Il terremoto del Friuli

 

 

 

La sera del 6 maggio 1976 ebbe inizio in Friuli una delle sequenze sismiche più forti e devastanti della seconda metà del Novecento in Italia.  

 

 

 

 

L’evento principale avvenne alle ore 21 locali del 6 maggio 1976 e raggiunse un valore di magnitudo momento Mw pari a 6.5, fra i più alti mai registrati nell’Italia settentrionale; l’intensità epicentrale fu pari al IX-X grado della scala macrosismica Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS).

La scossa interessò circa 120 comuni delle province di Udine e di Pordenone, per una popolazione complessiva di circa 500.000 persone. Gli effetti più distruttivi si ebbero nella zona a nord di Udine lungo la media valle del Tagliamento, dove interi paesi e cittadine subirono estese distruzioni; fra questi Gemona del Friuli, Forgaria nel Friuli, Osoppo, Venzone, Trasaghis, Artegna, Buia, Magnano in Riviera, Majano, Moggio Udinese, solo per citarne alcuni.

Gravi danni e crolli si ebbero anche in tutta l’area carnica, mentre danni diffusi, di moderata entità, interessarono le città di Udine e di Pordenone. Danni più leggeri furono registrati fino a Gorizia e a Trieste, verso sud-est, e in molte località del Veneto e del Trentino-Alto Adige verso ovest e sud-ovest, da Verona a Venezia, da Bolzano a Treviso, da Belluno a Padova, da Trento a Vicenza.

La scossa fu avvertita in un’area vastissima, estesa a tutta l’Italia centro-settentrionale fino a Roma e a Torino, all’Austria, alla Svizzera, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, gran parte della Germania e della Croazia e parte della Francia, della Polonia e dell’Ungheria. Inoltre, produsse danni, oltre che nelle regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto, in vaste aree dell’Austria meridionale ed in buona parte della Slovenia.

L’estensione dell’area colpita fu di circa 5000 kmq. Complessivamente furono distrutte circa 17.000 case, morirono 965 persone ed altre 3.000 rimasero ferite. Quasi 200.000 persone persero la casa. 

Moltissime le repliche. Le più forti si verificarono a oltre 4 mesi dall’inizio della sequenza, l’11 e il 15 settembre 1976, con intensità analoghe a quella della scossa del 6 maggio. Ci furono nuovi gravi danni, ulteriori distruzioni e qualche vittima. Un’altra forte scossa avvenne un anno più tardi, il 16 settembre del 1977.

Le scosse di maggio e di settembre vennero localizzate principalmente con i dati della stazionedi Trieste dell’O.G.S. (oggi Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale), la più vicina all’epicentro. Il monte San Simeone fu indicato come epicentro e divenne per tutti i friulani il simbolo dell’Orcolat, l’orco tradizionalmente associato ai terremoti.

L’ultimo grande terremoto in quest’area, di entità paragonabile a quella della scossa del 6 maggio 1976, era avvenuto quasi 500 anni prima, nel marzo del 1511. Tuttavia terremoti pericolosi in questo settore avvengono con maggiore frequenza: negli ultimi 8 secoli si sono verificati effetti distruttivi nell’area del Friuli Venezia Giulia con un tempo medio di ricorrenza di circa 80 anni, mentre eventi al di sopra della soglia del danno leggero sono documentati storicamente in media ogni 6 anni circa. Negli ultimi 30 anni ci sono stati 4 terremoti di M>4.5 entro 100 km da Udine, ma a seguito dell’importante opera di ricostruzione e di adeguamento antisismico nel settore friulano questi terremoti non hanno provocato danni.

I terremoti della regione alpina e prealpina in Italia nord-orientale sono causati dalla spinta della placca adriatica verso nord, che avviene con una velocità di circa 1.5-2 mm/anno rispetto all’Europa stabile. I meccanismi focali dei terremoti del 1976, come pure di quelli avvenuti negli anni successivi, riflettono proprio questo processo di raccorciamento crostale.

Sono infatti tipici meccanismi compressivi, con asse di compressione orizzontale orientato nord-sud e piani di faglia inverse orientate est-ovest. I dati sismici e geodetici registrati durante i terremoti principali, pur non essendo di elevata qualità come quelli odierni (non esistevano ad esempio le misure satellitari GPS e DInSAR), hanno permesso di ricostruire la geometria delle faglie responsabili dei terremoti e il movimento avvenuto su di esse durante le rotture principali.