L’eccidio delle Fosse Ardeatine

 

 

 

La cronaca di uno dei più vili massacri compiuti contro cittadini inermi: un simbolo dell'immane ferocia dell'occupazione nazista durante la Seconda guerra mondiale. 

 

 

 

 

Roma, 23 marzo 1944. 25° anniversario della fondazione dei fasci di combattimento.

Un gruppo di gappisti guidato da Carlo Salinari, di cui fanno parte tra gli altri Rosario Bentivegna, la sua compagna Carla Capponi e Franco Calamandrei, porta in via Rasella una bomba nascosta in un bidone per l’immondizia. L’esplosione avviene alle 15,45 al passaggio di una colonna di soldati tedeschi, 156 uomini del reggimento di polizia Bozen, formato con reclute della provincia di Bolzano. Muoiono 30 tedeschi ed alcune decine rimangono feriti. Un autobus viene sollevato e scagliato contro i cancelli di Palazzo Barberini. In un secondo momento i partigiani lanciano altre quattro bombe, mentre i tedeschi sopravvissuti aprono il fuoco in via Quattro Fontane. Appena arrivano i rinforzi tedeschi e fascisti le case di via Rasella vengono perquisite e gli abitanti costretti a scendere in strada sotto la minaccia delle armi.  

La macchina infernale della “rappresaglia” si mette subito in moto: per ogni soldato tedesco ucciso a via Rasella si devono fucilare 10 ostaggi italiani. L’ordine partito da Hitler, viene trasmesso al capo delle forze tedesche in Italia Kesserling. Da costui girato a Von Mackensen che comanda l’armata a difesa di Roma, passa poi a Meltzer, responsabile militare della città, ed infine a Kappler, il capo della Polizia, che alle 21 del 23 marzo si chiude nel suo ufficio di via Tasso per compilare l’elenco dei morituri.

Il giorno dopo, in una grotta a pochi passi dalle catacombe di San Callisto, sull’Ardeatina, l’eccidio dura quattro ore.

Le vittime vengono fatte entrare nella grotta a gruppi di cinque. Si inoltrano fino al luogo destinato all’esecuzione e, fatte inginocchiare, vengono uccise con un colpo alla nuca. Un sergente di sanità ha il compito di verificare che la morte sia istantanea. Poi viene chiamato un altro gruppo. E così via. Quando tutto è finito le S.S. fanno saltare la volta della grotta seppellendo i cadaveri sotto la frana.

Nel controllare la sua tragica contabilità, Kappler si accorge che i fucilati invece di essere 330 sono 335. Spiegherà in seguito che l’errore è nato dal fatto che le vittime entravano nella grotta cinque a cinque: se fossero entrate a gruppi di dieci ciò non sarebbe avvenuto. E quando gli chiederanno perché non abbia permesso al confessore di parlare con le vittime, risponderà che non c’era tempo: aveva a disposizione solo un minuto per ciascuna esecuzione, altrimenti l’operazione non sarebbe finita prima dell’arrivo del generale Wolff, capo delle S.S. in Italia.

 

All'orrendo massacro prese parte anche il capitano delle S.S. Erich Priebke, condannato all'ergastolo nel 1998 dalla giustizia italiana. La pena ai domiciliari e la successiva tumulazione dopo la morte di Priebke suscitarono numerose polemiche, facendo propendere le autorità italiane per un luogo di sepoltura segreto.

 

In occasione del quinto anniversario della strage venne inaugurato un Mausoleo intitolato ai martiri delle Fosse Ardeatine.