UOMINI E SINDACATO: GIUSEPPE DI VITTORIO
Giuseppe Di Vittorio
Ripercorriamo le fasi salienti della vita di Giuseppe Di Vittorio (1892-1957): una lunga attività di politico, sindacalista e antifascista, la sua, che è stata sempre improntata alla difesa dei diritti dei lavoratori e degli ideali della Costituzione, alla cui stesura ha partecipato in prima persona. Una lezione - evidentemente ancora attuale - da non dimenticare.
Giuseppe Di Vittorio nasce a Cerignola, in provincia di Foggia, l’11 agosto del 1892.
Il padre Michele è un lavoratore dei campi e tutta la famiglia è costituita da braccianti agricoli. La madre si chiama Rosa Errico.
Nel 1902 il padre muore in seguito a una malattia contratta nel suo lavoro di curatolo, e Giuseppe è costretto ad abbandonare la scuola elementare per essere avviato al lavoro nei campi.
Nel maggio del 1904 partecipa a una manifestazione di lavoratori agricoli, durante la quale interviene la polizia. Quattro lavoratori vengono colpiti a morte. Fra questi un suo giovane amico quattordicenne, Antonio Morra.
Nel 1910 diventa segretario del circolo giovanile socialista di Cerignola, che prende il nome di "XIV maggio 1904", per ricordare l'eccidio consumato in quell'anno. Il circolo prende ben presto un indirizzo a carattere sindacalista rivoluzionario, staccandosi dal PSI e aderendo alla Federazione di Parma della gioventù socialista. Partecipa poi all'esperienza del sindacalismo rivoluzionario e aderisce all'USI (l'Unione Sindacale Italiana, nata nel 1912 dalla scissione con la CGdL riformista), ricoprendone dal 1913 la carica di membro del Comitato Centrale.
Nel 1913 è segretario della Camera del Lavoro di Minervino Murge, mentre si sviluppa in parecchi centri della Capitanata e della provincia di Bari l'influenza del sindacalismo rivoluzionario.
Nel 1914, ricercato dalla polizia in seguito ai fatti della "settimana rossa", è costretto a riparare a Lugano. Quindi prende contatto con molti fuoriusciti italiani e ne approfitta per studiare in modo sistematico. È quello che Di Vittorio ricorderà come il suo "liceo".
Nel 1915 è richiamato in guerra, e dopo aver partecipato a parecchie azioni rimane ferito. Per il suo passato di "sovversivo", dopo un lungo peregrinare, viene inviato a Porto Bardia, in Libia. Rientrerà in Italia tra gli ultimi, nell'agosto del 1919. Il 31 dicembre dello stesso anno sposa Carolina Morra, con la quale avrà due figli: Baldina e Vindice.
Nel 1921 viene eletto deputato mentre è detenuto nelle carceri di Lucera. La elezione a deputato avviene in circostanze del tutto eccezionali, che offrono un quadro della situazione non solo personale, ma indicano lo scontro sociale in atto tra la fine del 1920 e la metà del 1921. In questo periodo dilaga il fascismo, con la violenza più spietata, in molti centri pugliesi considerati le roccaforti del movimento socialista e, soprattutto, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Queste fanno capo, in parte, alla CGdL, di orientamento socialista, e in misura consistente (Cerignola, Minervino, Corato, Bari) all'Unione sindacale italiana, di cui Di Vittorio è il maggiore e più qualificato esponente. La resistenza al fascismo è molto forte in Puglia e Di Vittorio ne è uno degli animatori più convinti. Ed è proprio in seguito a uno sciopero regionale antifascista, in un momento in cui il movimento operaio è più in ritirata, che Di Vittorio viene arrestato.
Nel 1921 lo scontro in quella campagna elettorale è totale: i fascisti provocano una strage a Cerignola (nove lavoratori uccisi). Nonostante il clima di violenza e di intimidazione Di Vittorio viene eletto. Per tutto il 1921 e fino ai primi mesi del 1923, l'attenzione preminente di Di Vittorio è rivolta alla situazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni in Puglia, sottoposta a un'opera di logoramento fino alla distruzione. Egli stesso è bandito dalla sua città. Ma è a Bari che mette a profitto tutta la sua esperienza, nella Camera del Lavoro. L'occasione è offerta dallo sciopero nazionale, detto "legalitario", dell'estate 1922, che ha luogo in tutta Italia per imporre la fine delle violenze fasciste e il ritorno al rispetto della legge. Indetto dall'Alleanza nazionale del lavoro, lo sciopero si risolve in una amara sconfitta: sono poche le realtà nelle quali si costituisce un ampio schieramento antifascista. Una di queste è Bari; è la sua Camera del Lavoro che riesce a costituire un ampio schieramento di forze (socialisti, sindacalisti, anarchici, comunisti, ufficiali fiumani, arditi del popolo) e a tenere in scacco i fascisti fino all'ottobre del 1921, quando interviene l'esercito a conquistare e sciogliere la Camera del Lavoro.
