Albert Speer

 

 

 

 

L’architetto del Reich 

 

 

Albert Speer, l’architetto prediletto da Adolf Hitler [1], venne accusato per la deportazione e lo sfruttamento dei civili europei.

Figlio e nipote di architetti, Speer era nato il 19 marzo del 1905 a Mannheim, nella Germania meridionale, da una famiglia della buona borghesia di tradizione politica liberale.

Aderì al Partito nazional-socialista negli anni Venti ed entrò a far parte dell’entourage di Hitler con il suo avvento alla Cancelleria nel 1933. Nominato da Hitler nel febbraio del 1942 ministro degli Armamenti, si servì dei prigionieri di guerra anche nell’industria bellica.

Durante una riunione del 30 ottobre 1942 affermò che molti operai che si dichiaravano malati erano soltanto dei simulatori: “Non ho nulla da eccepire quando SS e polizia prendono contro costoro misure rigorose e li mandano in un campo di concentramento”.

Speer, con quattordici milioni di lavoratori alle proprie dipendenze, divenne il “dittatore dell’economia bellica tedesca” e, nel giro di due anni e mezzo, le forniture di armi e di munizioni si triplicarono.

Ascoltato a Norimberga nell’udienza del 19 giugno 1946, centocinquantottesima giornata del processo, riconobbe tuttavia che Hitler aveva tradito il popolo tedesco “gettandolo nell’abisso”. “Conobbi il Fuhrer nel 1934, quando avevo 29 anni - disse al suo avvocato difensore - ed egli si interessò subito a me, alla mia attività di architetto, perché lui era un fanatico di costruzioni, e mi affidò l’incarico di edificare la Nuova Cancelleria di Berlino ed alcuni edifici qui a Norimberga, sull’area destinata ai congressi del partito. Ebbi così un contatto assiduo con lui ed entrai in una cerchia di intimi del Fuhrer, di cui facevano parte altri artisti e suoi collaboratori dello Stato Maggiore. Se Hitler avesse potuto avere degli amici, certamente sarei stato fra quelli a lui più vicini”.

Ma poco dopo aggiunse: “Sbaglierei se ora sostenessi che, all’epoca, avevo compreso appieno la malvagità di Hitler. Vedevo il Fuhrer come l’unico uomo capace di tenere unito il popolo tedesco e, per motivi che non so spiegare neppure a me stesso, ero inesorabilmente attirato dalla Cancelleria di Berlino. In realtà ho imparato a disprezzarlo e ad odiarlo dal profondo del cuore solo quando sono stato messo davanti alle prove inoppugnabili presentate qui a Norimberga”. Condannato a venti anni di reclusione, venne scarcerato nel 1966.

Morì a Londra il 1 settembre del 1981.



[1] Adolf Hitler nasce il 20 aprile 1889 a Braunau sull’Inn, in Austria, e muore suicida il 30 aprile 1945 a Berlino, nel bunker della Nuova Cancelleria insieme a Eva Braun, all’indomani delle nozze celebrate in extremis. Ma chi è Adolf Hitler, il grande assente di Norimberga, il cui nome ricorre 71.213 volte nei quarantadue volumi degli Atti del processo? L’uomo che per il feldmaresciallo Blomberg rappresenta “un fenomeno” ma che secondo von Stauffenberg è “l’Anticristo”? Hitler è un leader politico di raro acume, trascinatore di uomini e di folle: un capo però privo di ogni ritegno e di ogni principio morale, che vive diffidando di tutto e di tutti. Un uomo senza amici, che nutre soltanto la rabbia contro le élite tradizionali. Dirà nell’agosto del 1939 tracciando il ritratto di se stesso: “Date le qualità politiche di cui dispongo, tutto in realtà dipende da me, dalla mia esistenza. Nessuno godrà mai più come me della fiducia dell’intero popolo tedesco. Nel futuro, probabilmente, non ci sarà più un uomo con un’autorità maggiore della mia. La mia esistenza è quindi un fattore di grande importanza”.