Carlo Levi 

 

La vita e le opere di Carlo Levi (1902-1975): intellettuale ed artista di spicco, tra i più significativi del Novecento. Il ritratto di un grande protagonista della cultura italiana.    

 

Nato a Torino il 29 novembre del 1902 da una famiglia dell’alta borghesia illuminata, Carlo Levi si laurea in medicina, senza esercitare, perché le sue condizioni economiche gli permettono di non lavorare. Si dedica invece alle sue passioni: la pittura e la politica.

La famiglia è di tradizioni socialiste e in quell’ambiente l’autore non trova difficile collaborare con Pietro Gobetti alla redazione de “La rivoluzione liberale”. Attivista nella diffusione delle idee di “Giustizia e Libertà” con Nello Rosselli dirige “Lotta Politica”, un giornale clandestino. L’impegno che mette nella lotta antifascista non può non arrivare all’orecchio vigile del regime che lo fa arrestare nel 1934; nel 1935 viene mandato al confino in Lucania. Vi rimane solo un anno, probabilmente l’anno più significativo di tutta la sua vita. Liberato si rifugia in Francia, da dove ritorna solo nel ’42 per partecipare alla guerra partigiana. Dal 1962 al 1973 è senatore nelle liste della sinistra.

La vita di Carlo Levi viene profondamente segnata dall’anno trascorso al confino in Lucania, precisamente ad Aliano, allora Agliano. Da quei giorni interminabili nasce il suo libro più noto, “Cristo si è fermato a Eboli”. Scritto nel dicembre del 1943 e pubblicato da Einaudi nel 1945, l’opera è un classico esempio di commistione di generi letterari. È un reportage - su una terra all’epoca remota - che contiene una forte denuncia politica e sociale delle condizioni di estrema arretratezza in cui versa la classe contadina dell’Italia fascista.

L’arrivo nel piccolo centro lucano rappresenta per Levi uno dei momenti più desolanti della sua vita. Abituato al tenore di una grande città e agli stimoli culturali di Torino, si ritrova immerso in uno scenario opposto. Ad aspettarlo, diffidenza, miseria e solitudine. Agli occhi della gente è un “conquistatore”, essendo Piemontese, in una terra di “conquistati”. Inoltre i conquistatori che in quel momento rappresenta non hanno portato l’emancipazione desiderata. La situazione quindi non è ideale, ma Levi, da piemontese, non si lascia scoraggiare, cerca piuttosto di capire cosa sta accadendo intorno a sé. Per Levi comprendere e fermare una situazione significa dipingere, la sua prima passione, il che lo si vede fare spesso nei pressi del cimitero di Aliano. Certo i momenti di sconforto non mancano, perché l’inattività a cui è costretto è molto difficile da affrontare.

Inizialmente non può neppure esercitare la professione medica perché i medici della zona gli mettono i bastoni fra le ruote. Le cose presto cambiano. La diffidenza dei colleghi si stempera come neve al sole di fronte alle esigenze della popolazione.

Forse l’essere medico lo porta, nonostante tutto, ad avvicinarsi alla gente, a capirla, a conoscerla bene. Lo si intuisce ancora oggi visitando i luoghi del suo confino. Da allora il paese si è ovviamente trasformato ma, molti dei problemi che Levi ha descritto restano. La “questione meridionale” non è più quella di allora, ma è mutata solo nei termini.

Il viaggio di Levi nella politica e nella società italiana continua in seguito con la pubblicazione de “L’orologio” (1950) nel quale descrive la cronaca politica del dopoguerra. Le parole di condanna della situazione italiana si fanno ancora più dure ne “Le parole sono pietre” (1955), racconto di un viaggio in Sicilia. Dopo questo libro, forse a causa dell’età, forse a causa della mancanza di reali stimoli, la sua prosa si addolcisce e quel carattere di denuncia del “Cristo” svanisce quasi ne “Il futuro ha un cuore antico” (1956), dove descrive le gesta della rivoluzione. Sempre con lo stesso registro descrive un viaggio in Germania ne “La doppia notte dei tigli”(1956). Di spessore ancora minore “Tutto il miele è finito” (1964), sulla Sardegna. L’ultimo scritto è postumo e risale al 1979, “Quaderno a cancelli”. Narra la parziale infermità, dovuta alla cecità, trascorsa in una stanza d’ospedale.

La notorietà di Levi come scrittore è da attribuire al libro che scrive in seguito al confino. Ma se questa opera non avesse mutato il corso della sua vita probabilmente ora lo ricorderemmo esclusivamente come pittore. Il suo primo ispiratore fu Felice Casorati, grande amico dell’autore. Il legame si nota nel “Ritratto del padre” (1923) ed in “Arcadia”, esposto nel 1924 alla Biennale di Venezia. L’influenza di Casorati si attenua progressivamente, fino a scomparire dopo il primo viaggio a Parigi. Al ritorno Levi ha una diversa visione della pittura, come si nota in “Aria”(1929).

Alla fine degli anni Venti Levi aderisce al “Gruppo dei Sei”, pittori di Torino, e conduce un’aspra critica all’accadentismo nazionalistico del Novecento. A sancire il legame con la pittura europea, specie con quella francese, sono “Figura gialla”, “Signora con Scarpa”,“Daniel”, “L’uomo rosso”, tutti dipinti negli anni ’30 e ’31.

L’esperienza del confino deve essere considerata fondamentale anche nell’ambito artistico. Le figure lucane che egli descrive nel ’36 lo porteranno nel 1954 ad approdare al gruppo neorealista nella Biennale di Venezia.

Si spegne a Roma il 4 gennaio del 1975.

Ottemperando alle sue ultime volontà, la sua salma è stata trasportata ad Aliano, dove giace nel cimitero presso il quale lo si vedeva aggirarsi con cavalletto e colori.