Trilussa: il poeta di Roma. 



  

È stato per oltre mezzo secolo il principale cantore in versi della sua amata Roma. Registrato all’anagrafe come Carlo Alberto Salustri, si è affermato come poeta utilizzando come nome d’arte l’anagramma del suo cognome: Trilussa. A 150 anni dalla nascita lo ricordiamo così.

 

Carlo Alberto Salustri (in arte Trilussa, suo pseudonimo-anagramma) nasce a Roma, al quarto piano di Via del Babuino 114, il 26 ottobre del 1871.

Orfano del padre a soli tre anni, vive un’infanzia piena di stenti compiendo studi irregolari. Esordisce giovanissimo componendo alcune poesie per il foglio di folklore dialettale “Il Rugantino” di Luigi Zanazzo. Intorno al 1890 pubblica sonetti sul “Don Chisciotte”, su “Il Capitan Fracassa”, sul “Messaggero”, di cui in seguito sarà a lungo collaboratore, e su “Il Travaso delle Idee”. Tra il 1913 e il 1920 abita a Campo Marzio, dove incontra il grande amore con una ragazza trasteverina, Rosa Tomei. Al caffè Aragno, ritrovo degli intellettuali romani, predilige l’osteria. È del 1917 la pubblicazione di un suo scherzoso “allungamento” della famosa filastrocca “La Vispa Teresa”: un fascicoletto con copertina di Finozzi e qualche illustrazione interna di Sto. Ispiratrice dell’operetta, stilata “in un quarto d’ora”, è l’attrice Dina Galli. L’allegra rivisitazione della poesiola avrà un grande successo e sarà ristampata più volte: nel 1944 sarà illustrata da Gioacchino Belli.

Sulla scia del successo Trilussa inizia a frequentare i “salotti” nel ruolo di “poeta-commentatore” del fatto del giorno. Durante il Ventennio evita accuratamente di prendere la tessera del PNF: egli infatti preferisce definirsi un “non fascista” piuttosto che un antifascista. Nel 1922 la Mondadori inizia la pubblicazione sistematica di tutte le sue raccolte. Nello stesso anno lo scrittore entra in “Arcadia” con lo pseudonimo di Tibrindo Plateo, che fu anche quello del Belli. Nel 1927 pubblica un racconto in romanesco, “Er segreto der Mago”, scritto per la Società generale delle conserve alimentari (CIRIO) e illustrato da Livio Apolloni. Trova quindi spazio adeguato nella collana del “Fauno Giallo” di Giuseppe Zucca con “Picchiabbò”, libretto di valore in cui si trova sia la sua caricatura fatta da Guasta che una sua autocaricatura. Essendo anche un efficace dicitore dei suoi versi, Trilussa intraprende lunghe tournée in Italia e all’estero. Tra il 1927 e il 1930 inoltre crea e gestisce con Guasta un teatrino di burattini: la “Baracca delle favole”.

La sua produzione poetica è ricca e apprezzata fino alla guerra e ancora dopo la Liberazione. Scrive testi per Fregoli e Petrolini, tuttavia ha problemi economici; le entrate che gli provengono da pubblicazioni e collaborazioni giornalistiche sono appena sufficienti per sbarcare il lunario. Nell’immediato dopoguerra le sue condizioni economiche sono sempre modeste, e a ciò si aggiunge il cagionevole stato di salute: soffre di asma. È costretto pertanto a rinunciare all’osteria e alle consuete passeggiate. Intanto la fedele e devota Rosa Tomei gli è anche governante, segretaria e infermiera. Nel 1944 esce l’ultima raccolta di poesie, “Acqua e vino”: poi sarà il silenzio. Il 1° dicembre 1950 il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi lo nomina senatore a vita: “Per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo letterario ed artistico”.

 

Trilussa, già da tempo malato e perfettamente consapevole della fine imminente, ma con immutata ironia, commenta così l’avvenimento: “M’hanno nominato senatore a morte”. Sommerso dai telegrammi e lettere di congratulazioni che gli giungono da ogni parte del mondo, il poeta confida agli amici più stretti che si trovano accanto a lui: “Hanno trovato la maniera di seppellirmi prima del tempo”.

“Il poeta di Roma” si spegne venti giorni dopo, nella sua casa-studio di Via Maria Adelaide 17, il 21 dicembre del 1950, all’età di 79 anni.

La raccolta in un solo volume delle sue poesie, a cura di Pietro Pancrazi, uscirà postuma, nel 1951, per i “Classici” Mondatori.

Celebre la teoria dei due polli, contenuta nella poesia “La Statistica”, con cui svela l’ingannevole utilizzo delle statistiche - per fini politici - e che tutt’oggi conserva la sua validità. In pratica, se una persona mangia due polli e un’altra nessuno, secondo la media risulta che entrambi ne hanno mangiato uno.

Molte delle sue poesie hanno ispirato artisti famosi dei nostri tempi, tra cui Claudio Baglioni e Jovanotti, nonché un pontefice, Giovanni Paolo I, che lesse “La fede” nel corso di un’udienza.