Gilberto Govi

 

Grandissimo attore e fondatore del teatro dialettale genovese, Gilberto Govi (1885-1966) è stato un talento straordinario, un trasformista abilissimo e un interprete raffinato. I suoi personaggi hanno raccontato la vita di tutti i giorni e hanno fatto divertire, ma anche riflettere, diventando nel tempo dei classici intramontabili. Il III Municipio di Roma gli ha intitolato una via nel quartiere Bufalotta.

 

 

Gilberto Govi, al secolo Amerigo Armando, nasce nel popolare quartiere di Castelletto a Genova il 22 ottobre del 1885, in via S. Ugo n. 13, da Anselmo, un funzionario delle Ferrovie di Modena, e dalla bolognese Francesca Gardini, detta Fanny. Gli viene dato il nome Gilberto in onore di un suo zio paterno: uno scienziato a cui è tuttora dedicata una via nella città di Parma.

Frequenta le scuole insieme al fratello Amleto, ma durante una vacanza a Bologna presso lo zio materno e attore dilettante Torquato inizia ad appassionarsi a divertirsi nel vederlo recitare. L'amore per quest'arte cresce sempre più, nonostante il padre desideri per lui una carriera nelle Ferrovie, e a dodici anni, nel 1897, recita già in una filodrammatica.

Il giovane Gilberto, ha la passione per il disegno e le caricature e frequenta per tre anni l'Accademia di Belle Arti, trovando poi lavoro come disegnatore alle Officine Elettriche Genovesi all'età di sedici anni. Dopo alcune esibizioni in un teatro di Bolzaneto, Govi si iscrive all'Accademia filodrammatica del teatro "Nazionale" in stradone Sant'Agostino, un ambiente che Gilberto Govi considera tetro e dove è costretto a recitare in corretto italiano, in continua lotta con le regole di dizione. Ma le sue qualità di attore sono già avvertibili, tanto che alcuni critici ne rimangono colpiti. Questo però non basta a soddisfare Govi che nel sangue ha il dialetto.

La sua massima aspirazione è quella di entrare a far parte della compagnia del celeberrimo Virgilio Talli, e quando questi ebbe modo di assistere a una sua rappresentazione fu talmente entusiasta della sua figura e dei suoi personaggi che lo stimolò a proseguire la carriera suggerendogli di fondare un vero e proprio teatro dialettale genovese, che a quei tempi non aveva una tradizione consolidata. Con Alessandro Varaldo e Achille Chiarella, nel 1914 mette su una compagnia chiamata proprio la "Dialettale" che, dopo i primi spettacoli, riporta notevoli successi a Sampierdarena, a Sestri P. e perfino a Chiavari e Savona. Ma qui iniziano a nascere i contrasti con l'Accademia che gli pone un ultimatum: o dire addio al dialetto, o all'Accademia. Govi decide per il dialetto e si fa espellere dall'Accademia nel 1916, insieme a tutta la compagnia, dando vita ufficialmente al teatro genovese. L'attore verrà poi riammesso, come socio onorario, solo nel 1931.

Gilberto si innamora di Caterina Franchi in arte Rina Gajoni, creatrice applaudita della popolare macchietta della "Luigina", un'attrice del suo gruppo, che aveva conosciuto nel 1911 per la prima volta e la sposa con una cerimonia intima e riservata il 26 settembre 1917. Rina Gajoni sarà sempre al suo fianco anche come partner nella compagnia teatrale: i due rimangono insieme fino alla fine, per 49 anni.

Govi fonda quindi una nuova compagnia: la "Compagnia dialettale genovese" e, dopo il debutto al teatro Paganini, inizia ad esibirsi nei maggiori teatri genovesi, con una prima sortita a Torino nel 1917. Dopo un lungo apprendistato il successo a livello nazionale arriva nel 1923 quando Govi presenta al teatro Filodrammatici di Milano la commedia "I manezzi pe' majà na figgia" di Niccolò Bacigalupo. Anche il "Corriere della Sera" ne fa una buona recensione. Il successo ottenuto però non gli monta la testa: per due anni ancora mantiene il suo impiego alternando il palcoscenico al tavolo di lavoro alle Officine. Lascia il mestiere di disegnatore solo alla fine del 1923 per dedicarsi completamente al teatro, ma gli inizi non sono facili, soprattutto per la scelta del repertorio da rappresentare; ma in breve tempo supera le difficoltà con uno stuolo di autori pronti a mettersi a disposizione di un astro nascente teatrale, tra i quali Niccolò Bacicalupo, Emanuele Canesi, Carlo Bocca, Luigi Orengo, Aldo Aquarone, Emerico Valentinetti, Enzo La Rosa, Sabatino Lopez.

Tutti i testi che vengono scelti sono poi modificati dallo stesso Govi, tanto che gli autori lo contattano anticipatamente per concordare eventuali modifiche ai copioni in funzione delle sue preferenze. Redatti in italiano, i testi sono poi tradotti dall'attore in rigoroso dialetto genovese.

Inoltre la usa abilità di disegnatore gli permette di disegnare le maschere da cui nascono i personaggi da portare in scena. Disegna una serie di locandine con il suo volto, tracciato dalla sua mano ferma in tutte le posizioni, di fronte come di profilo, e in ogni sua ruga ed espressione, che vengono esposte nei foyer dei teatri nei quali si esibisce come una galleria di quadri che entusiasma ulteriormente gli spettatori gratificandoli di un valore aggiunto.

