[Quei giorni a Berlino] 

 

13 agosto 1961 - 9 novembre 1989

 

  

 

"L’Europa divisa" 

 

 

13 agosto 1961: la Repubblica Democratica Tedesca, espressione del controllo politico e militare di Mosca, alza il “Muro di Berlino” che divide in due la città per evitare il flusso di profughi dal settore est a quello ovest. Centosessanta chilometri di cemento che separano per 28 anni il settore russo della città da quelli francese, inglese e americano. Famiglie intere vengono brutalmente divise. Centinaia di persone nel tentativo di scavalcarlo muoiono o vengono catturate e poi fatte sparire dai “Vopos”, i poliziotti. Tuttavia sono in molti, alcune migliaia, coloro che riescono coraggiosamente a passare nel settore occidentale, che rappresenta la libertà.

9 novembre 1989: il “Muro di Berlino” viene finalmente smantellato dalla folla, da molto tempo in fermento. Il Politburo della Germania Est ha infatti decretato la riapertura del “Muro”, ma l’annuncio va ben oltre ogni previsione travolgendo il vertice comunista della Repubblica Democratica Tedesca.

 

Nel volgere di appena un anno, dal novembre del 1989 al novembre del 1990, gli equilibri frutto della divisione dell’Europa in due blocchi, seguita al secondo conflitto mondiale e alla Conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945) crollano dunque assieme al “Muro” che per quasi trent’anni ha diviso in due la città di Berlino.

Una serie di rivoluzioni contro la tirannia, l’incompetenza e la corruzione conducono al fallimento - in un lasso di tempo brevissimo - il sistema strategico - difensivo che l’Unione Sovietica ha creato in Europa centrale e orientale.

Le conseguenze immediate di questo radicale cambiamento degli equilibri internazionali sono la rimozione dal potere delle élite comuniste in carica, la trasformazione dell’economia pianificata di quegli Stati in economia di mercato - o almeno viene fatto un tentativo in questa direzione - e, generalmente, il consolidarsi di un vasto processo di democratizzazione.

È però la riunificazione tedesca l’evento che più di ogni altro segna la fine di un’epoca, dopo 44 anni di separazione forzata tra la Repubblica Federale Tedesca (RFT) e quella Democratica (RDT).

Le radici di queste trasformazioni epocali sono da ricercarsi, nel breve periodo, nella politica rivoluzionaria che Mikhail Gorbacev ha imposto al blocco orientale dopo la sua elezione - avvenuta nel 1985 - a leader del PCUS (il Partito comunista sovietico).

La corsa agli armamenti che il presidente statunitense Ronald Reagan aveva infatti impresso all’Unione Sovietica, nel giro di pochi anni aveva messo in evidenza come quest’ultima mal sopportasse, dal punto di vista economico, un’ulteriore espansione del proprio bilancio difensivo. In questo senso, la volontà di Gorbacev di ricercare un’intesa globale nella direzione di una reciproca riduzione degli armamenti nucleari, ha costituito una premessa indispensabile all’allentamento della tensione tra i due blocchi.

Nel lungo periodo, invece, le cause sono più complesse.

Riguardo i rapporti tra i due Stati tedeschi e tra la RFT e l’Unione Sovietica, la “politica orientale” (Ostpolitik) del cancelliere federale Willy Brandt - in carica dal 1969 al 1974 - ha giocato un ruolo fondamentale nel promuovere un graduale riavvicinamento tra i due paesi. Attraverso una politica di piccoli passi, concessioni economiche e interscambi culturali, Boon è riuscita nel tempo ad instaurare un modus vivendi con Berlino Est.

Inoltre, dopo la costruzione del “Muro di Berlino”, che “paradossalmente” ha instillato un elemento di stabilità tra i due blocchi, i rapporti “tedesco-tedeschi” si sono fatti meno tesi.

In questo clima è stato possibile raggiungere una più generale intesa tra i due schieramenti in materia di disarmo: accordo sancito alla Conferenza di Helsinki nel 1975.