Giovanni Papini

 

 

 

 

 

Giovanni Papini (1881-1956): scrittore, poeta e aforista italiano cui il III Municipio della Capitale ha dedicato una via nel quartiere Talenti.

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Papini nacque a Firenze il 9 gennaio del 1881. Durante la sua infanzia povera e solitaria ebbe la fortuna di avere a disposizione la ricca biblioteca del nonno e la passione per la lettura.

Poco più che tredicenne, si mise in testa di scrivere un’enciclopedia compilando un’infinità di schede e ampliando contemporaneamente le sue conoscenze. Studente appassionato, a diciotto anni è già maestro elementare. La sua vita è però legata alla scrittura. Scrive i primi racconti e, nel 1896, il giornale "L’amico dello scolaro" pubblica "Il leone e il bimbo"; intanto frequenta, come uditore, i corsi all’Istituto di Studi Superiori.

Dopo aver insegnato lingua italiana all’Istituto inglese di Firenze e ottenuto il posto di bibliotecario al Museo di antropologia di Firenze, fonda con l'amico Giuseppe Prezzolini la rivista culturale "Il Leonardo", sulla quale i due scrivono articoli tenendosi nel solco del Pragmatismo.

Dopo aver pubblicato i racconti metafisici "Il tragico quotidiano "(1903), e "Il pilota cieco" (1907), Giovanni Papini pubblica il suo primo libro filosofico, "Il crepuscolo dei filosofi", in cui attacca il pensiero dei "sei fari" della cultura contemporanea (Kant, Hegel, Schopenhauer, Comte, Spencer e Nietzsche), dichiarando morta l'intera filosofia, in nome dell'irrazionalismo vitalistico.

Scrive "Diventar genio" nel 1912, le pagine autobiografiche di "Un uomo finito" (1913), le prose poetiche "Cento pagine di poesia" (1915) e "Stroncature" (1916), con cui demolisce in nome dell'Avanguardia i classici (Faust, Decameron, Amleto ecc.).

Lavora nelle redazione de "La Voce"(1912), fonda la rivista "L’Anima" (1911) e dirige con Ardengo Soffici la rivista "Lacerba" (1913).

Nel 1921 Papini, con grande clamore, annuncia la sua conversione religiosa e pubblica "Storia di Cristo" che ottiene un rapidissimo successo mondiale.

Continua a scrivere moltissimo: testi di apologetica religiosa a volte eterodossi: "Sant'Agostino" (1929), "Dante vivo" (1933), "Lettere agli uomini di Celestino VI" (1946) e, in polemica con Pio XII, "Il diavolo" (1953). Ma anche prose in cui torna al lirismo giovanile: "Schegge", (Corriere della sera, 1940-1950).

Scrive anche inchieste e satire di costume con "Gog" (1931).

Papini diventa, sotto il fascismo, una specie di scrittore ufficiale. Nel 1935 ha la cattedra di letteratura italiana all'Università di Bologna, nel 1937 è nominato accademico d'Italia e, sempre nel 1937, ha la direzione di un Istituto di studi sul rinascimento e della rivista dell'Istituto "La Rinascita".

 

La fine del fascismo segnò per Giovanni Papini molto più di un'eclissi. La sua attività letteraria all'ombra del fascismo fu giudicata, in alcune forme, assolutamente negativa. In modo particolare per la roboante posizione di giudice demolitore delle esperienze passate; persino per la forma esibizionista della sua conversione, del voltafaccia e del tradimento nei confronti delle formule artistiche anticonformiste della sua giovinezza.

Fino all'ultimo tentò di lavorare all'opera che aveva iniziato nel 1903 con il titolo di "Adamo",  diventata poi, cambiato il titolo, "Appunti sull'uomo", e lasciata incompiuta come "Giudizio universale".

Negli ultimi anni della sua vita, quasi cieco, si dedicò alla dettatura de "Il diavolo" e le "Schegge" a sua nipote Anna.

Morì a Firenze l'8 luglio del 1956.