Cesare Zavattini 

 

 

Cesare Zavattini (1902-1989): scrittore, giornalista, soggettista e sceneggiatore.

Il ritratto di una delle figure più significative della cultura italiana del Novecento.

Il III Municipio di Roma gli ha dedicato una via nel quartiere Casal Boccone. 

 

Nato a Luzzara (in provincia di Reggio Emilia) il 20 settembre del 1902, Cesare è il primo di cinque figli: i suoi genitori gestiscono un albergo-ristorante di loro proprietà.

Conseguita la licenza liceale si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, e nel 1923 comincia l’attività di istitutore. Ben presto però scopre di nutrire una grande passione per la letteratura. Nel 1930 si trasferisce quindi a Milano, dove grazie alla sua inflessibile tenacia riesce ad introdursi negli ambienti editoriali dell’epoca.

Inizia dunque un’intensa produzione come scrittore e giornalista, dirigendo anche il periodico “Cinema illustrazione”, e scrivendo alcuni libri di un umorismo leggero e surrealistico, quali ad esempio “Parliamo tanto di me” e “I poveri sono matti”, che lo impongono all’attenzione della critica e del pubblico come uno dei più originali umoristi italiani di quegli anni.

Nel cinema comincia a lavorare nel 1935, come soggettista e sceneggiatore, esordendo con “Darò un milione” (di Mario Camerini) e proseguendo con altri film di un certo interesse. Ma l’affermazione piena e sintomatica di un vero e genuino temperamento di sceneggiatore si ha solo alcuni anni dopo, nel 1942 con “Quattro passi tra le nuvole” (di Alessandro Blasetti) e nel 1943 con “I bambini ci guardano” (di Vittorio De Sica), che già preludono al “neorealismo”.

L’incontro con Vittorio De Sica condizionerà tutta la successiva attività cinematografica di Zavattini che, a partire dal 1945, andrà imponendosi come il propugnatore e il teorico di un cinema antiromanzesco, cronachistico, quotidiano, tutto intento a cogliere l’uomo nei momenti più intimi e rivelatori della sua esistenza. Sono esemplari in questa direzione “Sciuscià”(1946), “Ladri di biciclette” (1948) e soprattutto, “Umberto D” (1952): tutti diretti da Vittorio De Sica.

Oltre ai limiti concessi dalla pur necessaria costruzione spettacolare del film, Zavattini cerca di arrivare - attraverso una serie di film-inchiesta realizzati da diversi registi - a tematiche appositamente scelte. Ed ecco allora nascere “Amore in città” (1953), in cui vuole giungere al diretto contatto con la realtà nel suo farsi nell’episodio “Storia di Caterina”; “Siamo donne”, “Le italiane e l'amore”(1961), e “I misteri di Roma” (1963), in cui porta, con risultati discutibili, alle estreme conseguenze la sua poetica del “pedinamento della realtà”.

Accanto alla vena più propriamente “neorealistica” della sua opera risulta sempre presente anche la vena da più parti definita “surrealistica”, caratteristica delle sue prime prove di scrittore, ma che ha poi punteggiato la sua intera carriera di sceneggiatore con risultati notevoli, come in “Miracolo a Milano” (1951), o deludenti, come “Il giudizio universale (1961), ambedue diretti da Vittorio De Sica.

Tra le altre sue opere di rilievo, vanno inoltre ricordate “E primavera” (1949, di Renato Castellani), “Bellissima” (1951, di Luchino Visconti), “Prima comunione” (1950, di Alessandro Blasetti), “Buongiorno, elefante!” (1952, di Gianni Franciolini) e “Il tetto” (1956, di Vittorio De Sica), che può essere considerato il film che inizia il periodo involutivo della poetica zavattiniana e la crisi del “neorealismo”.

 

In quest’ultimo decennio sembra infatti che i mezzi conoscitivi e rappresentativi elaborati dal “neorealismo cinematografico” nei primi anni del dopoguerra, ai quali Zavattini ha portato il suo contributo, si siano rivelati insufficienti nell’affrontare una realtà umana e sociale notevolmente modificatasi e arricchitasi con l’evoluzione della società italiana.

Pertanto molte delle soluzioni artistiche che negli anni 1945-50 potevano apparire rivoluzionarie e culturalmente valide divengono improvvisamente anacronistiche e insufficienti.

Di questa generale crisi di valori l’opera zavattiniana ha avvertito, più di altre, i contraccolpi, ed ha mostrato le sue gravi lacune. Tuttavia per il grande apporto creativo che egli ha dato al cinema italiano del dopoguerra e all’affermazione del “neorealismo”, e per il fervore di iniziative che ha promosso, facilitato e influenzato specialmente fra i giovani, Zavattini ha recuperato un posto di grande importanza nella storia del cinema, non solo italiano.

Al suo nome rimane indissolubilmente legato tutto un periodo, estremamente ricco di opere di valore e di fermenti culturali, che ha caratterizzato un largo settore della produzione cinematografica: il” neorealismo”.  

 

Cesare Zavattini si spegne a Roma il 13 ottobre del 1989, nella sua casa di via Sant’Angela Merici, all’età di 87 anni

Vittorio De Sica e Cesare Zavattini
Vittorio De Sica e Cesare Zavattini