Giovanni Verga

  

Giovanni Verga (1840-1922): uno scrittore dalla fama inestimabile, padre del “verismo”, drammaturgo d’eccezione. Tra le sue opere più famose si ricordano “I Malavoglia”, “Storia di una capinera”, “Mastro Don Gesualdo” e moltissime novelle e trasposizioni teatrali dei suoi romanzi.  

Il III  Municipio di Roma gli ha dedicato una via nel quartiere Talenti.

 

Giovanni Verga nacque a Catania il 2 settembre del 1840. Nella sua famiglia, di antichissime origini e piuttosto agiata, si ricordavano nobili aragonesi, letterati, patrioti del Risorgimento e deputati al Parlamento siciliano del 1812. L’atmosfera liberale che il bambino respirava già tra le mura domestiche venne arricchita dalle convinzioni personali e dagli insegnamenti del suo primo maestro, Antonino Abate, un giovane patriota suo lontano parente al quale venne affidato all’età di undici anni.

Autore a sua volta di un romanzo e di un poema di spiriti liberali, l’Abate incoraggiò il giovane studente a comporre il suo primo romanzo, “Amore e patria”, ispirato alla rivoluzione americana.

Benché rimasta inedita, questa prima opera dovette convincere il Verga che la letteratura era la sua vita, anzi, come ebbe a dire più tardi, una missione, “il più sacro lavoro dell’uomo”.

Nel 1858 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania e si dedicò al giornalismo, arrivando a fondare il settimanale politico “Roma degli Italiani”. Dal 1860 al 1864 fece parte della Guardia Nazionale.

Il tempo per studiare era poco: così si convinse che era meglio rinunciare alla laurea e usare il denaro necessario agli studi per stampare a proprie spese un altro romanzo storico, in quattro volumi, intitolato “I Carbonari della montagna”. Questa seconda fatica ottenne una recensione positiva sul quotidiano fiorentino “La Nuova Europa”, che l’anno dopo pubblicò a puntate il suo terzo lavoro, “Sulle lagune”.

Era il 1862, un anno importante per la maturazione del giovane letterato che, con la morte del padre, si scontrava per la prima volta con i grandi dolori della vita. Le opere successive, infatti, riflettono questa nuova partecipazione ai drammi umani e qualche traccia di autobiografismo.

Nel 1865 Verga lasciò per la prima volta la Sicilia e si trasferì a Firenze, dove restò fino al ’71.

Il capoluogo toscano, che dal 1864 era capitale d’Italia, ne era anche il centro culturale e letterario. Nei suoi salotti si discuteva di arte, politica, letteratura. E per un giovane che proveniva dalla lontana Sicilia si aveva anche modo di fare le prime intense esperienze mondane e sentimentali.

In questi anni egli conosce l’Aleardi, il Prati e l’anarchico Michail Bakunin, ma soprattutto prende avvio il sodalizio letterario con Luigi Capuana, allora critico teatrale de “La Nazione” e convinto assertore della necessità di dare all’Italia una nuova narrativa. Anni intensissimi dunque, in cui pubblicò tra l’altro “Una peccatrice” (1866) e “Storia di una capinera” (1871).

Nell’estate del 1869, durante un viaggio in Sicilia, Verga conobbe Giselda Foianesi, poi sposata Rapisardi, che amò per lungo tempo.

Il suo lavoro e i suoi interessi lo riportarono presto sul continente; nel 1872 si trasferì a Milano, che aveva preso il posto di Firenze come centro artistico e letterario italiano. Qui incontrò gli “Scapigliati” Praga, Boito e Tarchetti, conobbe Giacosa e De Roberto che gli fu molto vicino, specie negli ultimi anni, e l’importante famiglia dell’editore Treves.

È un altro periodo di intensa attività letteraria, soprattutto influenzata dal romanzo psicologico francese - escono “Eva” e “Tigre reale” (1873), “Nedda” (1874), “Eros” (1875), “Primavera e altri racconti” (1876) - e di grandi lutti familiari: la morte della sorella, poi quella della madre.

Queste vicende, unite forse alle nuove realtà che andavano affacciandosi alla vita della politica italiana - come le prime agitazioni irredentistiche e gli scioperi generali - e che mostravano l’urgenza dei problemi economico-sociali della nazione, spinsero il Verga a occuparsi più da vicino dei problemi della povera gente. Tutto ciò si tradusse in una nuova produzione artistica.

Nel 1880 uscirono le splendide novelle di “Vita dei campi”, nel 1881 “I Malavoglia”: il successo di pubblico fu scarso, ma la fama dello scrittore cominciava a varcare i confini italiani.

Seguirono “Il marito di Elena” (1882), “Per le vie”, componimenti brevi di ambiente milanese, e “Novelle rusticane” (1883). Nel frattempo il Verga aveva ritrovato Giselda, e tra i due era nata un’appassionata relazione, tant’è che il marito di lei, Mario Rapisardi, scoperta una lettera di Verga, scacciò la moglie di casa.

L’attività letteraria continuava: nel 1884 al Teatro Carignano di Torino la Duse interpretò con grande successo “Cavalleria Rusticana”, adattamento teatrale dell’omonima novella di “Vita dei campi”; nel 1888 uscì a puntate su “Nuova Antologia” il “Mastro Don Gesualdo”, raccolto in volume l’anno successivo.

Ormai la critica cominciava a parlare del Verga come del maggiore romanziere italiano vivente, anche se il pubblico continuava a preferirgli D’Annunzio e Fogazzaro.

Nel 1890 Mascagni rappresentò l’opera lirica “Cavalleria Rusticana” e tre anni dopo Verga, riconosciuto co-autore, ricevette un “compenso” di 143.000 lire. Una cifra ragguardevole per quel tempo, che gli garantì un certo benessere economico e lo spinse a lasciare Milano per tornare a Catania.

Era il 1894: Verga sembrava deluso dagli ideali per i quali aveva combattuto, scontento di se stesso e della sua opera. I suoi scritti si fecero sempre più scarsi: nel 1894 uscì la raccolta di novelle “Don Candeloro e compagni”, vennero poi rappresentati i drammi “La lupa”, “Caccia al lupo”, “Caccia alla volpe” e “Dal tuo al mio”, trasformato in romanzo nel 1906.

Nel 1911, infine, il grande romanziere lavora alla “Duchessa di Leyra”, che avrebbe dovuto continuare il ciclo dei “Vinti” iniziato con “I Malavoglia” e “Mastro Don Gesualdo”: ne scrisse un solo capitolo pubblicato postumo nel giugno del 1922. Il Senatore Giovanni Verga si era spento il 27 gennaio dello stesso anno.