19 luglio 1943: bombe sulla città eterna.

 

 

Il 19 luglio del 1943 alle ore 11.03 i bombardieri americani scaricano 4.000 bombe sulla “città eterna”. 

 

 

 

Lunedì 19 luglio 1943: Hitler e Mussolini si incontrano in Veneto, nella Villa Gaggìa di Feltre. Il convegno è proposto dal Fuhrer preoccupato per l’andamento della guerra in Italia. Mussolini accetta l’invito a malincuore.

La delegazione italiana è diretta dal generale Ambrosio, Capo di Stato Maggiore generale. Ambrosio non vede altra soluzione per l’Italia che un’uscita onorevole dal conflitto, e chiede a Mussolini di parlare con chiarezza a Hitler per fargli presente la situazione.

Hitler viene al convegno non per trattare ma per imporre all’Italia la propria volontà. Il suo piano è di legare sempre più a sé l’alleato e di resistere ad oltranza in Italia per tenere lontana la guerra dalla Germania.

Il colloquio in realtà non è che un monologo del Fuhrer. Mussolini non sa neppure replicare. Nello stesso momento gli Alleati bombardano Roma. Arrivano in pieno giorno, indisturbati, e scaricano sulla zona degli scali ferroviari bombe di medio calibro. Non sono bombe paragonabili a quelle che i tedeschi hanno sganciato su Londra e che gli Alleati usano per la Germania, ma l’impressione è ugualmente enorme. Finora i romani non hanno mai sentito il rombo degli aerei né il fragore delle esplosioni. Adesso si rendono conto che la guerra non rispetta nemmeno il mito della “città eterna”. Insieme con gli scali di San Lorenzo, vengono gravemente colpiti anche i quartieri adiacenti. Molti sono i morti e i feriti.  

 

Il noto giornalista e scrittore Arrigo Benedetti (1910-1976) - fondatore de L’Europeo e de L’Espresso - testimone oculare, ha descritto così l’avvenimento: “Il piazzale era completamente sconvolto, le rotaie per aria, fili degli impianti elettrici per terra, crateri. La prima impressione fu che non ci fosse nessuno; invece ad un tratto arrivò un’automobile nera e subito, senza che si potesse capire da che parte veniva fuori, una folla la circondò. Anche noi ci avvicinammo e vedemmo che c’era dentro il Papa. E qui avvenne un fatto curioso: il Papa non poteva uscire perché la pressione della folla sullo sportello era tale che per quanto cercasse di mettere fuori le gambe doveva subito ritirarle. Facemmo uno sforzo, tentammo di creare un po’ di spazio e l’aiutammo a uscire; lo tirammo proprio fuori, ecco. Mi ricordo che la veste bianca era tutta sporca, di polvere…qualcuno diceva anche di sangue perché era già stato nei luoghi sinistrati. Pio XII salì su un cumulo di terra accanto al cratere. Qualcuno non ricordo chi, gridò: inginocchiatevi! Tutti si inginocchiarono e il Papa diede la benedizione. A questo punto cominciarono a sentirsi delle grida: pace, pace, pace! Il Papa rimase immobile poi si allontanò, accompagnato da Monsignor Montini, e si diresse verso la grossa automobile che aveva lasciato lì dietro gli alberi. Non c’era più, non si capisce dove era andata. Allora, nella confusione, qualcuno chiamò una “topolino” che forse era del seguito, o forse era lì per caso, e il Papa venne fatto salire su questa piccola macchina e si allontanò…”.

 

Non bisogna dimenticare che il giorno dell’incursione aerea inizia in Italia una settimana decisiva che si conclude nella notte tra il 24 e il 25 luglio ’43, quando una riunione del Gran Consiglio del fascismo, mettendo in minoranza Mussolini su un Ordine del giorno Grandi che restituisce al re la suprema iniziativa delle decisioni, provoca il crollo del regime.