Goethe

  

Ritenuto l’ultimo “uomo universale”, anticipò la corrente letteraria del romanticismo con il celebre romanzo epistolare “I dolori del giovane Werther”, al quale si ispirò l’italiano Ugo Foscolo per le “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”. 

 

 

Johann Wolfang Goethe nasce il 28 agosto del 1749 a Francoforte sul Meno da una benestante famiglia borghese. Il padre, Johann Kaspar, uomo rigido e pedante, è consigliere imperiale, ma non ha accesso alle cariche pubbliche e questo gli lascia un ampio margine di tempo da dedicare alla amministrazione dei suoi beni e alla educazione dei suoi due figli Wolfang e Cornelia. La madre, Katharina Elisabeth, nata Textor, molto più giovane del marito, è una donna intelligente e vivace e discende da una nobile famiglia.

Il giovane emigra nel 1765 a Lipsia, città lambita dall’influenza della cultura francese di cui lui era già imbevuto, anche se in seguito la ridimensionerà a vantaggio di altre letture: la Bibbia, Omero, Tasso e la trascurerà per approfondire la lingua inglese, italiana e persino ebraica. Studioso e impegnato, dunque, ma non per questo alieno dal gusto della vita o dalla gioia della gioventù e della bellezza. Anzi possiamo a dire che proprio a Lipsia, dove si era recato per studiare, approfondisce soprattutto la vita, intesa nella sua accezione più ampia e variegata. Ammalatosi, nel 1768, torna a Francoforte e vive una profonda crisi spirituale, sollecitata dalla frequentazione con Susanna Katharina von Klettemberg, di cui sono testimonianza e viva espressione le Confessioni di un’anima bella.

È Strasburgo la seconda tappa della sua giovinezza: le nuove conoscenze lo attraggono come una calamita e non solo creature femminili, ma anche compagni di studio, scrittori esuberanti come Lenz, L. Wagner, Lavater, Jung. Mostra una chiara attrazione per ogni forte personalità e tra queste primeggia Herder, filosofo, teologo, che appare ai suoi occhi assetati di genialità come il profeta di quel fenomeno particolarissimo che era lo Sturm und Drang ("Tempesta e Impeto"), che sottolineava il passaggio dal soggettivismo lirico all’individualismo titanico. Goetz, la prima stesura del Faust, i frammenti del Prometeo, il suo primo romanzo I dolori del giovane Werther risentono fortemente di questo influsso. E la novità è soprattutto la lingua che, dirozzando il barbaro tedeschismo dei secoli precedenti, contribuisce a europeizzare la letteratura tedesca.

Dopo il ritorno a Francoforte, Goethe non è contento di sé, non gli sorride la carriera avvocatesca che, come da copione, è stato il padre a scegliere per lui e continua a essere attratto da quel perfezionamento di “umanità”, da quel sogno di gettare, come diceva Thomas Mann, sull’universo «uno sguardo totale». Se si aggiunge a tutto questo il doloroso distacco da un’altra donna, Lili Schonemann, si spiega la sua nuova fuga, questa volta verso la Corte di Weimar. Qua, in compagnia del più giovane Duca, pur senza un incarico preciso e senza essere nobile di nascita, da parte di padre, è un “favorito”. Ed essendo Weimar una cittadina di seimila abitanti, dominata da una Corte piccola sì, ma ambiziosa, l’amicizia del Duca, unita al fascino che già comincia a emanare dalla sua persona, lo aiuta a superare ogni ostacolo e a salire lungo un percorso interessante: prima membro del Consiglio segreto, poi Consigliere segreto e quindi Ministro. Sullo sfondo di questa piccola corte di poeti che ambiva ad elevarsi, i rapporti costruiti e soprattutto quello con la signora Charlotte von Stein ( che ha ispirato a Mann il celebre romanzo Carlotta a Weimar, nel quale Goethe viene definito come «una candela che consuma il suo corpo per fare luce» ) si stagliano nitidi, e le 1500 lettere indirizzate alla donna rivelano chiaramente la consapevolezza che i personaggi di Weimar avevano della propria funzione.

Ma ben presto anche Weimar gli sta stretta: il suo mestiere di cittadino del mondo doveva identificarsi sempre con quello di poeta e, ripercorrendo la sua storia nei capitoli della Vocazione teatrale di Guglielmo Meister, egli si rende conto che lo iato tra l’uomo e l’artista era sempre ancora marcato. Nasce così l’idea di un viaggio in Italia, nato non tanto dal bisogno di un esteriore omaggio alla classicità (che per lui era la fusione tra natura e cultura), quanto da quell’immagine che lui perseguiva e che avrebbe rintracciato nella grecità e nella “naturalezza” italiana. Arriva a Roma il 29 ottobre del 1786. Abita nel Corso in una modesta pensione e rinasce in lui la volontà di fare poesia, che a Weimar aveva cominciato a ristagnare. Riprende anche a disegnare. Va a Napoli. Sale sul Vesuvio. Con il pittore Kniep si imbarca per Palermo.

Di solito si è soliti citare motivazioni personali o storiche, per la sua scelta dell’Italia come meta di ricerca e di ispirazione: la voglia di seguire le orme paterne, l’interesse per la nostra lingua, l’attrazione per la nostra cultura, l’ansia di visitare il paese dove fioriscono i limoni che aveva assalito il suo cuore sulle vette del Gottardo; e ancora il disagio esistenziale sia nella sfera pubblica sia in quella privata (si pensi alla catena amorosa con Charlotte che poi al suo ritorno sarà abbandonata per la giovane Cristiane Vulpius). Dirà ad Eckermann in un colloquio datato 6 ottobre 1829: «Non mi dispiace affatto che il dottor Gottling parli dell’Italia con tale entusiasmo. So bene anch’io quale era allora l’animo mio! Sì, io posso dire che solamente a Roma ho sentito cosa voglia dire essere un uomo».

