Cary Grant 

 

Un ritratto di Cary Grant (1904-1986): lo sguardo più seducente del grande schermo, fonte di ispirazione per lo scrittore Ian Fleming che a lui guardò nel delineare il personaggio di James Bond. Nominato due volte all'Oscar, ottenne una statuetta alla carriera nel 1970. La rivista Premiere Magazine lo premiò come la più grande stella del cinema maschile di sempre. 

 

Il suo vero nome era Archibald Alexander Leach, era nato a Bristol, in Inghilterra, il 18 gennaio del 1904 ed ebbe un’infanzia travagliata: sua madre venne ricoverata in una clinica per malattie mentali. Nel 1915, falsificando la firma del padre, si iscrisse con un documento altrettanto falso nella compagnia dei funamboli di Bob Pender, e nel 1920 si trasferì negli Stati Uniti con questo gruppo di acrobati e comici girovaghi. L’esperienza evidentemente lo aveva formato già come persona visto che passava le giornate tra canzonette, battute spiritose, capriole e salti mortali.

In America faceva questo, ma sul finire degli anni Venti decise anche di affrontare il teatro ottenendo qualche piccola parte in commedie musicali.

A 28 anni il produttore Schulberg lo vide e pensò che poteva cavare qualcosa da un personaggio simile. Scritturato per la Paramount, divenne nelle sue prime interpretazioni una specie di accompagnatore o cavaliere delle attrici protagoniste. Quando girò il suo secondo film “Venere bionda” (Blonde Venus), del 1932, Grant mostrò sicurezza nel sapersi rapportare con la macchina da presa e anche la recitazione era molto buona, stando accanto a un’attrice del calibro di Marlene Dietrich. Quando fu la volta di fare da spalla a Mae West in “Lady Lou” (She Done Him Wrong), 1933, l’attrice rimase senza parole nel vedere le doti di Cary nella parte di un agente federale; sapeva già interpretare la sceneggiatura come se avesse recitato da anni e mostrava intelligenza e sensibilità sul set. Ed ebbe lo stesso successo anche in “I’m No Angel”, interpretando un playboy sempre insieme con la West in un contesto di sesso e humour.

Su questa scia di acclamazione, l’attore si prese una pausa e fece una piccola parte in “Alice in Wonderland”, 1933, ma dovette ritornare a ruoli più sentimentali e con pochi pregi artistici per riscuotere qualche buona recensione. Per conseguire qualcosa di più, Grant ebbe la fortuna di essere chiamato dal regista George Cukor in “Il diavolo è femmina” (Sylvia Scarlett), 1936, con accanto la bravissima Katharine Hepburn. Grant interpretava un truffatore gentiluomo, che gli portò un enorme successo di pubblico e di critica e lo lanciò definitivamente tra le stelle del cinema americano.

Così gli anni Trenta diventarono il trampolino di lancio per la futura star, e le commedie brillanti furono il suo punto di forza per non risultare mai ripetitivo o monotono.

“L’orribile verità” (The Awful Truth), 1937, e “Scandalo a Filadelfia” (The Philadelphia Story), 1940, sono storie di coppie divorziate che ancora si amano e Grant in questi due film mostra brillantezza e malinconia, sincerità e affettazione allo stesso tempo, riuscendovi molto bene, specie in quest’ultimo film con ancora accanto la Hepburn. Ancora in “Susanna” (Bringing Up Baby), 1938, sempre con la Hepburn, fa la parte di un professore di paleontologia timido e distinto, che viene sconvolto dall’incontro con una ricca e fin troppo scattante giovane che lo farà innamorare. Qui l’attore dimostrò di essere un grande talento perché lasciò grandi spazi alla forza della protagonista, mentre lui riuscì a delineare un personaggio simpatico che sembrasse quasi una spalla della Hepburn, ma che alla fine dava prova di essere sensibile e inventivo nella sua parte di studioso incallito.

Anche “Incantesimo” (Holiday), 1938, mise in mostra le sua qualità, interpretando un giovanotto che si innamora della sorella della sua fidanzata. Humour e creatività sono gli elementi che lo contraddistinguevano dagli attori del tempo; un tocco leggero anche nei suoi modi di camminare e muoversi sulla scena rendevano inoltre il personaggio Grant estremamente simpatico al pubblico. Ma non sempre vi erano queste parti “leggere”.

