La mappa del rischio sismico nella Capitale 

 

 

La mappa della Regione Lazio pone Roma nella “zona sismica 2 e 3”, ossia con una pericolosità medio-bassa, dividendo la Capitale in due grandi aree, con il Tevere che funge da spartiacque. Quello che manca però è la “prevenzione del rischio” attraverso una “manutenzione programmata” degli edifici.

 

Mentre nel nostro "Bel Paese" la terra continua a tremare - la scossa di magnitudo 4.0 registrata ad Ischia alle ore 20.57 di ieri 21 agosto ha provocato due vittime accertate, 40 feriti, 2600 sfollati e gravi danni - ci si continua ad interrogare sul ruolo - ma soprattutto sulla troppo spesso insufficiente applicazione - della normativa antisismica sugli edifici del 2009; una normativa che riguarda tutte le nuove costruzioni che devono seguire le direttive antisismiche, ma anche le ristrutturazioni degli edifici già esistenti, resa obbligatoria per ospedali e scuole, definiti edifici “strategici”.  

 

E se da un lato gli autori della mappa sismica della Regione Lazio dichiarano che a Roma risulta maggiormente a rischio il centro storico rispetto alle zone periferiche, litorale incluso, ( notizia che di per sé non può certo essere definita “rassicurante”), dall’altro è pur vero che l’Appio-Tuscolano, il Tiburtino e il Nomentano sono tra i quartieri che nel 2009 hanno aumentato la pericolosità sismica di un punto, mentre l’Eur, la Storta e la piana del Tevere risultano zone meno soggette alle onde del terremoto. Nel tentativo di individuare differenze tra quartieri inoltre non si può generalizzare tra le colline come i Parioli, Monteverde e Monte Mario: si può solo dire che dove ci sono spazi aperti il rischio è minore.

 

Tuttavia, per quanto riguarda il III Municipio, secondo la Confartigianato, dopo il sisma del 24 agosto 2016 in zona Fidene la maggior parte degli edifici popolari hanno registrato microlesioni alle strutture, e altri danni si sono registrati tra la Bufalotta e Talenti, con piccole crepe e scollature di tintura all’interno degli appartamenti.

 

La precarietà degli edifici di Roma - non solo pubblici ma anche privati - sembra dunque un dato di fatto da non sottovalutare.

 

La direzione da prendere appare pertanto quella di ridisegnare una “mappa del rischio” attraverso l’apertura di un tavolo di discussione e di lavoro con l’amministrazione capitolina e le associazioni, per poi richiedere - senza infondere allarmismo - sostegni e incentivi per mettere a norma gli edifici e adeguarli per resistere alle onde d’urto di qualsiasi sisma.

 

“Perché prevenire è meglio che curare”. 

22/8/2017