Alcide De Gasperi

 

 

 

"Un uomo di Stato" 

 

 

 

 

Alla caduta del fascismo, Alcide De Gasperi (Pieve Tesino, 3 aprile 1881- Sella di Val Sugana, 19 agosto 1954) è ancora uno sconosciuto per la quasi totalità degli italiani. Pur avendo preso il posto di Don Luigi Sturzo - costretto all’esilio - come capo del Partito Popolare, nei primi anni del regime, in un’atmosfera politica ormai asfittica e condizionata, non ha il tempo né il modo di acquistare popolarità.

Fino al 1911, cioè fino all’entrata come deputato trentino nel Reichstag di Vienna, egli si firma Degasperi, una sola parola. Lo sdoppiamento De Gasperi, destinato a permanere, si deve probabilmente a un errore di un funzionario del Parlamento austriaco, non eccessivamente pratico della lingua italiana. Inizialmente gli uffici della Camera promettono al neodeputato trentino di porre rimedio alla questione al momento di rinnovare “le liste e il catalogo”, ma ciò non avviene. Pertanto la nuova grafia entra stabilmente negli atti amministrativi e nelle carte anagrafiche, con buona pace dell’interessato.

Prima del fascismo De Gasperi incarna la personalità emergente del cattolicesimo trentino e italiano. Dopo l’affermazione della dittatura diventa invece un perseguitato - nel 1927 viene arrestato e condannato a quattro anni di detenzione, ridotti a due per sopravvenuta grazia, sotto l’accusa di tentato espatrio clandestino - e infine un oscuro burocrate vaticano.

 

Alcide De Gasperi dunque: un uomo di Stato con l’aria di un efficiente e onesto dirigente. Un uomo che nel secondo dopoguerra, restauratasi la democrazia, rappresenta il riscatto e la dignità degli italiani - il suo primo gabinetto viene varato il 10 dicembre 1945 dopo la crisi del governo Parri -.

Un democristiano laico capace di calamitare i voti moderati sull’onda della paura del comunismo. Da buon asburgico ha imparato la teoria del mutuo rispetto tra autorità civile e autorità ecclesiastica. Da vero moderato riesce a mediare nella DC tra l’oscurantismo della destra e gli eccessi interventisti della sinistra. Non è un dogmatico né un dottrinario: sa bene che alla libertà politica devono accompagnarsi la giustizia sociale e il benessere.

Il suo “centrismo” (1946-1953) - così viene definita l’età dei governi degasperiani - è la formula politica di una scelta che è anche sociale ed economica. È lui infatti l’artefice dell’alleanza tra DC e mondo imprenditoriale, ed è lui il vero ispiratore di quel “miracolo economico” che, morendo nel 1954, non riuscirà a vedere. Ma De Gasperi è al di sopra del partito, è quasi lui stesso un partito, e il 18 aprile 1948 molti voti vanno a lui, al suo “partito”, e non alla DC.

 

Il suo “partito”: un contenitore capace di accogliere italiani di ogni ceto e di ogni tendenza, uniti da un tenue mastice confessionale e dalla ricerca di stabilità, sicurezza e libertà. Un movimento poco ideologico, molto pratico, liberale, poco clericale. Per De Gasperi l’organizzazione della Chiesa rappresenta uno strumento indispensabile, un supporto, un vincolo e un limite a volte ingombrante. Il partito è comunque nelle sue mani, dominato con piglio da mediatore più che da dittatore, come dal suo temperamento. Da liberaldemocratico che vede la DC come un aggregato interclassista.

De Gasperi è per la proprietà privata, la libertà, la democrazia. Ha la tenacia del montanaro e la cautela dell’uomo di Curia: sa emanare un senso contagioso di fiducia, non dispera mai, neanche quando la disperazione si fa tentatrice.

È un uomo responsabile e ragionevole, un uomo di idee ma soprattutto di ottimismo e di fede. È un trentino grigio e apparentemente arido - proviene da una famiglia modesta, il padre era capo della gendarmeria a Pieve Tesino - che coltiva però dentro di sé una rara delicatezza di sentimenti e che ha assorbito in Austria il senso dello Stato, tentando di trasferirlo in Italia.

Ha studiato alla scuola di Giolitti e sa volteggiare tra gli ostacoli con rara abilità - il nome Alcide, di derivazione mitologica, sembra essere stato suggerito da un affresco di un palazzo trentino raffigurante le fatiche di Ercole -. È un uomo dotato di senso del dovere e di un profondo spirito morale. Non ha il gusto delle strategie politiche. Il suo linguaggio è asciutto, scarno, spesso faticoso: rappresenta un’Italia rurale, provinciale, familiare. Ha ben chiare, dentro di sé, la distinzione dei ruoli e le priorità politiche, come pochi altri statisti nella storia del nostro Paese.

Di lui l’italiano medio percepisce l’onestà e il liberalismo di fondo, e votando per lui esercita una scelta consapevole di libertà. L’Italia democratica, liberale, anticomunista riveste quindi, insieme all’Italia propriamente cattolica, panni democristiani garantendo alla DC la vittoria elettorale contro il Fronte Popolare di Palmiro Togliatti. Ma se questo avviene il merito è di De Gasperi e dei suoi uomini, capaci di conquistare la fiducia dell’italiano medio.

“Ho visto il fascismo - dice tanta gente che vota per lui - non voglio vedere il comunismo. Voto per De Gasperi che è un cattolico liberale, rispettoso dello Stato e degli altri”.

In effetti lo statista trentino, anche dopo la vittoria del ’48, vorrà sempre accanto a sé dei laici. Della DC si fida poco: la ritiene poco sicura. La concepisce come fonte di ispirazione politica ma non come uno strumento di potere. E non a caso sarà il partito ad emarginarlo, trascinando poi il sistema “democratico” in sistema “partitocratico”.

In politica estera De Gasperi firma a Parigi il Trattato di pace; ed è con lui che l’Italia aderisce al Piano Marshall, poi al Patto Atlantico per gettare le premesse, con Schuman e Adenauer, della politica europeistica.

Dopo di lui, con il declino del “centrismo” prenderanno il sopravvento le divisioni interne al partito, la corruzione, l’instabilità: la DC diventerà sempre più un coacervo di correnti.

I suoi successori saranno iscritti alla “scuderia” della sinistra di Giuseppe Dossetti, con una sottolineatura clericale e progressista.

Tra tutti emergerà Amintore Fanfani, un tecnico dello Stato “tuttofare”, un economista corporativo con una visione autoritaria e illiberale; la sua proposta politica si baserà su un forte apparato di partito, uno Stato altrettanto forte e stretto al partito, un ampio uso del potere di governo e una disponibilità quasi assoluta del denaro pubblico. Una forte connotazione di “uomo di partito” dunque e non di Stato, incapace, al contrario di Alcide De Gasperi, di guardare lontano.

Come ha scritto lo storico Leo Valiani: “De Gasperi era un uomo dotato di senso dello Stato. Quel senso dello Stato che mancò ai cattolici subito dopo l’Unità, e che mancò a molti tra loro anche cento anni dopo”.