Nel 1939 dovette affrontare un ruolo difficile in “Gli avventurieri dell’aria” (Only Angels Have Wings) di Howard Hawks, in cui è il comandante dei piloti postali nell’America del Sud. Ancora sotto la direzione di Hawks nel 1940 è chiamato in “La signora del venerdì” (His Girl Friday) commedia quasi sofisticata, serrata nei dialoghi, nella quale era il direttore di un giornale che tenta di contrastare i progetti di Rosalind Russell, che deve invece fare un importante scoop.

Con questo suo fare Cary Grant non poteva essere non notato da Alfred Hitchcock, che dopo averlo visto nella performance di “La signora del venerdì” lo chiamò per “Il sospetto” (Suspicion), nel 1941. Commedia nera nella quella l’attore raggiunge fin qui il suo massimo della recitazione, facendo la parte di un marito dedito al gioco e sempre con il sorriso, che avvelena lentamente la moglie che ama. Dopo questo successo il regista lo rivolle ancora in “Notorius, l’amante perduta” (Notorius), nel 1946, che, ambientato durante la Seconda guerra mondiale, narra le vicende di due spie (Grant e Ingrid Bergman) che alla fine si ameranno e scopriranno circoli nazisti. Il film ottenne un ottimo successo di critica e di pubblico, e così fu anche per Grant che negli anni Quaranta trionfò con il suo modo fare l’attore.

Un ruolo drammatico gli fu affidato nella parte di un patriota in “Quelli della Virginia” (The Howards of Virginia), 1940, ma non ebbe un grande successo. Fece poi con il regista George Stevens “Ho sognato un angelo” (Penny Serenade), 1941, film sulla crisi coniugale, e “Ho bussato alla porta” (Talk of the Town), del 1942, dove ebbe successo nell’interpretare un presunto omicida in fuga.

Nel 1946 fece il dramma di Odets “Il ribelle” (None But the Lonely Heart) e il musical di Cole Porter “Notte e dì” (Night and Day), perdendo molto di quei personaggi che solo lui riusciva a mettere in scena. Una nuova carica gli venne data sempre dal regista Hawks che lo fece interpretare “Ero uno sposo di guerra” (I Was a Male War Bride), nel 1949, una delle più belle e brillanti commedie, nella quale lo si vede nei panni di un soldato che deve travestirsi da donna e subire tutte le conseguenze. L’esilarante interpretazione lo riportò nuovamente al successo, e nel 1952 fu ancora in un’altra commedia del genere in “Un magnifico scherzo” (Monkey Business) con accanto Marylin Monroe e Ginger Rogers, nei panni di uno scienziato distratto che inventava la pillola dell’eterna giovinezza.

Nel 1955 fu richiamato da Hitchcock nel bellissimo thriller “Caccia al ladro” (To Catch a Thief) con Grace Kelly, interpretando un uomo con alle spalle una carriera di abile ladro.

Ultima grandissima prova fu ancora per il regista inglese che lo rivolle nel suo celebre film “Intrigo internazionale” (North by Northwest), 1959, un’occasione per rivedere Grant in un ruolo brillante, ma questa volta invischiato in una storia avventurosa e assurda con accanto la bella Eva-Marie Saint. Qui l’attore diede il meglio di sé.

Lo si rivedrà in altri film di minore successo come “Operazione sottoveste” (Operation Pettiocat) del 1959, nel 1960 “L’erba del vicino è sempre più verde” (The Grass Is Greener), il famoso giallo “Sciarada” (Charade), 1963, nel 1964 con Sophia Loren in “Il Gran Lupo chiama” (Father Goose), e l’ultimo suo film “Cammina non correre” (Walk Don’t Run), nel 1966, abbandonando quindi definitivamente le scene cinematografiche.

Oggi, a quasi trentacinque anni dalla sua scomparsa - si è spento a Davenport, negli Stati Uniti, il 29 novembre del 1986 - è impossibile non pensare a lui come all’incarnazione dell’eleganza e della simpatia.

Cary Grant è stato uno dei migliori attori che il cinema abbia mai avuto, e la sua figura rimarrà indelebilmente impressa nell’immaginario collettivo.