Aldo Palazzeschi

 

La vita e le opere di Aldo Palazzeschi (1885-1974): il ritratto di un grande protagonista del Novecento letterario italiano, a cui il III Municipio di Roma ha intitolato una via nel quartiere Talenti. 

 

Aldo Palazzeschi nacque a Firenze il 2 febbraio del 1885. Adottò il cognome della nonna materna quando a vent’anni pubblicò il primo libro di poesie. Il padre, un agiato commerciante di stoffe, avrebbe voluto fare di lui, unico figlio, un uomo d’affari. Ragion per cui lo avviò agli studi commerciali. Affascinato dall’amore per il teatro, subito dopo aver preso il diploma di ragioniere, anziché cercare un’occupazione stabile, nel 1902 si iscrisse alla Regia Scuola di Recitazione “Tommaso Salvini”.

Abbandonò però ben presto la carriera teatrale per dedicarsi interamente alla nuova passione, la letteratura.

I primi tre libri li pubblica a proprie spese facendo figurare sul frontespizio come editore il nome del proprio gatto, Cesare Blanc. Del libro di esordio, I cavalli bianchi, uscito nel 1905, si accorge Sergio Corazzini che ne fa cenno in un articolo pubblicato l’11 marzo 1906 sul «Sancio Panza», un quotidiano politico-satirico edito a Roma.

Più considerevole per le conseguenze che ebbe fu, senz’altro, l’amicizia nata nel 1909 tra Palazzeschi e Marinetti. Su suo invito, l’autore del Codice di Perelà aderisce, sia pure in modi personalissimi, al movimento futurista, partecipando fra l’altro ad alcune delle famigerate, turbolente serate futuriste. Nelle Edizioni di «Poesia» apparvero del resto i suoi successivi volumi: la raccolta delle liriche L’Incendiario, il romanzo Il Codice di Perelà, il manifesto del Controdolore. Dei giovani poeti che si riconoscevano nel programma marinettiano, Palazzeschi condivideva l’intento di fondo: mandare in frantumi le convenzioni letterarie ereditate dall’Ottocento. Di suo portava nel gruppo un accesissimo senso dell’ironia e del gioco, che lo differenziava sensibilmente da Tommaso Marinetti e soci.

Il processo di destrutturazione del canone narrativo classico prosegue poi nel discusso La Piramide, uno “scherzo” in tre parti (così lo definì l’autore), scritto tra il 1912 e il 1914.

Per molti aspetti, peraltro, l’esperienza palazzeschiana può oggi sembrare affiancabile forse più che all’esperienza futurista a quella degli scrittori della «Voce», alla quale egli collaborò. Del resto il soggiorno parigino sul finire del 1913, dove incontra e frequenta assiduamente Apollinaire e i futuri dadaisti, ma anche Picasso, Braque e Matisse, lo libera del tutto dalla già povera influenza del verso e dell’ideologia di Martinetti.

Insieme ai suoi coetanei, anche lui, che pure era stato riformato alla visita di leva, nell’estate del 1916 venne in ogni caso chiamato alle armi. L’esperienza militare si riflette in un inquietante volume di genere diaristico, Due imperi…mancati, contrassegnato da un inedito impulso all’abbraccio fraterno. Dopo la guerra condusse a Firenze un’esistenza quasi totalmente appartata. Sono anni poveri di eventi di rilievo secondo la prospettiva biografica ma che risultano decisivi dal punto di vista letterario. La produzione creativa di Palazzeschi in questo periodo torna infatti a essere intensa. Se non va annebbiandosi, l’anarchismo giovanile nel frattempo si è andato però disciplinando. Lo provano le due più importanti opere del periodo tra le due guerre, uscite a distanza di due anni l’una dall’altra: Stampe dell’Ottocento nel 1932 e Sorelle Materassi nel 1934. Entrambi i testi appaiono rimarchevoli per l’approfondimento in essi tentato della dimensione storica, tralasciata in precedenza. Ma è il secondo che conferma le qualità migliori di Palazzeschi, il quale, fra le altre cose, ha avuto il merito di aver dato inizio, insieme a pochi altri, a quel moto di ritorno al romanzo di impostazione realista che nell’immediato dopoguerra conoscerà una rinnovata fortuna.

 

Più discutibili appaiono al confronto i risultati artistici raggiunti con gli altri due romanzi della maturità, I fratelli Cuccoli (1948) e Roma (1953). Di gran lunga più interessanti le novelle, spesso gustose, di Bestie del Novecento.

Voltate le spalle al realismo, ecco dunque tre nuovi antiromanzi sulla scia di quello che era stato un ritorno alla trasgressività: Il doge (1967), Stefanino (1969), Storia di un’amicizia (1971).

Più fitte si fanno anche le collaborazioni giornalistiche. Un rilievo inferiore, benché non trascurabile, ebbe invece l’attività di traduttore.

Nel 1957 l’Accademia dei Lincei gli assegnò il Premio internazionale Feltrinelli per la Letteratura. Nello stesso anno la Mondadori diede avvio alla pubblicazione di Tutte le opere di Aldo Palazzeschi nella collana dei “Classici Contemporanei Italiani”. Per iniziativa di Diego Valeri, Vittore Branca, Gianfranco Folena, nel 1962 l’università di Padova gli conferì la laurea Honoris Causa.

Attivissimo e prolifico anche negli ultimi anni di vita, Palazzeschi seguì con caldo interesse il dibattito letterario animato dagli scrittori e dai poeti della neoavanguardia, che videro in lui un punto di riferimento intellettuale privilegiato. Morì a Roma, a causa di una infezione polmonare, il 17 agosto del 1974, mentre gli amici andavano preparando i festeggiamenti per i suoi novant’anni.