Sul finire del 1922 per Di Vittorio non è più possibile vivere in Puglia. Si trasferisce pertanto a Roma.
Nel 1924 avviene l'incontro con Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, che lo porta ad aderire al Partito Comunista. Insieme con Ruggiero Grieco, dirigente comunista pugliese, avvia un'interessante lavoro per gettare le basi di un'organizzazione autonoma dei contadini italiani, in primo luogo nelle regioni meridionali. Il clima è quello della semilegalità che ben presto diventerà, nel novembre del 1926, illegalità piena e totale.
Fra il 1928 ed il 1930 è in Urss, rappresentante del Pcd'I presso l'Internazionale Contadina. Nel 1930 va a Parigi per far parte del gruppo dirigente del PCI e per assumere l'incarico di responsabile della CGIL clandestina. Nella primavera del 1935 muore sua moglie.
Nel 1936 è fra i primi ad accorrere in Spagna: ad Albacete partecipa all'organizzazione delle Brigate Internazionali con Luigi Longo e Andrè Marty e altri dirigenti. Nel 1939 dirige "La voce degli italiani", quotidiano antifascista. Il 10 febbraio 1941 è arrestato a Parigi dai tedeschi. Assieme a Bruno Buozzi e Guido Miglioli viene consegnato alle autorità italiane, che lo condannano a 5 anni di confino che sconta sull'isola di Ventotene.
Nel 1943 viene liberato e partecipa alla lotta di Liberazione. Firmatario del Patto di unità sindacale di Roma del 1944 con Achille Grandi per i democristiani e Emilio Canevari per i socialisti, diviene segretario generale della Cgil unitaria e poi, dopo la scissione, della Cgil fino alla sua morte.
Nel 1946 viene eletto deputato dell'Assemblea Costituente.
Tra le sue innumerevoli iniziative, va ricordato il Piano per il lavoro del 1949. Nel 1953 viene eletto presidente della FSM (Federazione Sindacale Mondiale).
La sua convinta adesione agli ideali comunisti è stata sempre contraddistinta da una totale autonomia, che ha avuto il suo momento più noto nella condanna decisa della feroce repressione sovietica in Ungheria nel 1956. Un altro punto fermo del suo pensiero è stato il rifiuto della violenza nelle lotte di massa e nell'azione del movimento sindacale, convinto come era che nel nuovo regime democratico ai lavoratori erano stati dati gli strumenti pacifici per sviluppare le loro rivendicazioni e per allargare la loro influenza sugli altri ceti della popolazione italiana. Non ha avuto esitazioni ad ammettere pubblicamente gli sbagli della organizzazione che ha diretto, e memorabile in questo senso rimane il discorso al comitato direttivo della Cgil dell'aprile del 1955, dopo la sconfitta alle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori alla Fiat.
Giuseppe Di Vittorio si spegne il 3 novembre del 1957 a Lecco, dopo un incontro con i delegati sindacali.
L'affermazione del valore sociale e culturale del lavoro è stato dunque il principio che ha sempre ispirato e accompagnato la sua azione sindacale; l'autonomia, la democrazia e l'unità del sindacato sono stati i suoi principali obiettivi. La CGIL doveva restare rigorosamente plurale e apartitica, senza per questo venire meno a una sua naturale vocazione politica, centrata sulla difesa e lo sviluppo della democrazia e della Costituzione repubblicana, che aveva nella solidarietà e nei diritti i suoi principali valori.
Pur vivendo una stagione molto difficile, segnata da tensioni ideologiche stridenti legate al sottile equilibrio bipolare della guerra fredda, Di Vittorio ha perennemente lavorato per l'unità di tutti i lavoratori, facendo derivare da questa unità anche l'unità sindacale.
A suo avviso, solo in questo modo sarebbe stato possibile difendere l'interesse generale della classe lavoratrice, lottando efficacemente per la sua emancipazione.