consiste nella condivisione di automobili private tra un gruppo di persone, con l'obiettivo di ridurre i costi del trasporto e di contribuire alla riduzione dell'inquinamento, o il car sharing, un servizio che permette di utilizzare un'automobile su prenotazione, prelevandola e riportandola in un sito predefinito e possibilmente vicino al proprio domicilio, pagando quindi solo per l'effettivo utilizzo.

Car pooling e car sharing pertanto fanno parte delle politiche di mobilità sostenibile per favorire il passaggio dal possesso del mezzo all'uso dello stesso, permettendo così di rinunciare all'auto privata ma non all’esigenza di mobilità. L'ideale per muoversi in città restano comunque la bicicletta o il mezzo pubblico - tram, bus, metro, treno -. Economici e pratici, essi rispettano la filosofia della mobilità sostenibile. Sempre più presenti sul mercato sono anche la bici elettrica, insieme a l’auto e la moto elettrica. Emissioni zero, alta affidabilità, bassissima manutenzione e ricariche economiche sono alla base del loro crescente successo, oltre a fornire un valido contributo alla “mobilità sostenibile”.  

Già oggi quindi è possibile scegliere tra un mezzo o l’altro in tutta semplicità, in base al percorso che dobbiamo percorrere in quel dato momento. Per dimenticare o lasciare in garage l’auto privata.

Per venire incontro alle rinnovate esigenze di una società che cambia, con nuovi stili di vita e una diversa organizzazione dei centri urbani, nascono anche figure professionali specifiche come ad esempio il Mobility Manager, che ha il compito di stimolare l’adozione di soluzioni di trasporto alternative alla vettura privata.

Nuovi attori e nuove competenze, dunque, in un mercato del lavoro che sarà alla ricerca di profili sempre più “green”.  

 

[Alessandro Quinti]


31/10/2017   

 

Monica Vitti: il ritratto di una "diva ironica". 

 

Maria Luisa Ceciarelli, in arte Monica Vitti, nasce a Roma il 3 novembre del 1931.

Studentessa presso l’Accademia d’Arte Drammatica esordisce in teatro nel 1953, dando prova delle sue brillanti capacità affrontando Shakespeare e Moliére: poi la televisione.

Commediante versatile, a partire dal 1955 passa dai ruoli comico-brillanti (“Ridere, ridere, Ridere”) a quelli drammatici o, comunque, meno estemporanei e più complessi. Anche sulle scene viene diretta prima da Mario Amendola in “Le dritte” (1958) e poi da Michelangelo Antonioni, di cui è stata dal 1959 musa ispiratrice oltre che interprete e compagna per alcuni anni, ( “Io sono una macchina fotografica di J. Van Druten, “Ricorda con rabbia” di J. Osborne). Nel 1958 si cimenta in  “I capricci di Marianna” di Alfred De Musset, e nel 1964 interpreta “Dopo la caduta” di Arthur Miller.

Tra le performances televisive è da ricordare, su tutte, quella nelle “Notti bianche” di Dostoevskij (di Vittorio Cottafavi, 1962). Ma è il cinema a darle notorietà internazionale con la trilogia di Antonioni, “L’avventura” (1959), “La notte” (1960), “L’eclisse” (1962), conclusa da “Deserto rosso” (1964), in cui trasmette quattro diverse immagini dell’inquietudine e della nevrosi al femminile, in un’analisi di isolamento e decadenza morale della società borghese dell’epoca priva di qualsiasi speranza.

Attrice intensa, sensuale, realmente problematica, scontrosamente eclettica, interprete eccezionale dell’angoscia e del vuoto esistenziale, Monica Vitti preferisce poi la commedia all’italiana, fino ad allora genere monopolizzato dagli uomini, insistendo però nella recitazione con una sfumatura di grottesco, ottenendo grande successo di pubblico. Da “La ragazza con la pistola”, 1968, di Mario Monicelli, nomination all’Oscar come miglior film straniero, a “Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca”, 1970, di Ettore Scola; da “Polvere di stelle”, 1974, con Alberto Sordi, toccante rievocazione del mondo dell’avanspettacolo, a “L’anatra all’arancia”, 1975, di Luciano Salce, con Ugo Tognazzi, adattamento della commedia omonima di Home e Sauvajon, a “Io so che tu sai che io so”, 1982, diretto e interpretato da Alberto Sordi.

