Il Novecento 

 

 

 

"L’età degli estremismi" 

 

 

Secondo il giudizio dello storico britannico Eric Hobsbawn (1917-2012) il Novecento è “l’età degli estremismi”.

Il particolare posto occupato dal XX secolo nella Storia è così dovuto all’apparizione di forme di dominio politico-ideologico straordinariamente oppressive: il fascismo italiano, il nazionalsocialismo tedesco, lo stalinismo. Alcuni storici cercano di spiegare tali fenomeni con la presenza, in questo secolo, di due colossali guerre mondiali, succedutesi a breve distanza l’una dall’altra. Gli anni tra il 1914 - scoppio della prima guerra mondiale - e il 1945 - fine della seconda guerra mondiale - configurano infatti un periodo quasi ininterrotto di conflitto, definibile come la “guerra dei Trent’anni” del XX secolo o l’epoca della “guerra civile europea”. Ma la coscienza civile contemporanea continua ad essere profondamente divisa dal giudizio sulla natura storica dei “totalitarismi”.

Il contenuto ideologico fondamentalmente illuministico e moderno del comunismo sovietico è sufficiente ad attenuare il nostro giudizio sugli orrori dello stalinismo?

E d’altra parte: la natura chiaramente antiumanitaria e oscurantista dell’ideologia fascista -  soprattutto di quella nazista - e i loro crimini, sono sufficienti a negare a questi due regimi la loro appartenenza all’epoca moderna?

Da molti anni ormai, la crisi e poi la morte del comunismo sovietico pongono questi drammatici ed angosciosi interrogativi. Spesso, stalinismo e nazifascismo vengono accomunati da un’analoga analisi delle loro strutture, da una medesima condanna politico-morale, a causa dello spaventoso numero di vittime umane causate da entrambi. Tuttavia, stalinismo e nazifascismo mostrano differenze storiche vistose. Dopotutto, i due regimi finirono per combattersi in una guerra all’ultimo sangue.

La storia del comunismo sovietico appartiene largamente, anche se non interamente, a quella di una lotta di popoli e di larghe masse di oppressi per il loro inserimento nel mondo industrializzato, su una base di maggiore eguaglianza con i paesi e i gruppi sociali più ricchi e più forti.

Il nazifascismo è, invece, una protesta della vecchia Europa e di una parte delle sue classi dirigenti proprio contro questa fondamentale tendenza dell’epoca contemporanea; una reazione alla fine dell’eurocentrismo e alla diffusione della democrazia e dell’eguaglianza.

Ciò non significa che il nazifascismo non abbia pure una base popolare di massa, nei paesi dove ha origine: in particolare, il nazionalsocialismo tedesco ha una forma “rivoluzionaria”.

A sua volta, il comunismo sovietico porta nel proprio codice genetico anche elementi regressivi: una concezione del potere autocratica, da grande potenza, e un egualitarismo arcaico.

Più che in Lenin, pertanto, è nella figura di Stalin[1] che tali elementi regressivi del comunismo sovietico appaiono strettamente integrati in una personalità individuale.

Ed è proprio per questo che il ruolo storico di Stalin appare come il più tragico e contraddittorio tra quelli giocati nel XX secolo da un singolo leader politico. 



[1] Josif Stalin nasce a Gori, in Georgia, il 21 dicembre del 1879. Figlio di un ciabattino e di una lavandaia, partecipa alla rivoluzione di ottobre ed è il successore di Lenin. Il suo nome viene associato quasi sempre a quelli di Hitler e Mussolini. Tutti e tre sono visti come i prototipi del totalitarismo che ha investito l’Europa nella prima metà del Novecento. Per Stalin, inoltre, scatta automaticamente anche il richiamo alle “purghe” degli anni 1934-1938, alle persecuzioni dei suoi avversari politici interni con Trockij in prima fila. Gli storici che si sono cimentati nella ricostruzione della sua personalità e della sua opera hanno rilevato una sconcertante divaricazione tra gli aspetti costruttivi e quelli distruttivi della sua azione. Egli infatti ha meriti indiscussi quali la legislazione sociale, l’alfabetizzazione, l’industrializzazione, ma al tempo stesso è l’artefice di un autentico terrore. Muore il 5 marzo del 1953 nella sua dacia vicino Mosca, stroncato da un ictus. Il suo successore è Nikita Kruscev.