Ernesto Che Guevara 

 

 

A 50 anni dalla scomparsa, ripercorriamo la vita di Ernesto Che Guevara (1928-1967). Protagonista della rivoluzione cubana nel 1959, nella seconda metà del Novecento ha rappresentato uno dei simboli più amati dai movimenti rivoluzionari e studenteschi di tutto il mondo. 

 

Ernesto Guevara de la Serna nacque il 14 giugno del 1928 a Rosario, in Argentina, da una famiglia borghese.

Il padre, Ernesto Guevara Linch (di origine irlandese) era un progressista piuttosto anticonformista, e fu nella sua biblioteca che il giovane ebbe modo di conoscere i classici del socialismo e del marxismo.

La vita di Ernesto fu subito segnata da un episodio accaduto quando aveva appena due anni: un bagno con la madre nel fiume, a maggio, gli procurò l’asma che lo perseguitò per tutta la vita. Quando Ernesto aveva nove anni, in Spagna imperversava la guerra: il padre fondò allora un comitato di sostegno per la repubblica spagnola e successivamente, con la sconfitta dei repubblicani, un vero e proprio centro di mobilitazione antifranchista.

Intanto, finito il liceo, Ernesto sembrava destinato a diventare un ingegnere, ma la morte improvvisa della nonna paterna, cui il giovane era molto legato, lo indusse ad iscriversi alla facoltà di Medicina.

All’università non fu mai un modello dal punto di vista disciplinare, ma ciò non gli impedì di manifestarsi per le sue capacità. Non ancora laureato, Ernesto Guevara aveva scritto già diversi saggi su riviste specializzate e aveva lavorato per qualche tempo nel lebbrosario di San Pablo in Perù.

Poi cominciarono i viaggi sistematici per conoscere l’America latina. Dopo aver conseguito la laurea nel 1953, furono proprio questi viaggi a maturarlo, a cambiarlo profondamente. Egli ebbe modo di vedere la miseria, la fame, le malattie, accanto ad uno strapotere esercitato da una classe dominante che favoriva i grandi latifondisti. Ciò comportò un’accentuazione del suo radicalismo, in particolare la sua concezione della lotta armata come ineludibile per cambiare le cose in America latina.

Girò per la Bolivia e il Guatemala, due paesi in cui cominciava a serpeggiare un certo malcontento presso la popolazione, e gli Stati Uniti esercitavano un’influenza notevole, favorendo la corruzione al potere per raggiungere dei vantaggi economici attraverso le multinazionali.

In Messico Ernesto conobbe Raul e Fidel Castro che erano stati amnistiati dal dittatore Batista ed erano andati lì per preparare la guerriglia: l’incontro li indusse a cercare una collaborazione. Ernesto divenne allora “il Che”, perché, come tutti gli argentini, intercalava spessissimo “che” (equivalente al ‘ciò’ dei veneti) quando parlava.

Il primo scontro con le truppe di Batista fu disastroso, ma la guerriglia rimase salda. Il “Che” passò da medico a tenente, a capitano, a comandante e cominciò ad elaborare una teoria della guerriglia.

Il 31 dicembre del 1958 conquistò la città di Santa Clara e Batista scappò da Cuba.

Gli Stati Uniti a questo punto cercarono di isolare Cuba, e allora il “Che”partì per uno dei suoi tanti viaggi da ambasciatore straordinario della Rivoluzione, cercando di spostare le relazioni economiche verso il blocco orientale. Il primo problema fu quello di vendere lo zucchero che gli USA non volevano più e quindi visitò l’Egitto di Nasser, il Giappone, l’Indonesia, il Pakistan, l’India, la Jugoslavia.

Al suo ritorno divenne presidente del Banco Nacional e poi, nel 1961, ministro dell’industria. A lui venne affidato il compito di riorganizzare tutta l’economia cubana secondo i canoni del marxismo; come disse di sé aveva “smesso di curare le persone per curare i popoli”.

Si gettò infatti con impegno in un terreno per lui quasi inesplorato, intraprendendo studi di economia e finanza.

Ma la politica non sembrava fatta per lui, così idealista e poco propenso a scendere a quei compromessi necessari con le varie organizzazioni e paesi del mondo. Pertanto si dimise nel 1965 spiegando in una lettera indirizzata a Fidel Castro i motivi che lo spingevano a lasciare l’isola: la volontà di dedicarsi all’organizzazione della rivoluzione negli altri paesi dell’America Latina, che derivava dalla profonda convinzione che fosse necessario organizzare una guerriglia condotta da piccoli gruppi addestrati. Egli pensava che la rivoluzione di Cuba potesse sopravvivere solo se si fosse estesa in tutta l’America Latina.

La sua partenza da Cuba ebbe il sapore di un distacco dai meccanismi politici nei quali i suoi compagni si erano trovati ad operare. Si sentiva più adatto all’azione che alla poltrona e così all’inizio del 1966, insieme al alcuni suoi compagni, raggiunse il Congo per unirsi al movimento che si opponeva al regime di Mobutu. Ma si trattò di una esperienza amara, non condivisa né dall’Urss né dalla Cina di Mao e dunque, dopo un periodo passato nella clandestinità, ritornò nell’America del Sud, in Bolivia, per aiutare la guerriglia contro il governo filoamericano.

Per alcuni mesi le cose sembrarono andare bene, poi si deteriorò il rapporto con il partito comunista boliviano e, non potendo più contare sull’aiuto dei contadini, il gruppo proseguì la lotta in una situazione di sostanziale isolamento.

L’8 ottobre del 1967 il “Che” insieme ai suoi venne accerchiato da centinaia di uomini guidati dai consiglieri militari statunitensi. Nella battaglia venne ferito alle gambe, fatto prigioniero e portato alla scuola di La Higueras: il 9 ottobre venne assassinato. Aveva 39 anni