Dal crollo del regime alla RSI

 

 

 

 

"Il tramonto di un uomo" 

 

 

 

 

 

 

Nel luglio del 1943 lo sbarco in Sicilia degli Alleati - 10 luglio - trasferì la guerra sullo stesso territorio italiano. Nessuno dubitava più della sconfitta, davanti alla avanzata dal Sud di quel potentissimo esercito. Anche il gruppo dirigente fascista lo sapeva, e nella notte fra il 24 e il 25 luglio il Gran Consiglio votò contro Mussolini. A sua volta il re cercò di padroneggiare la situazione, facendo arrestare Mussolini a Villa Savoia e affidando il governo al generale Badoglio. Si era deciso cioè a compiere un gesto che fin dal 1924 i deputati aventiniani attendevano da lui, dopo il delitto del deputato socialista Giacomo Matteotti - 10 giugno ‘24 -, e che avrebbe potuto evitare il fascismo e forse la guerra.

Dopo il colpo di Stato gli italiani si aspettavano la fine delle ostilità, ma la voce di Pietro Badoglio alla radio pronunciava la famosa frase: “La guerra continua”.

Tuttavia il 26 luglio l’Italia fu in festa. Il fascismo era caduto dopo vent’anni di dittatura, dopo una guerra rovinosa e impopolare.

Con i 45 giorni di Badoglio non si può dire che tornasse la libertà: la censura sulla stampa fu mantenuta e le riunioni dei partiti ufficialmente vietate. I gruppi politici però non rimasero inattivi. Continuarono a riunirsi e a chiedere al governo di agire. E finalmente, dopo difficili trattative tentate e avanzate all’indomani della caduta di Mussolini, alle 19,30 dell’8 settembre 1943 Badoglio comunicò che l’armistizio con gli eserciti alleati era stato firmato - la resa, in realtà, era stata siglata in gran segreto a Cassibile, in Sicilia, il 3 settembre -.

Meno di otto ore dopo, all’alba del 9 settembre, la famiglia reale e Badoglio lasciavano Roma diretti a Pescara e poi a Brindisi. Allora tutti i partiti antifascisti si unirono nel Comitato di Liberazione Nazionale, che chiamò gli italiani “alla lotta e alla resistenza”.

Il 9 settembre, a Roma, esercito e popolo si unirono nella battaglia di Porta San Paolo. Il 12 settembre Mussolini, dopo la liberazione dal Gran Sasso ad opera di un reparto di paracadutisti tedeschi, venne portato a Monaco di Baviera, dove ricevette da Hitler l’invito a ricostituire un governo fascista.

È un uomo stanco, quasi un sopravvissuto, diretto verso quelli che saranno i suoi “600 giorni”.

Il 18 settembre, da radio Monaco, egli si rivolse agli italiani: “Italiani e italiane, dopo un lungo silenzio ecco che nuovamente vi giunge la mia voce e sono sicuro che voi la riconoscete. È la voce che vi ha chiamato a raccolta in momenti difficili, che ha celebrato con voi le giornate trionfali della Patria. Ho tardato qualche giorno prima di indirizzarmi a voi perché dopo un periodo di isolamento morale era necessario che riprendessi contatto col mondo”.

Il 23 settembre tornò in Italia per stabilirsi alla Rocca delle Caminate, in provincia di Forlì - la sua dimora privata di un tempo - dove si incontrò con l’ambasciatore tedesco Rahn, e quattro giorni dopo presiedette il primo Consiglio dei ministri per nominare i responsabili del nuovo governo repubblicano fascista.

Ai primi di novembre la sede del governo venne stabilita a Salò, sul lago di Garda.

Il 14 novembre 1943, con il Congresso di Verona e l’approvazione della “carta sociale” nacque ufficialmente la Repubblica Sociale Italiana, che ebbe termine il 29 aprile 1945 in piazzale Loreto a Milano, con l’impiccagione di Benito Mussolini e della sua amante Claretta Petacci, nello stesso luogo in cui i fascisti impiccarono alcuni partigiani.

Due date, queste ultime, che segnarono dunque la fine dell’avventura umana e politica del Duce.