Fanno eccezione le parentesi con Jancsó in Italia ( “La pacifista”, 1971), con Buñuel in Francia ( “Il fantasma della libertà”, 1974) e anche la “Tosca” (1973) di Luigi Magni, senza contare il ritorno con Antonioni ne “Il mistero di Oberwald” (1980).

Nel 1984 si aggiudica il premio per la miglior interpretazione femminile al Festival di Berlino con “Flirt”, opera prima di Roberto Russo, da lei anche sceneggiata: dello stesso regista è anche “Francesca è mia” (1986).

In seguito la Vitti varia ed amplia la propria attività, lavorando in teatro ( “La strana coppia”, 1987; “Prima pagina”, 1988) e in televisione.

Nel 1990 scrive, dirige e interpreta il film “Scandalo segreto”, Globo d’oro come regista e come interprete.

Nel 1995, alla Mostra del Cinema di Venezia, le è stato assegnato il “Leone d’oro” alla carriera. Dal 2000 non è più apparsa pubblicamente. Affetta da una patologia simile all’Alzheimer, la grande attrice infatti si è ritirata a vita privata da oltre 15 anni. Attualmente, a quanto si apprende dalla stampa, Monica Vitti sarebbe ricoverata in una clinica specializzata in Svizzera, circondata dall’affetto dei suoi cari. Il ricordo di questa intramontabile icona del cinema italiano, tuttavia, non sembra essersi per nulla affievolito. 

 

[Alessandro Quinti]


26/10/2017   

 

“Donne al volante…”. Ada Pace: il ritratto di una leggenda dell’automobilismo italiano. 

 

Ada Pace, conosciuta con lo pseudonimo di Sayonara [1], era nata a Torino il 16 Febbraio del 1924.

Figlia di un artigiano, fin da piccola manifestò talento per lo sport. Praticò la pallacanestro e partecipò a gare di atletica e tiro a segno. La sua passione per i motori emerse fra il 1947 e il 1948, quando partecipò alle gare organizzate dal “Vespa Club”. La Piaggio, riconoscendo le sue capacità, scelse di affidarle una moto ufficiale e di prenderla nella propria squadra.

Dagli anni Cinquanta prese parte anche ad alcune gare automobilistiche: si presentò alla “Torino - San Remo” del 1951 guidando una Fiat 1500 6C, e vinse contro ogni pronostico.

La sua vittoria fu difficile da gestire per i genitori, che provavano disagio nel sapere che la propria figlia si “mescolava” a quel mondo maschile. Anche la direzione della gara non seppe come gestire una vincitrice, poiché nel regolamento non era menzionato alcun riferimento alla partecipazione di piloti di sesso femminile. Ada venne premiata con un mazzo di fiori, e raggiunse il podio guidando la sua vettura, “scortata” dalla madre che le stava seduta accanto, l’unico modo per non creare scandalo.

Il suo palmarès è notevole e comprende una serie impressionante di vittorie e ottimi piazzamenti in gare automobilistiche e motociclistiche: era una specialista delle corse su strada e soprattutto delle cronoscalate.

La sua carriera non fu priva di incidenti anche gravi: durante una competizione a Monza, uscì rovinosamente di pista con la sua Giulietta, ribaltandosi e finendo in un lago di carburante. Uscì dalla vettura da sola, senza l’aiuto di nessuno, sfondando a calci il lunotto posteriore, giusto in tempo per evitare le fiamme.

La sua lunga carriera si è conclusa nel 1965, a seguito di un drammatico incidente in un rally.

Ha continuato, nonostante tutto, a partecipare ad altre esibizioni per puro divertimento personale.

Ada Pace si è spenta nella sua Torino il 15 novembre del 2016, all’età di 92 anni

 

Eppure c'è ancora chi osa attribuire alle donne l'appellativo di "gentil sesso debole"...!

 

[Alessandro Quinti]

 


 

[1] Spesso poneva, al posto della targa posteriore, la scritta “Sayonara” - in giapponese “arrivederci” - come sberleffo verso gli altri corridori che avrebbe sorpassato e battuto in gara. Questo divenne il suo pseudonimo ufficiale.

 


25/10/2017  

 

I tanti volti del “secolo breve”: Ernst Nolte. 

 

Storico tedesco, ordinario di Storia Contemporanea a Marburgo dal 1965 e alla Freie Universität di Berlino dal 1973, Ernst Nolte era nato a Witten, in Germania, l’11 gennaio del 1923.

