Giuseppe Cesare Abba

 

  

 

 

Tra i numerosi diari della “spedizione dei Mille”, il più prezioso è senza dubbio “Da Quarto al Volturno” di Giuseppe Cesare Abba - illustre scrittore e patriota ligure a cui il III Municipio di Roma ha dedicato una via nel cuore del quartiere Talenti -, considerato uno dei principali esponenti della cosiddetta “letteratura garibaldina”.   

 

 

 

 

 

Nato a Cairo Montenotte, nella provincia di Savona, il 6 ottobre del 1838 e compiuti gli studi nel vicino collegio degli Scolopi di Carcare, Giuseppe Cesare Abba manifesta molto presto un forte “amor di Patria”, non perdendo occasione per dimostrare apertamente il desiderio di combattere per difenderla.

Ha infatti appena 22 anni quando, all’insaputa dei genitori, decide di arruolarsi tra le fila dei garibaldini per prendere parte alla “spedizione dei Mille”, durante la quale si distingue per il suo coraggio ottenendo il grado di Tenente.

Al termine della spedizione si ritira a Pisa, per completare gli studi universitari in Letteratura e Storia, e nel 1866 partecipa al fianco di Giuseppe Garibaldi alla III Guerra d’Indipendenza, distinguendosi nuovamente per il suo valore.      

Dopo un periodo di riposo trascorso nel paese natale - che lo eleggerà Sindaco -, diventa professore di italiano e successivamente preside a Faenza e a Brescia, città in cui muore improvvisamente all’età di 72 anni, il 6 novembre del 1910.

 

Come scrittore esordisce nel 1866 con un poemetto in cinque canti dal titolo “Arrigo. Da Quarto al Volturno”. Pubblica in seguito altre opere di carattere storico, tra le quali ricordiamo “La vita di Nino Bixio”(1905), “Cose Garibaldine”(1907), e “Pagine di Storia”(1912-13).

Ma il vero successo arriva solo con la pubblicazione di “Da Quarto al Volturno”, stampato per la prima volta nel 1880 con il titolo “Noterelle di uno dei Mille”. Un libro che lo ha reso “immortale” per le pagine ricche di poesia, in cui rivivono senza retorica l’ansia, il coraggio, le speranze e le vittorie delle “camice rosse”. Un’opera che il poeta Giosuè Carducci, suo grande sostenitore, ha definito: “Un piccolo capolavoro”. Un “classico” della nostra letteratura quindi, da leggere e rileggere, oltre che un importante documento storico.  

 

La “spedizione dei Mille” dunque.

 

I preparativi si svolgono a Genova, sotto gli occhi del governo che non fa nulla per impedirli o per agevolarli. Il re Vittorio Emanuele II è personalmente favorevole al tentativo garibaldino e lo incoraggia senza compromessi. Cavour invece, che pure si rende perfettamente conto della grave crisi che attraversa il governo borbonico, teme che un’impresa diretta da Garibaldi possa assumere un’impronta decisamente mazziniana, ma è anche preoccupato per le ripercussioni interne che avrebbe una presa di posizione contraria alla spedizione.

“Non ho impedito a Garibaldi di attuare il suo progetto - scriverà poi il grande statista - perché sarebbe stato necessario impiegare la forza. Il Ministero non è in condizione di sfidare l’immensa impopolarità che l’avrebbe colpito se avesse voluto far arrestare Garibaldi. Nell’imminenza delle elezioni, avendo bisogno di contare su tutte le sfumature del partito liberale moderato per far fallire gli intrighi dell’opposizione e fare adottare il trattato (per la cessione di Nizza e Savoia), non ho potuto prendere misure vigorose per impedire i soccorsi destinati alla Sicilia”.

Il vero contrasto tra moderati e democratici esplode però più tardi, quando si profila la prospettiva di un successo al quale inizialmente credono in pochi.

I mille volontari che si raccolgono intorno a Garibaldi, male equipaggiati e malissimo armati, partono dunque da Quarto nella notte tra il 5 e il 6 maggio del 1860.

Il resto è Storia.