Il 1926 vede il teatro genovese varcare i confini nazionali con una tournée in Argentina e Uruguay dove riscuote applausi oceanici. Lì trova infatti numerosi genovesi emigrati. Govi presenta sui palcoscenici di tutto il mondo 78 commedie (alcune delle quali registrate dalla televisione italiana e incise anche su vinile) tra le quali si ricordano "Pignasecca e Pignaverde", "Colpi di timone", "Maneggi per maritare una figliola".

Fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sua carriera è sempre in crescita, con varie tournée teatrali sia in Italia che all'estero. Nel 1928 recita a Roma, nel 1929 è a S. Rossore ospite di Vittorio Emanuele III, nel 1930 di nuovo all'estero a Parigi; in quegli anni Mussolini gli dona una foto con dedica come segno di sincero apprezzamento. Nel 1942 inizia anche l'esperienza cinematografica che lo vede impegnato in quattro film il cui esito è piuttosto insoddisfacente: "Colpi di timone" (1942), diretto da Gennaro Righelli, "Che tempi!" (1947), diretto da Giorgio Bianchi, "Il diavolo in convento" (1950), diretto da Nunzio Malasomma e infine "Lui, lei e il nonno" (1961), girato a Napoli da Anton Giulio Majano e prodotto dall'armatore Achille Lauro, il suo unico film a colori. Ma i ritmi del cinema, con le ripetute pause, e la tecnica recitativa differente rispetto a quella del palcoscenico non lo entusiasmano. Ha però l'occasione di lanciare futuri comici: i giovanissimi Walter Chiari e Alberto Sordi.

Il conflitto mondiale non risparmia la sua abitazione genovese, colpita dai pesanti bombardamenti portati dal mare e dal cielo. La guerra lo scuote profondamente e insieme alla casa l'attore vorrebbe ricostruire anche il proprio repertorio, che sente forse ormai superato da nuove proposte; in questo periodo è attanagliato da dubbi e insicurezze, non riesce ad avere la consapevolezza che il pubblico lo gradisce ancora, nonostante il successo delle sue commedie sia sempre forte e la gente non lo abbandoni e accorra sempre numerosa ai suoi spettacoli in ogni città in cui recita.

Govi non fa neppure in tempo ad avere un rapporto approfondito con la televisione, nata da poco, poiché si sta ormai avviando verso la parte finale della sua carriera; il piccolo schermo, tuttavia, gli consente, con la registrazione dal vivo di alcuni suoi spettacoli, di farsi conoscere dal grande pubblico. Questo ha inoltre permesso di salvare dalla distruzione 6 sue commedie. Salvataggio avvenuto in maniera rocambolesca negli anni Settanta grazie a un impiegato collezionista appassionato di teatro. Le commedie sono state riproposte da Vito Molinari e Mauro Manciotti nel 1979 in una trasmissione su Raitre a lui dedicata. Nell'estate del 2004 vengono ritrovate e pubblicate in DVD anche 6 commedie radiofoniche inedite da lui interpretate.

Govi per gli spettatori di mezzo mondo rappresenta il vero genovese: furbo, sorridente e rude. Sulla scena è riuscito ad arricchire di umori genovesi i testi delle commedie del teatro dialettale raccontando il carattere del ligure come un coesistere di contrari: maschera e sentimento, immagine esterna e linee interiori, pubblico e privato. Il ligure che sa guardare oltre l'apparenza delle cose e leggere dentro se stesso con una buona dose di humour sotto gli atteggiamenti da gente seria, anzi, per dirla con il suo amato dialetto, "stundaia".

Non mancano anche importanti riconoscimenti pubblici, ma non molti dalla sua città natale: a ricordarlo all'ombra della Lanterna rimangono i giardini "Gilberto Govi", edificati solo negli anni Ottanta nella zona storica della Foce e situati sopra il principale depuratore cittadino e la Sala Govi (ex Verdi) a Bolzaneto. I riconoscimenti principali che riceve sono nell’ordine: nel 1948 in onore del centenario del Risorgimento, negli anni '50 partecipando a una manifestazione benefica presso il Circo nazionale Togni a Genova, e nel 1957 una medaglia d'oro dal sindaco.

Nel 1960 organizza nuovamente la compagnia per l'ultima stagione della sua carriera, portando in scena la commedia "Il porto di casa mia", scritta dal poeta Sabatino Lopez. A 75 anni, capisce che è arrivato il momento di lasciare il palcoscenico e dedicarsi a un meritato riposo, dichiarando in merito che: "Il teatro è come una bella donna: bisogna lasciarla prima che sia lei a lasciare te". Nel 1965 il sindaco gli consegna un'altra medaglia d'oro che da un lato riporta la scritta "A Govi, artista illustre, massimo interprete del teatro dialettale genovese, la città con gratitudine, 22 ottobre 1965".

Prima di ammalarsi riesce a comparire ancora sugli schermi televisivi in qualche rara intervista e in diversi Caroselli. Famoso quello del 1961 per una marca di thè dove interpreta il simpatico personaggio di Baccere Baciccia, il portiere di un caseggiato genovese, conosciuto da tutti per la sua estrema tirchieria ma adorato dai bambini, ai quali ripete una frase rimasta celebre: "Da quell'orecchio, non ci sento; da quell'altro, così così...".

Il 28 aprile del 1966 Gilberto Govi si spegne nella sua città. Ai funerali, celebrati nella centrale Chiesa di Santa Zita, affollatissima, partecipa l’intera cittadinanza. Tra i presenti alla cerimonia, anche Erminio Macario, visibilmente commosso.