"Il ritratto di un leader"
Nato a Sassari il 25 maggio del 1922, il giovane Berlinguer dopo la maturità classica frequenta la facoltà di Giurisprudenza nell’Università della sua città. Il suo impegno politico comincia molto presto: nel 1943 si iscrive al Partito comunista italiano assumendo la responsabilità della Sezione giovanile di Sassari e successivamente, sempre a Sassari, quella della Federazione giovanile comunista. Poi il trasferimento a Roma, dove fa il suo ingresso nella Segreteria Nazionale del Movimento giovanile comunista.
La sua ascesa è continua: da membro del Comitato centrale del partito alla Segreteria regionale del Pci del Lazio, fino al suo primo mandato in Parlamento, nel 1968. Poco dopo diventa Vice Segretario Nazionale del partito. Si sposa quindi con Letizia Laurenti - con la quale avrà quattro figli - e a Milano, nel marzo del 1972, durante i lavori del XIII Congresso Nazionale del Pci viene eletto Segretario Nazionale, succedendo a Luigi Longo.
Enrico Berlinguer, al timone del Pci, individua rapidamente una nuova strada da percorrere: intende scongiurare i rischi di involuzioni autoritarie temendo che anche in Italia si manifesti il pericolo di un golpe, sull’esempio di quanto accaduto in Cile nel 1973, dove il colpo di stato di Pinochet provoca la tragica fine del governo Allende.
Egli prospetta dunque la possibilità di costruire in Italia le condizioni per realizzare una democrazia compiuta attraverso la strategia del “compromesso storico”, con la quale si abbandona l’idea di un’alternativa di governo delle sinistre e si propone la “prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari d’ispirazione cattolica oltre che con formazioni di altro orientamento democratico”. L’avvento di Enrico Berlinguer alla guida del Pci segna pertanto un’attenzione nuova al problema del rapporto con i cattolici e con la Dc.
La proposta di Berlinguer, anche se formulata in un preciso momento storico e di fronte a concreti problemi politici, non costituisce tuttavia un fatto nuovo nella storia del comunismo italiano.
Da Antonio Gramsci in poi si coglie infatti una certa attenzione nei confronti della Chiesa e del mondo cattolico. Palmiro Togliatti raccoglie in parte le indicazioni gramsciane all’indomani della Liberazione, confrontandosi con una solida presenza politica dei cattolici nel nuovo quadro nazionale. La crisi del maggio 1947 rappresenta comunque la conclusione di una collaborazione che solo all’inizio degli anni ’60 viene riproposta dallo stesso Togliatti. Nel memoriale di Yalta egli invita i comunisti a superare “la vecchia propaganda ateistica” affrontando il problema della coscienza religiosa in modo diverso rispetto al passato, per evitare che “la mano tesa” ai cattolici venga interpretata “come puro espediente e quasi come una ipocrisia”.
Diversa, per molti aspetti, è la linea di Berlinguer che si confronta non tanto sui temi generici della giustizia sociale, della pace e della democrazia, quanto sui problemi concreti del Paese quali la crisi economica, il terrorismo, la moralità pubblica, il quadro internazionale.
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 lo storico segretario del Pci tenta perciò di modificare alcuni indirizzi del suo partito: dall’eurocomunismo, all’accettazione della NATO, al riconoscimento del valore del pluralismo e della democrazia liberale.
Ma, purtroppo, manca a Berlinguer la forza di portare a conclusione un radicale disegno riformistico del partito prima che l’esigenza del cambiamento venga imposta da fattori esterni. A determinare questa esigenza sono la crisi del comunismo internazionale e gli avvenimenti del 1989, che sanciscono la fine del comunismo in Unione Sovietica.
Dopo la morte di Enrico Berlinguer - si è spento l’11 giugno del 1984, pochi giorni dopo essere stato colto da malore durante un comizio a Padova -, il nuovo segretario del Pci Achille Occhetto intuisce l’esigenza di non attardarsi oltre. E il 12 novembre del 1989 nella sezione del Pci della Bolognina, nel capoluogo emiliano, Occhetto parla della necessità di dar vita a “una cosa nuova e un nome nuovo”.
Nel giro di un anno, con i congressi di Bologna e Rimini, si arriva così alla trasformazione del Pci in Partito democratico della sinistra (Pds): un partito più leggero, che si ispira a una cultura di governo, all’adesione a un sistema maggioritario con alternanza al potere e all’accettazione dell’economia di mercato.