“Quarto Savona Quindici: la memoria in viaggio”. L’auto della scorta di Falcone, dal 24 al 31 gennaio alla Galleria Alberto Sordi di Roma. 

 

Per la prima volta nella Capitale - su iniziativa della Regione Lazio - dal 24 al 31 gennaio presso la Galleria Alberto Sordi, in piazza Colonna, verrà esposta una teca contenente i resti dell’auto blindata della scorta del giudice Giovanni Falcone.

“Quarto Savona Quindici: la memoria in viaggio”- dal nome in codice della scorta - è il titolo di un progetto che intende raccontare soprattutto ai giovani e agli studenti, attraverso alcuni drammatici dettagli che sono divenuti Storia, quel terribile 23 maggio del 1992, rendendo contemporaneamente omaggio agli uomini della scorta del giudice Falcone che viaggiavano su quella Fiat Croma. Auto “simbolo di uno degli eventi più terribili della storia d’Italia” - come ha commentato il governatore del Lazio Nicola Zingaretti.         

 

Giovanni Falcone dunque (1939-1992): il ritratto di un magistrato che ha dedicato la propria esistenza alla lotta contro la mafia. Considerato il più alto esempio italiano di uomo delle istituzioni, è stato tra i primi a parlare di Cosa Nostra come “organizzazione parallela allo Stato”. I suoi metodi di lavoro hanno fortemente contribuito all’innovazione dell’attività investigativa. 

 

Nato a Palermo il 18 maggio del 1939, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università della sua città, nel 1964 Giovanni Falcone vince il concorso in magistratura; ricopre quindi per circa dodici anni il ruolo di sostituto procuratore presso il Tribunale di Trapani. Chiamato dal giudice Rocco Chinnici (vittima di un attentato il 29 luglio 1983) a investigare sulla criminalità siciliana e sui contatti con quella americana, nel 1982 entra nel pool antimafia ideato dallo stesso Chinnici e diretto da Antonino Caponnetto.

Insieme con altri colleghi - su tutti l’amico fidato Paolo Borsellino[1] - inaugura un nuovo approccio nelle indagini, attraverso un’efficace gestione dei pentiti. Uno di questi, Tommaso Buscetta, gli svela la struttura tentacolare della cupola siciliana, dando un contributo decisivo all’organizzazione del primo, storico, maxiprocesso[2] alla mafia.

Seguono anni di delusioni.

Scampato ad un primo attentato - il 20 giugno 1989 nella sua villa all’Addaura, a Mondello - viene nominato Procuratore aggiunto di Palermo dal CSM e in seguito chiamato a dirigere la sezione Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia, presieduto da Claudio Martelli.

Accusato da molti di brama di potere - per la sua candidatura a coordinare il nuovo progetto di una Superprocura antimafia (ideato con Martelli) - riceve l’incarico di “superprocuratore” il 22 maggio del 1992.

Il giorno dopo perde la vita, con la moglie e tre agenti della scorta, nella tragica strage di Capaci. 

 

Sono le 17.40 di sabato 23 maggio quando Giovanni Falcone e la moglie, Francesca Morvillo, atterrano all'aeroporto palermitano di Punta Raisi. Da qui proseguono a bordo di tre Fiat Croma blindate, su una delle quali si mette alla guida lo stesso magistrato con accanto la moglie, scortata dalle altre due con dentro sei agenti.

Pochi minuti dopo aver imboccato l'autostrada A29, nelle vicinanze dell'uscita di Capaci, deflagrano 500 chilogrammi di esplosivo nascosti in un tombino dell’autostrada. Le lancette dell'orologio segnano le 17,58 quando l'istituto di Geofisica registra la tremenda esplosione. Un quarto d'ora dopo arrivano i primi soccorsi e lo scenario che si trovano davanti è agghiacciante. L'asfalto non c'è più: al suo posto una voragine larga trenta metri e profonda otto, che racchiude un ammasso confuso di macerie, lamiere e corpi.

 

Catapultata a cinque metri di distanza c'è l'auto di testa della scorta, con dentro i corpi senza vita degli agenti Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Viene trovata spezzata in due l'auto con la coppia che, ancora in vita, viene trasportata d'urgenza all'Ospedale civico di Palermo. Qui dopo quasi due ore di agonia si spegne Falcone e tre ore più tardi sua moglie Francesca. Se la cavano con ferite e traumi gli altri tre agenti e alcune persone che si sono trovate a passare in quei tragici istanti.

La notizia rimbalza sui TG nazionali e un senso di profondo sgomento attraversa tutto il Paese. 

 

"Medaglia d’oro al valor civile", nel 2006 Giovanni Falcone è stato inserito dal settimanale “Time” tra gli eroi degli ultimi 60 anni. 

 


 

[1] 19 luglio 1992. La mattina del 19 luglio 1992 Paolo Borsellino è a Villagrazia di Carini, località in cui la sua famiglia passa le vacanze nella casa al mare. Il magistrato decide però di rientrare a Palermo per fare visita alla madre, in via D’Amelio. È una strada perfetta per piazzare un'autobomba perché è senza uscita. Gli abitanti della zona avevano chiesto più volte che fossero presi dei provvedimenti, impauriti dall’arrivo delle auto blindate del magistrato e gli stessi uomini della scorta avevano fatto presente la situazione. Ma nulla era stato fatto. Insieme a Paolo Borsellino vengono assassinati gli agenti di scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cusina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. 

 

 

[2] Il maxiprocesso è il nome con cui è ricordato il processo penale iniziato il 10 febbraio 1986 e terminato il 16 dicembre 1987 a Palermo, tenuto in un’aula bunker a ridosso del carcere dell'Ucciardone - capace di contenere 2000 persone e soprannominata dagli oltre 500 giornalisti intervenuti da tutto il mondo l’ “astronave verde” per il colore delle pareti - dai giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone contro Cosa Nostra. È chiamato appunto maxiprocesso in quanto sono indagate più di 400 persone per reati legati alla criminalità organizzata: associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, decine di delitti e una serie di reati minori. Il verdetto complessivo ammonta a 19 ergastoli, tra cui Totò Riina e Bernardo Provenzano, 2665 anni di carcere, 11 miliardi e mezzo di lire di multe e 114 assoluzioni. 

 

22/1/2018