Ustica

 

 

Sono trascorsi 41 anni dalla strage di Ustica: una tragica pagina di storia italiana che nel tempo si è tinta di giallo.  

 

 

Il 27 giugno del 1980 parte da Bologna, dall’aeroporto Guglielmo Marconi, il volo Itavia 870 Bologna-Palermo; sono le 20.08, due ore dopo l'orario previsto. L'arrivo è programmato per le 21.15. Non ci sono problemi: il DC 9 viaggia regolarmente, con a bordo 81 persone, 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi, due bambini e 4 uomini d'equipaggio. Durante il volo non è segnalato nessun problema, ma poco prima delle 21 del DC 9 si perdono le tracce radar. La mattina dopo tutti i giornali riportano notizie della tragedia e si cominciano anche a fare le prime ipotesi sulle cause del disastro. Passano i giorni. La lettura dei giornali permette di capire le prime inquietudini: “Il silenzio delle autorità alimenta i sospetti di una collisione. Forse i radar della Nato hanno “visto” la tragedia del DC 9 scomparso in mare”, “Il DC 9 Itavia aveva strutture logore oppure è stato investito da ‘qualcosa’ ”.

Poi, in fretta, di Ustica non si parla più. Scende sulla vicenda un lungo silenzio fino al 1986 quando un appello all’allora Presidente della Repubblica - Francesco Cossiga - viene inviato da Francesco Bonifacio, Francesco Ferrarotti, Antonio Giolitti, Pietro Ingrao, Adriano Ossicini, Pietro Scoppola e Stefano Rodotà. Si chiede che “qualsiasi dubbio anche minimo, sull’eventualità di un’azione militare lesiva di vite umane e di interessi pubblici primari sia affrontato.”

 

Viene fondata anche l' “Associazione dei parenti della vittime della strage di Ustica”.

 

Le indagini procedono a rilento: solo il 16 marzo 1989 il primo collegio peritale, nominato nel novembre 1984, consegna al giudice istruttore Bucarelli la sua relazione. I sei periti che compongono il collegio rilasciano alla stampa una breve dichiarazione: “Tutti gli elementi a disposizione fanno concordemente ritenere che l'incidente occorso al DC 9 sia stato causato da un missile esploso in prossimità della zona anteriore dell’aereo. Allo stato odierno mancano elementi sufficienti per precisarne il tipo, la provenienza e l’identità”. Ricevono dal giudice il compito di proseguire le indagini per identificare il tipo di missile, ma le forti pressioni fanno vacillare le iniziali certezze investigative: due periti su sei non sono più certi del missile. Poi, Bucarelli abbandona l’indagine che viene affidata al giudice Rosario Priore.

 

Con il passare del tempo l’opinione pubblica diventa protagonista di un’ampia mobilitazione che porta il Parlamento ad interessarsi direttamente della vicenda con la Commissione Stragi, che approva nell’aprile del 1992 una relazione: “Per la Commissione è possibile indicare al Parlamento le responsabilità delle istituzioni militari per avere trasformato una ‘normale’ inchiesta sulla perdita di un aereo civile, con tutti i suoi 81 passeggeri, in un insieme di menzogne, di reticenze, di deviazioni, al termine del quale, alle 81 vittime, se ne è aggiunta un'altra: quell'Aeronautica militare che, per quello che ha rappresentato e che rappresenta, non meritava certo di essere trascinata nella sua interezza in questa avventura”.

 

Il 15 maggio 1992 i generali ai vertici dell'Aeronautica all’epoca dei fatti vengono incriminati per alto tradimento. Nei primi mesi del 1994 vengono resi noti i risultati delle perizie ordinate dal giudice Priore. Queste perizie parziali, che dovrebbero essere le fondamenta della perizia conclusiva, escludono che sul DC 9 sia esplosa una bomba.

 

Non ci sono tracce di esplosione sui cadaveri, non ci sono segni di “strappi” da esplosione sui metalli, le analisi chimiche non danno spazio all'ipotesi di una bomba e anche gli esperimenti e le simulazioni di scoppio danno risultati negativi. Invece, alla fine del luglio 1994 gli stessi periti si pronunciano per la bomba, anche se poi non sanno dire come era fatta, né dove era collocata. Ma per i pm, “Il lavoro dei periti d'ufficio è affetto da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio da renderlo inutilizzabile”.

 

Le indagini si concentrano allora sullo scenario radar, e per capire la situazione di un cielo che si vuol far credere vuoto da ogni presenza di aerei militari si chiede anche la collaborazione della Nato. E così, a fine agosto del 1999, il giudice Rosario Priore concludendo la più lunga istruttoria della storia giudiziaria del Paese può sentenziare che: “L'incidente al DC 9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento”.

 

Nell’ottobre del 2000 inizia il processo davanti alla terza sezione della Corte d'Assise di Roma contro i vertici dell’Aeronautica, che nell’aprile 2004 vengono assolti per prescrizione; si riconosce comunque che hanno omesso di riferire alle autorità politiche i risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino/Ciampino - i nastri di Ciampino sono quelli in cui tanti, negli anni successivi, hanno poi visto la presenza di una manovra d’attacco al DC 9 - conosciuti nell’immediatezza della tragedia, e hanno fornito informazioni errate alle autorità politiche escludendo il possibile coinvolgimento di altri aerei militari nella caduta dell’aereo civile.

 

Ma intanto è stato cancellato dall’ordinamento italiano il reato di alto tradimento - o meglio è stato mantenuto soltanto nel caso che ci sia uso della forza - e quindi è piuttosto scontata la successiva assoluzione in Appello, poi confermata all’inizio del 2006 dalla Cassazione.

 

Nel gennaio del 2013 però la Corte di Cassazione ha escluso definitivamente l’ipotesi di un’esplosione interna, indicando come possibili cause un “missile” o una “collisione” con un velivolo militare e parlando di “scenario di guerra”; nel contempo ha confermato le condanne - del settembre 2011 - nei confronti dei ministeri della Difesa e dei Trasporti, rei del mancato controllo del traffico aereo e per questo tenuti a risarcire di circa 100 milioni di euro i familiari delle vittime.

 

Inoltre la prima sezione civile della Corte d’Appello di Palermo in data 8 aprile 2015 ha affermato che: “Quanto avvenne nei cieli del basso Tirreno in occasione della strage di Ustica è da addebitarsi a un missile lanciato contro il DC 9 da un altro aereo, da “identificare”, che intersecò la rotta del volo Itavia o alla “quasi collisione” con quest’ultimo”. E che: “Sono dunque da escludersi le ipotesi “alternative” della bomba collocata a bordo o del cedimento strutturale”.    

Infine, in data 29 giugno 2017 la prima sezione civile della corte d’appello di Palermo ha stabilito che il DC 9 dell’Itavia fu abbattuto da un missile - cancellando ogni altra ipotesi - e che dopo ci furono vari depistaggi, e ha decretato che lo Stato italiano dovrà risarcire oltre 17 milioni di euro ai 29 familiari delle vittime della strage.

La sentenza ha rigettato l'appello presentato dall’Avvocatura dello Stato contro la sentenza di condanna emessa dal Tribunale civile di Palermo nel 2011, dichiarando la prescrizione del risarcimento per depistaggio ma confermando il risarcimento “da fatto illecito”.

 

Ricomposto per le indagini in un hangar dell’aeroporto di Pratica di Mare, il relitto del DC 9 è oggi esposto al Museo per la Memoria di Ustica, istituito nel 2007 a Bologna.