Roberto Ruffilli 

 

Un ritratto di Roberto Ruffilli (1937-1988): uno studioso severo, intelligente, impegnato.

Un uomo che ha sentito forte il dovere di partecipare attivamente alla vita politica, considerandola come luogo e strumento per migliorare la società e la vita di tutti. 

 

Nato a Forlì il 18 febbraio del 1937, Roberto Ruffilli, dopo aver conseguito la maturità classica nel 1956, si iscrive all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - facoltà di Scienze Politiche - grazie al “posto gratuito” vinto per concorso al famoso Collegio Augustinianum.

Laureato a pieni voti nel 1960, resta a Milano come ricercatore presso il neonato ISAP (Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica), sotto la guida di Feliciano Benvenuti e di Gianfranco Miglio.

Là, fra contraddizioni e tensioni, ma soprattutto con l’apporto prezioso delle discussioni, delle polemiche, delle sfide con i maestri e con gli amici-colleghi, si sono saldate le due parti della figura scientifica di Ruffilli: quella storicizzante e insieme modellistica, di lungo periodo, assunta e mantenuta spesso in termini critici dal magistero di Gianfranco Miglio, e quella riformistica e istituzionale, di stampo giuridico-materiale, derivante dall’incontro con Feliciano Benvenuti.

Divenuto nel 1968 direttore del suo Collegio Augustinianum, lascerà l’incarico nel 1970, anche per incomprensioni con le autorità accademiche sul suo modo democratico di gestire gli effetti del Sessantotto.

Ottenuta la libera docenza in Storia delle Istituzioni politiche, Ruffilli iniziò la sua carriera accademica presso l’Università di Sassari, dove ottenne la cattedra nel 1976. L’anno successivo fu chiamato all’Università di Bologna - presso facoltà di scienze politiche - ad insegnare Storia Contemporanea, ottenendo solo nel 1987 - appena prima di morire - il ritorno alla prediletta disciplina di Storia delle Istituzioni politiche.

I poli di interesse di Ruffilli - nel persistente quadro storico-contemporaneo e politico-amministrativo che lo affascinava - possono essere indicati nella modellistica istituzionale, nel riformismo giuridico, nella genesi costituzionale, nella dialettica cittadino-partito-stato, e nella storia del movimento liberale e di quello cattolico.

In tale ambito si colloca dunque anche la sua produzione scientifica, raccolta subito dopo la sua morte (nei saggi che ne rappresentano la parte maggiore) in tre grossi volumi dell’editrice il Mulino, sotto il titolo “Istituzioni, Società, Stato”(1991).

Gli scritti di Roberto Ruffilli vanno dalla prima pubblicazione del 1962 su Le Istituzioni Culturali dell’Italia Repubblicana” ai numerosi interventi del decennio successivo su temi di storia delle istituzioni e delle dottrine politiche, relativi all’epoca moderna, risorgimentale e liberale, con attenzione prioritaria alle vicende dell’unificazione italiana. Ne resta escluso, per la mole quasi monografica, l’innovativo e ancora attuale corposo saggio del 1968 su L’Appodiamento e il Riassetto Territoriale nello Stato Pontificio 1790-1870.

Negli anni successivi, l’impegno scientifico di Ruffilli raggiunge la maturità con la grande monografia su La Questione Regionale dall’Unificazione alla Dittatura 1862-1942 del 1969, preceduta da due saggi su Governo, Parlamento e Correnti Politiche nella Genesi della Legge 20 Marzo 1865 e sui Problemi dell’Organizzazione Amministrativa nell’Italia Liberale.

Con il saggio Il Mito Liberal-Individualista, apparso sulla rivista “Il Mulino” nel 1972, inizia a palesarsi meglio l’intento politico che guida Ruffilli anche nella ricerca: intento corroborato anche da piccole ma incisive ricerche sul pensiero politico cattolico, come L’Ordinamento Stato nel Pensiero Cattolico e Le Istituzioni Cittadine dell’Emilia-Romagna Pontificia. È la passione per il quadro istituzionale, però, che finisce presto per prevalere, con saggi sulla questione regionale (La Tradizione Regionalista: Crisi e Rinnovamento e Pagine Regionalistiche in Santi Romano e Giuseppe Capograssi), come pure sul liberalismo giuridico e amministrativo (Stato e individuo nel liberalismo giuridico; La riforma amministrativa del 1922-24 e La crisi del liberalismo amministrativo).  Da questi assaggi cresce la sua preoccupazione per aspetti più teorici del tema cruciale dello Stato e della sua crisi, con particolare riferimento ai precoci ammonimenti d’inizio secolo di Santi Romano. Ne è risultato la fortunatissima raccolta Crisi dello Stato e storiografia contemporanea, apparsa nelle edizioni del Mulino nel 1979.

La gran mole produttiva dello studioso professore sembrò tuttavia non rubare risorse all’esigenza morale, sempre più pressante, di tradurre anni di ricerche e riflessioni in intendimenti, proposte e direttive pratiche, volte a una riforma etica e funzionale del Paese.

All’avvitarsi asfittico della conflittualità sociale (sprofondata nel terrorismo diffuso) e della precarietà governativa, Ruffilli rispose con un deciso impegno politico, promosso e fortificato da scritti che a partire dal 1976 volgevano sempre più lo sguardo alle trasformazioni della democrazia repubblicana e alla progettualità fattiva di un futuro migliore.

Vedono così la luce intensi scritti sul mondo cattolico e sulla Democrazia Cristiana e sullo stato dell’arte del sistema istituzionale italiano. Su tutto, però, Ruffilli viene a trarre dalla tragica vicenda di Aldo Moro l’indicazione della consunzione dei margini minimi di distesa espressione politico-sociale nella democrazia italiana. Dal 1978 al 1988, l’attività scientifica del professore-senatore cercherà pertanto di approfondire il concetto di democrazia repubblicana, individuandone le fondamenta, le criticità, e (soprattutto) le possibili vie di recupero, riforma e sviluppo.

Verrà ucciso a Forlì il 16 aprile del 1988 da un nucleo armato delle Br: l’ultimo delitto delle Brigate rosse “formato prima Repubblica”. 

 

16/4/2018