IL COMMENTO


 [di Alessandro Quinti]


[Una nuova stagione

 

I colori che cambiano, le foglie che cadono, la rovente estate che ha ormai lasciato il posto all’autunno, e poi via, dritti incontro all’inverno freddo e pungente in attesa di una nuova e promettente primavera, sotto il cielo di Roma.

È questa la quotidianità di una grande città come la Capitale. Una quotidianità fatta di problemi, di realtà, ma anche di ricordi, di sogni e di ambizioni di una cittadinanza attiva e desiderosa di cambiare passo per migliorare la propria qualità di vita, in un contesto urbano unico e raro quale è quello della Città Eterna.

Tuttavia non è facile cominciare una nuova stagione - e non mi riferisco ad una delle tante Serie Tv, anch’esse in lenta e graduale ripartenza produttiva post lockdown - respirando l’aria che tira. È la somma che fa il totale, ci hanno insegnato a scuola, ma qui i conti non tornano. Raccolta rifiuti, verde pubblico, trasporti, scuola, percezione della sicurezza, mobilità, cura degli anziani e dei disabili. E potremmo continuare. Questo il ritratto, o meglio il fermo immagine che mette bene a fuoco le numerose criticità del mondo che viviamo ogni giorno. E allora che fare? Quale può essere il mondo possibile e auspicabile per il prossimo futuro? Ma soprattutto, un mondo così esiste davvero? Non vogliamo smettere di credervi, ma la tentazione a volte ci assale. L’impegno, la partecipazione, la condivisione social, sono tutti buoni argomenti per “tirare innanzi”, per tenere alto il morale della popolazione votante. Sursum corda (In alto i cuori) declamavano in latino gli antichi, ma ai giorni nostri, in lingua italiana, la “corda”, tirata un po’ troppo, si sta inevitabilmente sfilacciando. C’è bisogno di risultati certi, di trasparenza, di giustizia sociale e di un pizzico di speranza e serenità; ricetta dai sapori di un tempo andato, potrebbe dire qualcuno, ma che però in molti vorrebbero far ritornare con forza e determinazione.

Ma il tema che qui ci preme sottolineare è, e resta, quello concettuale sul “problema” periferie.

La Capitale infatti vive sulla propria pelle, più di ogni altra città, le bellezze e gli orrori generati dall’incontrollata estensione territoriale che unisce ormai quasi senza soluzione di continuità il centro al raccordo anulare. È una storia che viene da lontano, di pasoliniana memoria, che il tempo non ha voluto sanare, stratificando anzi problematiche e criticità senza mai resettare il sistema. Quella delle periferie romane è un’emergenza assoluta, senza se e senza ma, lo dimostrano la cronaca quotidiana e i tanti reportage coraggiosamente realizzati e trasmessi via cavo o in rete. Esse rappresentano la sintesi più verace delle priorità che un governo centrale non può più permettersi di trascurare: degrado urbano, abbandono, incuria, disoccupazione cronica, scollegamento dalla rete di trasporto pubblico, per non parlare della difficile condizione delle scuole, dei presidi sanitari, dei centri anziani, delle biblioteche e spesso dell’assenza di cinema e teatri, insostituibili luoghi di aggregazione sociale. Tutto ciò, evidentemente al netto dell'emergenza sanitaria intervenuta. Eh già, perché le periferie sono un po’ di tutto questo: sono le città nella città, sono la realtà vera, il terreno di coltura del senso di cittadinanza e di appartenenza - in una parola di identità - necessari a formare il futuro “buon cittadino”, quello che rispetta le regole e contribuisce a dettarne delle nuove. Quel cittadino di cui la politica spesso si rammenta solo in prossimità delle campagne elettorali, allorquando anche negli sperduti angoli ultraperiferici spuntano i big di turno, sorridenti e pieni di buoni e opportuni propositi. Ma non è di questo che hanno bisogno le periferie capitoline. Hanno bisogno di mettere insieme parole e fatti, per ri-costruire mattone su mattone, con dignità, la loro identità metropolitana, staccata ma al tempo stesso unita al centro storico di una Capitale che non deve dimenticare i tanti Municipi ancora in affanno. Perché, concludendo, in uno slogan buono per tutte le stagioni, anche per quella in corso d’opera dunque, difficile per definizione a causa della drammatica diffusione del Coronavirus, non può esservi sviluppo senza il rilancio delle periferie.