Enrico Cuccia

 

 

Il banchiere dei banchieri 

 

 

Enrico Cuccia nasce a Roma il 24 novembre del 1907, da una famiglia di origine siciliana.

Dopo la laurea in Giurisprudenza entra all'Iri, distaccato presso la sede di Londra. Il primo incarico di rilievo è in Banca d'Italia, con la qualifica di “impiegato del servizio operazioni finanziarie e cambi con l'estero”. Ha l'appoggio di Guido Jung, amico di famiglia e ministro tecnico delle finanze, che lo inserisce nella delegazione italiana alla conferenza economica di Londra. Lo stesso Jung lo presenterà al futuro suocero Alberto Beneduce, creatore dell'Iri.

Dal matrimonio con Idea Socialista nascono tre figli (Beniamino, Auretta Noemi e Silvia Lucia) tutti impegnati in campi diversi della finanza. Nel 1937 viene inviato in Abissinia con la delega al “rilascio delle autorizzazioni per il trasferimento all'estero di divise e lire”. Dietro tanta formalità c'è la necessità per il regime fascista di stroncare un traffico clandestino di valute gestito da funzionari corrotti e da un'amica del generale Rodolfo Graziani. Cuccia resiste alle minacce e viene ricevuto e personalmente ringraziato dal Duce.

Gli anni successivi sono quelli della Comit, che non è solo la banca più conosciuta all'estero, ma anche il punto di riferimento per l'opposizione. Lavora all'Ufficio studi della Comit, diretto da Ugo La Malfa. Antifascista, diventa pupillo del presidente della Comit Raffaele Mattioli. I rapporti tra il gruppo antifascista milanese di Mattioli e gli antifascisti italiani che si erano rifugiati all'estero vengono affidati a lui, che utilizza nei suoi viaggi la copertura delle missioni di affari.

In seguito Cuccia segue tutta la storia dell'istituto Mediobanca di via Filodrammatici, fin dal settembre del 1944, quando l'amministratore delegato della Comit Mattioli propone “un ente specializzato per i cosiddetti finanziamenti a medio termine”, a cui avrebbero dovuto partecipare le banche d'interesse nazionale. È un modo per superare i vincoli della legge bancaria del 1936 e nello stesso tempo uno strumento per rilanciare le imprese e favorire la ricostruzione del paese.

È il 10 aprile del 1946 quando viene costituita la nuova società dove Comit e Credit detengono il 35% e il Banco di Roma il 30%. Direttore generale viene nominato Enrico Cuccia, già molto amico di Mattioli e di tutto l'entourage del Partito d'Azione (Ugo la Malfa e Adolfo Tino).

Molti grandi affari delle imprese italiane, direttamente o indirettamente, sono passate dal secentesco palazzo dei Visconti-Ajmi, da sempre sede di Mediobanca. L'istituto non è solo “stanza di compensazione” dei rapporti fra azionisti e imprese; lo è anche nei rapporti politici, fra soggetti pubblici e privati, “garante” dei passaggi delicati nel capitale delle imprese.

Ma nella storia del banchiere riservato e amante dell'arte ci sono anche scontri violenti: c'è la sua impronta nella scalata dell'Eni di Eugenio Cefis alla debole Montedison di Giorgio Valerio, portata a termine sul mercato in sette mesi (febbraio-settembre 1968). Operazione finanziaria di successo seguita da fallimenti industriali. Lo scontro, più tardi, sarà con Michele Sindona, che nei primi anni Settanta cerca di sfondare: è l'inizio del tracollo. Salta la banca privata italiana, viene ucciso l'avvocato Giorgio Ambrosoli, che aveva cercato di chiarire le scatole cinesi della galassia Sindoniana, e a Cuccia viene bruciata la porta di casa.

Negli anni Ottanta, quando Cuccia lascia la carica di amministratore delegato per raggiunti limiti di età, diventa più complesso il rapporto con il mondo politico e con il governo, con i socialisti ma anche con parte della Dc. Non mancano i contrasti anche con Romano Prodi, presidente dell'Iri, o con l'ex presidente delle Generali, Cesare Merzagora.

L'evoluzione dei mercati finanziari e il sogno di public company spingono Mario Schimberni, voluto in un primo tempo da Cuccia per risistemare la chimica, in operazioni “forti” per il capitalismo italiano e nelle scalate Bi-Invest-Fondiaria.

A Cuccia tocca sempre più il ruolo di difesa dell'esistente. I conti con Raul Gardini, altro “battitore libero” indebolito dal progressivo indebitamento, verranno regolati più avanti con il deflagrare di Enimont. Quando, per ridurre l'indebitamento il governo metterà sul mercato le quote di controllo di Comit e Credit, a Mediobanca toccherà “giocare in difesa” cercando di guidare nuovi assetti societari tali da non mettere in discussione i propri assetti di controllo. Lo sforzo verrà parzialmente ripagato.

La dipendenza da Mediobanca si è affievolita anche in casa Fiat, Pirelli, Marzotto e nell'Olivetti pre-Telecom. Pur giocando in difesa, Cuccia e l'amministratore delegato Vincenzo Maranghi contribuiscono a mandare in porto l'offerta pubblica su Telecom e l'offerta delle generali sull'Ina.

Dopo aver di fatto investito il presidente della Rcs, Cesare Romiti, come suo successore, Cuccia nel 1999 apre una dura battaglia per il controllo della Comit: sfida da lui persa e vinta invece da Giovanni Bazoli di Banca Intesa.

Si spegne a Milano il 23 giugno del 2000, all'età di 92 anni.