Ugo Tognazzi

 

Ugo Tognazzi (1922-1990): una carriera caratterizzata da personaggi sempre nuovi e da uno spirito goliardico mai sopito. Il ritratto di uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana.  

 

“Uomo e personaggio prima, solo dopo veniva l’attore”.

Così il regista e produttore cinematografico Marco Ferreri (1928-1997) amava ricordare Ugo Tognazzi, uno dei creatori e dei maggiori interpreti della commedia all’italiana.

Lo vogliamo ricordare in vista delle celebrazioni per il Centenario della sua nascita.

 

Ugo Tognazzi nasce a Cremona il 23 marzo del 1922 e trascorre l’infanzia trasferendosi da una città all’altra per via del lavoro del padre, ispettore in una società di assicurazioni.

A quattordici anni, dopo essersi finalmente stabilito con la famiglia nella città d’origine, inizia a lavorare come operaio in una fabbrica di salumi. Ma ha la passione per il teatro e quindi passa tutto il suo tempo libero a recitare nella compagnia del dopolavoro aziendale.

Dopo essere stato chiamato alle armi durante la Seconda guerra mondiale, inizia a lavorare a Cremona come archivista, prima di decidere di dedicarsi completamente al palcoscenico.

Nel 1945 si trasferisce a Milano e debutta nella rivista “W le donne”, proponendo soprattutto un repertorio di imitazioni. Comincia presto a lavorare con i grandi della rivista: Erminio Macario, Pinuccio Nava, Carlo Dapporto e Wanda Osiris, che lo scrittura per la cifra favolosa di mille lire a serata.

Nel 1951 Tognazzi incontra Raimondo Vianello: i due formano una delle coppie comiche di maggior successo in Italia. Fino al 1960 lavorano insieme per la televisione e diventano l'attrazione di punta del fortunato varietà di Garinei e Giovannini “Un, due, trè”.

Il suo esordio cinematografico risale invece al 1950, con “I cadetti di Guascogna” di Mario Mattoli.

Negli anni successivi interpreta un gran numero di commedie, tra cui spiccano Totò nella luna” di Steno e “La cambiale” di Mastrocinque. Nel 1961 esordisce dietro la macchina da presa con “Il mantenuto”, a cui fanno seguito “Il federale” di Luciano Salce, dove interpreta un grottesco gerarca fascista, e “La voglia matta”, sempre di Salce.

Dall’inizio degli anni Sessanta in poi Tognazzi si dedica con  maggiore costanza al cinema satirico, lavorando spesso con Marco Ferreri che gli offre personaggi grotteschi e corrosivi - “L’ape regina”, “La donna scimmia”, “Marcia nuziale”, “La grande abbuffata” - e con Dini Risi - “I mostri”, “Straziami ma di baci saziami” -. Nascono in questo periodo le fortunate serie di “Amici miei” e de “Il Vizietto”. 

Tuttavia, anche se l’attore ottiene i suoi più grandi successi sul fronte della commedia, dimostra al tempo stesso di saper passare con estrema disinvoltura attraverso ruoli drammatici e di più esplicita denuncia sociale, come testimoniano “Splendori e miserie di Madame Royale” di Caprioli, “La smagliatura” di Fleischmann, “La terrazza” di Scola e soprattutto “La tragedia di un uomo ridicolo” di Bertolucci, che gli fa conquistare la Palma d’Oro a Cannes come “miglior attore” nel 1981. 

Nel corso della sua lunga carriera Tognazzi fa anche la fortuna dei giornali scandalistici, a causa della sua movimentata vita sentimentale. Dalla relazione con la ballerina Pat O’Hara nasce il figlio Ricky e, dopo alcune storie “chiacchierate” con modelle e attrici straniere, sposa nel 1963 l’attrice norvegese Margaretha Robsham, da cui ha un altro figlio, Thomas. Nel frattempo, conosce Franca Bettoja: dalla loro unione, che diventa matrimonio nel 1972, ha due figli, Maria Sole e Gian Marco. E in anni in cui si parla poco - o forse per niente - di “famiglia allargata”, Tognazzi cerca di tenere intorno a sé tutti i suoi figli e le sue compagne, formando una specie di “tribù” che si riunisce spesso nella villa di Torvajanica, dove il celebre comico istituisce un torneo annuale di tennis, sua grande passione insieme al calcio e alla cucina.

Nei suoi ultimi anni il “mostro” della commedia all’italiana interpreta un popolano medievale in “Dagobert” di Dino Risi, gira “Ultimo minuto” di Pupi Avati e infine nel 1989, diretto da Pierre-Henry Salfati, compare in “Tolérance”, nei panni di un nobile gastronomo gaudente. La sorte vuole dunque che il suo ultimo personaggio gli assomigli, almeno nell’amore per i piaceri della vita e soprattutto per la cucina, alla quale si è sempre dedicato, pubblicando anche un libro di ricette, “L'Abbuffone-Storie da ridere e ricette da morire”, edito da Rizzoli nel 1974.

Amareggiato per un progetto con Federico Fellini mai andato in porto, e soprattutto deluso dal nuovo cinema italiano che non esita a confinarlo in un angolo, Ugo Tognazzi muore per emorragia cerebrale in una clinica romana il 27 ottobre del 1990.