Di formazione filosofica (fra i suoi maestri ricordiamo Martin Heidegger: la sua tesi di dottorato, nel 1952, è dedicata all'idealismo tedesco), Nolte si è spostato verso la storiografia con “I tre volti del fascismo” (1966), opera che lo ha reso noto a livello internazionale.

È stato autore di numerosi contributi sulla storia del Novecento; opere che hanno avuto come punto focale il fascismo e il comunismo, il cui rapporto è stato interpretato in una chiave che ha rivelato forti affinità con la teoria del totalitarismo. È stato al centro dello Historikerstreit accesosi in Germania intorno all'interpretazione dei crimini nazisti, sostenendo che tali crimini andassero messi in relazione con quelli perpetrati dalla Russia staliniana.

In “Nazionalismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945”, pubblicato nel 1987, i crimini nazisti vengono relativizzati e il centro dell'ideologia hitleriana è visto nell'antibolscevismo. Anche in quest'opera, come nel resto della sua produzione, il metodo di Nolte è stato quello di una storiografia filosofica che, in taluni passaggi, risulta alquanto nebulosa.

La sua tesi revisionista è ribadita anche nell’opera intitolata “Gli anni della violenza” (1995), in cui Ernst Nolte riconduce le lotte sanguinose e le lacerazioni che hanno caratterizzato il Novecento -  dagli anni della Grande Guerra fino al crollo del regime sovietico - alla contrapposizione tra i due totalitarismi, comunismo e fascismo, quest'ultimo considerato come una semplice reazione al primo.

È comunque innegabile il grande valore della sua attività di ricerca che, secondo l’autorevole storico francese François Furet (1927-1997), ha avuto il merito di “spezzare il tabù che vietava la critica del comunismo e con questo impediva anche la comprensione del fascismo”.

Il 4 giugno 2000 ha ricevuto il Premio Konrad Adenauer per la scienza.

Ernst Nolte si è spento a Berlino il 18 agosto del 2016, all’età di 93 anni

 

[Alessandro Quinti]


 24/10/2017  

 

Ermanno Rea: lo scrittore che ha dato voce alla “questione meridionale”.  

 

Nella sua lunga carriera aveva scritto per numerosi quotidiani e settimanali. Il suo romanzo autobiografico “Mistero napoletano” aveva vinto il Premio Viareggio nel 1996. Aveva vinto anche il Premio Campiello, nel 1999, con “Fuochi fiammanti a un’hora di notte”, e con “Napoli ferrovia” era stato finalista allo Strega nel 2008. All’attività di intellettuale, Ermanno Rea - nato a Napoli il 28 luglio del 1927 - aveva unito anche l’impegno politico, che lo aveva portato a candidarsi con la Lista Tsipras alle ultime elezioni Europee.

Vissuto a Milano e a Roma, attraverso il lavoro di giornalista Rea si era avvicinato alla realtà con la concretezza di chi parte dal caso specifico umano.

I suoi libri infatti sono prevalentemente inchieste su casi personali, come quella su Federico Caffè. Per “La dismissione”, poi, egli era tornato a Napoli per seguire la storia dello smantellamento dell’acciaieria Ilva di Bagnoli: simbolo di una città che cercava nell’industrializzazione la via per uscire dal sottosviluppo. Ermanno Rea, tra l’altro, era stato anche presidente delegato del Premio Napoli di letteratura, istituito nel 2003.

Il 4 marzo del 2014 si era ufficialmente candidato alle Elezioni europee come capolista per “L’Altra Europa con Tsipras”, nella Circoscrizione Italia meridionale (che raccoglie i 18 collegi elettorali dell’Abruzzo, del Molise, della Campania, della Puglia, della Basilicata e della Calabria) a sostegno della candidatura di Alexis Tsipras, presidente del partito politico greco della Coalizione della Sinistra Radicale (SYRIZA) alla Presidenza della Commissione europea. Con 11 mila preferenze non era stato eletto, superato dalla seconda in lista Barbara Spinelli, eletta deputato con 27.955 preferenze.

Ermanno Rea si è spento nella sua casa di Roma il 13 settembre del 2016, all’età di  89 anniAspettava con ansia l'uscita del suo ultimo romanzo, “Nostalgia” - a cui teneva moltissimo - che è stato pubblicato il 13 ottobre dello stesso anno da Feltrinelli. 

Non dimentichiamolo.

 

[Alessandro Quinti]