Neanche il malumore espresso nel 1790, durante il suo secondo breve viaggio in Italia e precisamente nel suo soggiorno veneziano, toglie validità a questa dichiarazione d’amore. Negli ultimi decenni della sua vita, ammaliato dal pigro scorrere dei giorni, nella comoda casa al Frauenplan, in quella Weimar che, per merito suo, era diventata il centro di una letteratura tedesca di tipo europeo, a volte era preso dall’angoscia segreta che la fine non era lontana. Così rievocare un frammento del suo esserci nel sole d’Italia, questa ricerca del tempo trascorso sotto un cielo terso e cristallino, si inquadra a giusta ragione nella contemplazione di una umanità placida e operosa, in perfetta sintonia tra cielo e terra.

Il suo viaggio termina nel 1788. Tornerà ancora brevemente, come già detto, a Venezia nel 1790 e poi ancora definitivamente nella sua Weimar dove, separatosi da Charlotte, inizierà la sua vita con Cristiane Vulpius. Si dedica con nuova lena ai lavori scientifici (ottica, botanica, geologia, anatomia) e letterari, ma il lavoro creativo non ha più il ritmo di un tempo (stende il Reineke Fuchs, il Gran-Copta e rifà il Meister). Di fronte ai grandiosi rivolgimenti della Francia, rimane non estraneo, ma certo sconcertato. Non è affatto convinto che la migliore Costituzione di questo mondo o la più radicale rivoluzione possano portare vantaggi all’umanità, se si prescinde dall’educazione dell’individuo, suo costante punto di riferimento mentale e letterario. In accordo con Schiller decide di dedicare tutte le sue energie alla Musa della Poesia e a tutto ciò che può giovare all’uomo, distraendolo dal contingente.

È la sua nuova stagione creativa: la stesura definitiva de Gli anni di noviziato di Guglielmo Meister in cui si rappresentano i vari stadi della formazione spirituale di un giovane (un Bildungsroman, alias "romanzo di formazione"); il poemetto Hermann und Dorothea; la ripresa del Faust. È proprio qui, nel Faust, che ritroviamo sintetizzato tutto il percorso umano e culturale di Goethe. Un personaggio, Faust, che pur se ideologicamente superato, rimane colui che esprime non solo la tragedia del secolo, la crisi dell’Illuminismo, ma tutta la smania della giovinezza. Goethe non è solo Faust, è anche Mefistofele, una figura forse ancora più intensamente autobiografica dell’altra, perché sempre dalla parte della saggezza e della ragione, scettico di fronte al demoniaco Faust come di fronte a qualunque irrazionalismo che travolga l’uomo, sottraendolo alla provincia pedagogica, a un’umanità ottimista e operosa, che vede la morte come naturale conclusione della vita.

Il 2 ottobre 1808, a Erfurt, si smuove dal suo scettico conservatorismo e viene ricevuto da Napoleone; il 6 avviene il secondo incontro e Napoleone lo invita a scrivere una tragedia su Cesare; il 14 viene insignito della Legion d’Onore. Segno, questo, del suo noto ossequio all’ordine, all’Autorità, oltre che un atto di ammirazione per un uomo che egli aveva sempre concepito come un “fenomeno naturale”. Ma da tempo guarda con scetticismo non solo alla politica, ma anche alle nuove forme letterarie. E quando Schlegel e i romantici esaltano il Meister, quando i salotti ebrei di Berlino antepongono lui a Schiller, egli lascia fare: Romanticismo e Neoclassicismo, dirà poi, sono solo due modi differenti di un’unica salutare reazione.

Con lo stesso scetticismo guarda alla involuzione nazionalistica; per lui «la patria è ovunque e in ogni luogo». Non ama più le tinte forti, le personalità troppo pronunciate e di spicco: tende al poliedrico, allo sfumato. Ne è espressione il romanzo Le affinità elettive, un romanzo per pochi, una musica da camera. Anche le donne di Goethe seguono il rinnovarsi delle poetiche: ora è la volta di Marianne von Willemer (lei trentenne, lui sessantacinquenne), figlia d’arte, austriaca, ispiratrice delle bellissime poesie contenute nel Divano Occidentale e Orientale.

È il 1819. Schiller è morto nel lontano 1805, la moglie Cristiane nel 1816. Il suo ora è un ideale privato: una casa sempre aperta, dove si possa leggere giorno e notte, far musica, ricevere ospiti. Questo non significa che egli abbia chiuso gli occhi di fronte ai mutamenti del mondo moderno.

Dal 1823 vive a Weimer Eckermann che gli si dedica con grande abnegazione, aiutandolo a preparare la grande edizione delle Opere che Goethe cede all’editore Cotta per la notevole spesa di 100.000 talleri. Nel 1827 la morte del figlio August è l’ultimo grave colpo che l’ottantenne sopporta ed egli vuole e deve saperlo sepolto là, presso la piramide di Cestio a Roma, dove egli stesso si era augurato di riposare.

Si spegne a Weimar, il 22 marzo del 1832. Resta la statura morale e intellettuale di un genio, di un illuminista romantico, di un filosofo, di un poeta, di un cittadino del mondo.